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Ciclismo: il Tour de France di Froome

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Uno scoppio fragoroso e intenso, per quanto atteso. Chris Froome apre il suo Tour de France ad Ax 3 Domaines con una progressione irresistibile per tutti gli avversari. Pedalata agile, con un movimento scomposto ma efficace, la testa ciondolante, lo sguardo che passa dalla strada all’SRM, in continuazione, come fosse un tic. Una figura slanciata, lo sguardo celato dagli occhiali, ma una determinazione che si percepisce anche attraverso le lenti scure.

Una prova di forza entusiasmante dal parte del corridore inglese, al primo successo della carriera in un grande giro nonostante da due anni a questa parte si sia dimostrato tra i più forti nelle corse di tre settimane. La sua ascesa è cominciata sulle strade della Vuelta, nel 2011. Dopo aver iniziato la corsa come gregario per Bradley Wiggins, appare evidente che Froome ne abbia di più del connazionale e compagno al Team Sky. Nelle ultime tappe, quando è libero di fare la sua corsa, ingaggia uno splendido duello con Cobo, fino ad arrivare alla tappa di Peña Cabarga nella quali i due danno vita ad un testa tra i più palpitanti degli ultimi anni sui 5 chilometri finali di ascesa. Froome non vince, ma convince dopo un inizio di carriera stentato anche a causa di una patologia debilitante come la Bilharzosi.

Nel 2012 deve ancora mettere da parte le ambizioni personali al fine di lavorare per Wiggins. Alla fine sarà secondo al Tour de France e terzo nella prova a cronometro delle Olimpiadi di Londra, sempre con l’ingombrante compagno in prima posizione. Il keniano bianco, come viene soprannominato per le sue origini, dimostra però di essere ormai pronto per il grande salto di qualità, puntualmente avvenuto nel 2013. Con i gradi di capitano sulle spalle corre una prima parte di stagione di altissimo livello, perdendo solo in occasione della Tirreno-Adriatico da un grande Vincenzo Nibali, l’unico corridore in grado, grazie al coraggio e alla fantasia, di metterlo in difficoltà.

Arriviamo, dunque, al Tour de France. Avevamo lasciato il corridore del Team Sky in testa, quasi senza rivali. Nelle prove a cronometro domina rispetto agli avversari diretti, in salita è sempre il migliore fino al termine della seconda settimana. La scalata al Mont Ventoux è un ricordo indelebile nella mente di tutti gli appassionati. Uno scatto, secco, a 7 chilometri dalla vetta lo proietta all’inseguimento di Nairo Quintana, in avanscoperta sin dalle prime rampe della salita. Il colombiano non può resistere al ritorno della maglia gialla, che nei successivi chilometri prova più e più volte a staccarlo: nulla da fare. La resistenza stoica del corridore della Movistar viene però fiaccata dal ritmo tenuto da Froome, che ad un chilometro dalla vetta rimane solo con la sua fame di vittoria, finalmente placata sul Monte Calvo, tanto caro a Francesco Petrarca.

Gli ultimi 7 giorni sono meno sfavillanti e più complessi. Il Froome brillante di inizio Tour sembra accusare la fatica e una forma che va in calando; nonostante questo non crolla e resiste, divenendo il secondo britannico a trionfare nella Grande Boucle dodici mesi dopo Bradley Wiggins. Sui Campi Elisi può permettersi di perdere una quarantina di secondi con i compagni, a tratti superbi (una citazione particolare va a Richie Porte, quasi sempre impeccabile) nel condurlo sulle strade di Francia, per tagliare l’ultimo traguardo in parata.

gianluca.santo@olimpiazzurra.com

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