Approfondimenti Tennis Wimbledon
Il bianco di Wimbledon: tra tradizione, eleganza e tentativi di ribellione
Wimbledon non è solo il torneo di tennis più antico e prestigioso al mondo, ma un vero e proprio tempio della tradizione, dove ogni dettaglio, dalle fragole con panna al celebre codice di abbigliamento, contribuisce a creare un’atmosfera unica e inconfondibile.
In questo contesto, il dress code “total white” è molto più di una semplice regola: è un simbolo potente, un retaggio vittoriano che ha saputo resistere al tempo, alle mode effimere e persino alle audaci ribellioni dei giocatori.
Ma come è nato questo codice così iconico e perché continua a essere applicato con una tale rigidità?
E, soprattutto, quali storie di eleganza in campo, ma anche di sottile (o meno sottile) protesta, ha saputo generare nel corso dei decenni?
Perché si gioca in bianco a Wimbledon?
L’origine del “total white” affonda le sue radici profonde nell’epoca della Regina Vittoria, un periodo storico in cui il decoro e la rispettabilità erano considerati valori imprescindibili.
Il tennis, sport che stava emergendo e conquistando l’aristocrazia, non faceva certo eccezione.
La regola del bianco nacque, in realtà, per una ragione molto pratica e, per i canoni dell’epoca (specie nell’alta società), di assoluto buon gusto: l’esigenza di nascondere le inevitabili macchie di sudore.
Origini vittoriane del dress code
Il bianco, grazie alla sua capacità di riflettere la luce solare, non solo aiutava a mantenere i giocatori più freschi, ma, cosa fondamentale, rendeva meno evidenti gli aloni di sudore, preservando così l’immagine impeccabile e composta degli atleti.
Questa esigenza puramente estetica si sposò alla perfezione con la morale vittoriana, che imponeva un certo contegno e una dignità anche nell’attività fisica più intensa.
La sacralità dello stile “total white”
Oggi, il “total white” del torneo di Wimbledon è avvolto da un’aura quasi sacra.
Le regole sono di una stringenza esemplare: “Il bianco non include il bianco sporco o il crema”, si legge nel regolamento ufficiale, senza lasciare spazio a interpretazioni.
Ogni capo di abbigliamento, inclusi cappellini, fasce, calzini e persino le scarpe, deve essere prevalentemente bianco.
Piccoli dettagli colorati sono tollerati solo se non superano il centimetro di larghezza.
Questa rigidità è vista da molti come un baluardo irrinunciabile contro la commercializzazione eccessiva dello sport e un modo per mantenere intatta quell’aura di prestigio e atemporalità che da sempre contraddistingue il torneo.
Ribellioni al dress code di Wimbledon: chi ha infranto le regole
Nonostante la severità quasi monastica del regolamento, la storia di Wimbledon è costellata di tentativi, alcuni clamorosi, altri più sottili, di infrangere o aggirare il dress code bianco. Questi gesti, spesso interpretati come veri e propri atti di ribellione o come espressioni audaci di individualità, hanno contribuito in modo significativo ad alimentare il dibattito eterno tra tradizione e modernità nel mondo del tennis.
Agassi, Kyrgios e altri casi celebri
Uno dei casi più iconici e memorabili è senza dubbio quello di Andre Agassi. Negli anni ’80, il “Kid di Las Vegas”, con il suo look e la sua personalità esplosiva, si rifiutò categoricamente di partecipare a Wimbledon per diversi anni, proprio a causa della sua avversione a conformarsi al dress code. Agassi, con i suoi capelli lunghi, i colori sgargianti e lo stile anticonformista, era l’antitesi vivente dell’eleganza vittoriana di Wimbledon. Quando finalmente decise di scendere in campo nel 1991, dopo anni di assenza, si presentò rigorosamente in bianco (la sua sola presenza fu già di per sé una potente dichiarazione). L’anno successivo, nel 1992, conquistò il titolo.
Più di recente, Nick Kyrgios è stato spesso al centro delle polemiche per le sue scelte di abbigliamento provocatorie. Nel 2022, dopo una partita, si presentò alla conferenza stampa con un cappellino e scarpe rosse, infrangendo palesemente il regolamento. La sua risposta alle critiche, tipica del suo personaggio ribelle, fu sprezzante e diretta.
Non soddisfatto, nel corso della medesima edizione, durante la premiazione finale e addirittura davanti a Kate Middleton, la Duchessa di Cambridge e consorte del Principe William, ripropose nuovamente un cappellino rosso.
Altri giocatori hanno tentato di spingere i limiti con gesti più o meno eclatanti.
Pat Cash, nel 1987, dopo aver conquistato il titolo, indossò una fascia a scacchi bianchi e neri, un gesto di rottura che divenne immediatamente iconico.
Anche Serena Williams ha spesso giocato con i limiti, indossando abiti che, pur essendo bianchi, presentavano tagli audaci o trasparenze che non mancavano mai di far discutere.
Il caso Federer e le suole colorate
Persino il “Re” Roger Federer, solitamente impeccabile e profondamente rispettoso delle tradizioni, non è stato immune alle controversie. Nel 2013, si presentò in campo con scarpe dalle suole arancioni. Nonostante il resto dell’abbigliamento fosse immacolato, le suole colorate furono considerate una chiara violazione del regolamento. Gli fu chiesto, senza esitazione, di cambiarle per la partita successiva, dimostrando che anche i più grandi campioni non sono al di sopra delle regole. Questo episodio sottolinea l’attenzione quasi maniacale che il torneo riserva al rispetto del dress code, finanche nei dettagli più minuti e apparentemente insignificanti.
Fino a quando il bianco di Wimbledon è davvero bianco?
La questione “fino a quando il bianco di Wimbledon è davvero bianco?” è un punto cruciale e spesso spinoso del dibattito. Come accennato, la regola specifica che il bianco non deve essere “bianco sporco o crema”, ma la linea di demarcazione può essere incredibilmente sottile e soggettiva.
Questo ha portato a situazioni in cui i giudici di gara hanno dovuto prendere decisioni complesse, a volte contestate aspramente dai giocatori stessi.
La sfida costante è sempre quella di mantenere l’integrità del codice senza cadere in un eccesso di pignoleria che potrebbe apparire, agli occhi di molti, anacronistico e fuori luogo.
Eleganza o imposizione? Il dibattito continua
Il codice di abbigliamento di Wimbledon è da sempre oggetto di un acceso e ininterrotto dibattito che contrappone, in un’eterna danza, la tradizione alla modernità, l’eleganza all’imposizione.
Da un lato, c’è chi lo difende con passione come un elemento irrinunciabile dell’identità più profonda del torneo; dall’altro, c’è chi lo critica aspramente come una vecchia e superflua restrizione alla libertà di espressione degli atleti.
Tradizione vs modernità
I puristi sostengono con forza che il “total white” sia un pilastro portante di Wimbledon, un elemento che lo distingue in modo netto dagli altri Slam e che ne preserva intatto il fascino storico e l’esclusività.
È un richiamo potente a un’epoca in cui lo sport era meno commercializzato e più saldamente legato a valori di eleganza, fair play e rispetto. Per loro, abbandonare il bianco significherebbe snaturare l’essenza stessa e l’anima del torneo.
I detrattori, invece, vedono il dress code come un’imposizione che limita in modo ingiustificato la creatività e la personalità unica dei giocatori. In un’epoca in cui gli sponsor e il merchandising giocano un ruolo cruciale nel mondo dello sport la possibilità di indossare abbigliamento colorato o personalizzato è un’opportunità di marketing e di espressione individuale che viene, di fatto, negata.
Reazioni del pubblico e dei giocatori
Le reazioni del pubblico sono, come spesso accade, divise. Molti spettatori apprezzano profondamente l’eleganza e la sobrietà che il bianco conferisce al torneo, considerandolo un segno distintivo di classe e unicità. Altri, soprattutto le generazioni più giovani e attente alle nuove tendenze, lo trovano un po’ obsoleto e preferirebbero vedere più colore e vivacità in campo, in linea con lo spirito moderno dello sport.
Tra i giocatori, le opinioni variano notevolmente.
Alcuni, come l’iconico Roger Federer, hanno sempre abbracciato con naturalezza il codice del bianco, considerandolo parte integrante del prestigio e del fascino di Wimbledon. Altri, come la potente Serena Williams, pur rispettando le regole, hanno cercato di interpretarle in modo più moderno e personale, attraverso design innovativi. Le polemiche, come quelle che hanno coinvolto Kyrgios o in passato Agassi, dimostrano che la tensione tra conformità e ribellione è una costante sempre presente e viva.
Il bianco come simbolo culturale e sportivo
Al di là del dibattito, il bianco di Wimbledon è diventato, senza ombra di dubbio, un potente simbolo culturale e sportivo riconosciuto a livello globale.
Rappresenta la purezza, la tradizione, l’uguaglianza (tutti i giocatori sono “uguali” nel loro abbigliamento, senza distinzioni di brand o colore) e un certo tipo di eleganza senza tempo, che trascende le mode passeggere.
È un elemento che contribuisce in modo decisivo a rendere il torneo di tennis di Wimbledon non solo un evento sportivo di altissimo livello, ma una vera e propria esperienza culturale unica, un affascinante viaggio indietro nel tempo che continua a incantare milioni di persone in tutto il mondo.
Il futuro del dress code a Wimbledon
Il futuro del codice di abbigliamento a Wimbledon è un tema di costante e vivace discussione. Mentre il torneo ha mostrato una certa apertura verso la modernità in altri ambiti (come l’introduzione del tetto retrattile o l’adozione della tecnologia Hawk-Eye), il “total white” rimane, per ora, un punto fermo e irremovibile.
Possibili aperture o irrigidimenti?
È altamente improbabile che il codice del bianco venga abolito nel prossimo futuro. La sua importanza identitaria è troppo radicata e forte per essere messa in discussione. Tuttavia, non si possono escludere piccole concessioni o interpretazioni più flessibili, dettate dalle esigenze dei tempi moderni.
Ad esempio, dall’edizione 2023, è stata introdotta una modifica significativa che consente alle giocatrici di indossare pantaloncini o sottovesti colorate sotto le gonne, per ragioni di comfort e per alleviare l’ansia legata al ciclo mestruale.
Questo piccolo cambiamento, apparentemente insignificante, è in realtà un segnale chiaro di una possibile evoluzione, dimostrando che anche le tradizioni più rigide possono, e a volte devono, adattarsi alle esigenze contemporanee.
In ogni caso, l’essenza del “total white” è destinata a rimanere il cuore pulsante del dress code di Wimbledon, una sorta di marchio indelebile, un segno di distinzione che, come molti altri, fa attivamente parte della ricchissima e affascinante cultura britannica.
