Scacchi
Lorenzo Lodici: “Per il 2026 obiettivo ELO 2650. È arrivato il momento di vedere dove posso arrivare”
Anche fuori dal mondo degli scacchi più di qualcuno s’è accorto di Lorenzo Lodici. 25 anni, nato a Brescia, ma cresciuto a Chioggia, da qualche mese è lui il numero 1 d’Italia. Non solo: sta puntando sempre più in alto, grazie a prestazioni di grande livello. Naturalmente indimenticabili i brividi della World Cup, in cui ha sfiorato gli ottavi di finale facendo vivere giorni incredibili agli appassionati italiani, ma da almeno tre anni stiamo parlando di un giocatore che sta salendo sempre più di livello. Nella lista FIDE di dicembre ha raggiunto un ELO di 2590, il che legittima ambizioni di alto livello. Lo abbiamo raggiunto per una lunga intervista, nella quale delinea i prossimi obiettivi, la sua traiettoria scacchistica, alcuni momenti topici e non solo.
Come stai e cosa stai facendo in questi giorni?
“In questi giorni, dopo la World Cup a Goa, visto che alla fine dell’anno ci sono i Mondiali FIDE rapid e blitz in Qatar, a Doha, ho deciso per questo mese e mezzo di restare in Asia e fare un po’ di vacanza, un po’ di scacchi (non subito dopo Goa perché ero cotto), perché bisogna comunque arrivare pronti a Doha. Volevo vedere un po’ l’Asia: avevo visto solo l’India“.
India che è tante cose diverse, poi. Tu sei stato a Goa e l’anno scorso a Chennai per le Olimpiadi.
“Molto molto diverse. L’India ogni volta fa un’impressione diversa. A Goa ci sono state cose belle, torneo a parte, ma quello aiuta. Spiagge, ristoranti simil-europei. A Chennai era stato molto diverso perché stavamo in un resort, ma uscivi ed eri in una realtà cruda. Ma l’India penso sia proprio fatta di queste cose qui“.
A proposito di ristoranti: eri già un appassionato di quella cucina lì.
“Sì. Nei primi 10 giorni ho mangiato sempre in hotel, dove il cibo era soprattutto indiano, ma dopo quei primi 10 giorni devi uscire per forza. L’ha detto anche Esipenko che è arrivato terzo: ‘Per fortuna che ho trovato un ristorante buono vicino all’hotel, perché sono due settimane che mangio lì tutte le sere’. Ci sta, perché non si può stare chiusi tutto il tempo in un torneo del genere altrimenti dai di matto, è lunghissimo“.
Soprattutto per chi lo finisce, visto che dura un mese ed è massacrante. Già dev’esserlo stato per te che ci sei stato poco più di 10 giorni, pensa per chi è rimasto tutto il mese…
“Davvero! Io sono stato 17 giorni. I primi 10 ero abbastanza tranquillo, dopo si sente. Per cui se devi fare tutto il mese è dura“.
Capitolo Doha: già l’anno scorso tra rapid e blitz avevi messo a segno vittorie o patte con gente molto forte come Liang, Fressinet, Sarana, Grigoryan, Bluebaum, Giri, Vachier-Lagrave, Sindarov, Indjic… in sostanza avevi raccolto buonissime sensazioni in quei due tornei.
“Ho sempre sottovalutato un po’ il rapid e blitz, dicevo sempre che non è a tempo lungo, non conta. Però il lato positivo sempre sottovalutato è che fai più partite. E facendone di più, ne puoi giocare di più con gente forte e abituarti a quel livello lì. Che sia rapid, blitz o tempo lungo è proprio una questione di abituarsi. Quel torneo lì è stato molto importante perché è stato una grande parte di questa crescita e di quest’abitudine a giocare con questi, a vincere ogni tanto, spesso a non perdere. Le sensazioni erano state molto buone e quest’anno andiamo anche con più fiducia“.
Parlando di abitudine: questa ti ha portato a concentrarti di più sugli scacchi. Fino a poco fa ti dividevi tra la tua attività nei Paesi Bassi e quella scacchistica.
“Io sono un ingegnere meccanico. La mia famiglia lavora in un’azienda industriale nel padovano con un ufficio nei Paesi Bassi. Avevo lavorato lì due anni. Prima era un 60-40 verso il lavoro di ingegnere, mentre da luglio penso sia un 70-30 o più un 80-20 verso gli scacchi. Penso che sia arrivato il momento di vedere dove si arriva”.
Il che fa capire quanto anche per i Grandi Maestri di quota ELO 2500, ma anche 2600, sia a volte difficile vivere soltanto di scacchi, a maggior ragione in Italia. Tornando indietro nel tempo, Sergio Mariotti lavorava contemporaneamente al Banco di Roma.
“Al giorno d’oggi rispetto ai tempi di Mariotti la cosa che è cambiata in Italia è che è più facile, e si può, vivere abbastanza bene insegnando scacchi. Al tempo suo il bacino era minore perché non esisteva Internet, non esistevano altre cose ed era più difficile. Se uno vuole giocare a scacchi, allora è davvero dura anche a 2600 nei paesi come l’Italia, in quelli europei. Dai 2650 penso che comincino un po’ a cambiare le cose e poi dai 2700 diventano molto diverse“.
In questo senso è molto interessante quello che sta facendo Luca Moroni con il suo canale YouTube. Mentre, parlando di te, a questo punto si può dire che l’ELO 2650 sia diventato il tuo obiettivo?
“Certo. Ed è l’obiettivo dell’anno prossimo. Ho intenzione di giocare parecchio: se riesco a rimanere motivato per tutto l’anno l’obiettivo è quello. L’idea che ha avuto Luca col suo canale è un’ottima. Sto valutando di farmi un po’ spazio anche io, anche se non su YouTube, semmai una parte un po’ più social, online. Da vedere“.
Hai già deciso cosa fare nel 2026?
“Fino a fine maggio i tornei sono abbastanza definiti. Probabilmente il St. Louis Masters, che è molto forte, a meno di rientrare al chiuso di Praga, c’è una piccola possibilità. Dovrebbe cancellarsi qualcuno: era già pieno, dovrei essere il primo degli eventuali subentrati. Dopo farò l’Europeo individuale, che è il torneo individuale più importante dell’anno, il Campionato italiano a squadre (la serie Masters), poi o la Sardegna o la Mitropa Cup, poi un torneo negli Emirati Arabi tra maggio e giugno, probabilmente Dubai. Quindi uno o due tornei estivi per arrivare pronti alle Olimpiadi, alle quali come squadra teniamo tantissimo a far bene. Sarebbe bello portare a casa un risultato“.
Anche perché adesso siete un bel gruppo. Siete quasi tutti della stessa generazione, si è creata un’alchimia e vi siete guadagnati un grandissimo rispetto da parte di tutti. Levy Rozman, alias GothamChess, nei suoi recap della World Cup diceva sempre che l’Italia è una squadra molto sottovalutata.
“Questo fa molto piacere. Devo dire che in qualche modo siamo lì lì di ELO, ho guadagnato qualcosa. Luca e Francesco sono lì, Daniele è ancora lì, ma penso che tutti sappiano che in realtà come Nazionale siamo tutti molto più pericolosi dell’ELO che abbiamo perché siamo una squadra compatta e le scacchiere sono tutte più o meno della stessa forza“.
E avete ognuno il proprio stile.
“Senza dubbio. Infatti quest’anno all’Europeo abbiamo provato a fare una tattica basata sullo stile, mettendo me in terza per cercare di vincere qualche partita in più e mettendo invece davanti a fare patta Luca e Daniele. In generale questo ha funzionato, perché se avessimo vinto l’ultima saremmo arrivati quinti. Poi abbiamo perso, ma lo sport non si fa con i se e con i ma“.
E hai vinto l’argento in quarta scacchiera.
“Sì, giocando la maggior parte delle partite in terza. Siamo arrivati vicini a un risultato molto importante. Speriamo sia per la prossima volta, vedremo se con la stessa tattica o cambiando. Sarà interessante perché nel 2026 alle Olimpiadi ci teniamo“.
Fra l’altro alle Olimpiadi hai spesso creato il caos sulle scacchiere avversarie. Nel 2022 hai avuto un ruolo fondamentale quando abbiamo battuto la Norvegia con Daniele Vocaturo che pattava contro Magnus Carlsen, poi hai anche pattato con Praggnanandhaa e con Rasmus Svane. Di queste partite quali ricordi in modo più nitido?
“Quella con Praggnanandhaa me la ricordo, ma era stata quasi facile, nel senso che non è stata così sofferta. Quella con la Norvegia fu una cosa molto grossa. Quella con Svane sicuramente la più sofferta di tutte, perché avrei potuto vincerla e avremmo pareggiato il match. Lì emotivamente soffrii molto non aver vinto. La più piacevole, però, rimane la vittoria del 2024 con Anish Giri. Quella ha cambiato il match coi Paesi Bassi. Avevamo perso in seconda scacchiera, vincere in prima così ci ha lanciati e abbiamo vinto 3-1. Quella è l’unica che sento che abbia davvero indirizzato il match, che ha dato il là dove poi hanno chiuso gli altri“.
In quel 2024, poi, ci sono state la vittoria con Peter Leko, ma lì l’Italia perse con l’Ungheria, e poi la patta con Michael Adams in cui è successo un po’ di tutto. E patta anche con Marc’Andria Maurizzi in cui hai tenuto in piedi una posizione difficile. Hai fatto un’Olimpiade enorme.
“Quello è stato il primo risultato davvero di un livello internazionale. Mi son sentito di poter giocare con quella gente lì. Poi pian piano l’ho anche dimostrato a me stesso di potermela giocare. Purtroppo c’è stata anche la sconfitta, una fatalità, con uno sulla carta più scarso di me. Era Delgado Ramirez“.
Paraguay. Dopo l’accoppiata Giri-Leko. Mentalmente non ti era stato facile fare il reset.
“Lì ho spinto troppo. L’ho preso sottogamba e mi ha punito subito. L’accoppiata Giri-Leko ha portato anche quello in negativo, ma rimane super positiva come cosa“.
Contro Leko, se lo vuoi raccontare, c’è stato anche un piccolo episodio dopo la partita.
“Lui è stato davvero carino. Mi è sembrato incredibile come mi prendesse seriamente, che mi trattasse alla pari. Sapevo che Leko è un signore, lo dicono tutti ed è vero, lo ha dimostrato anche quella volta. Non so se fosse dispiaciuto o sorpreso, mi ha detto ‘Ma perché hai fatto quasi cadere la bandierina?’. Avevo mosso all’ultimo secondo. Gli ho detto la verità: non sono abituato a giocare con gente così forte, contro di lui. Ero tutto nervoso: anche se la posizione era vinta, quelli erano proprio nervi. Mi ha guardato in maniera assurda: l’ho battuto, ho giocato una buona partita, ho anche meritato. Era fuori dal mondo per lui. Un signore davvero, ogni volta lo dimostra. E poi sentirlo parlare di scacchi è incredibile. Parliamo di uno che è andato a una mossa dal diventare Campione del Mondo“.
E anche con il suo allievo Vincent Keymer, in Bundesliga, hai ottenuto una patta.
“Leko si sta dimostrando anche un trainer di livello incredibile. Ha preso Keymer quando aveva 12 anni e l’ha portato al numero 4 del mondo. Anche lui ha imparato da Leko come comportarsi e come approcciare le persone, con grande rispetto. La Bundesliga in realtà è stata un disastro, non mi sono trovato. Con la squadra sì, eravamo molto uniti e contenti, ma il format non mi ha proprio convinti. Andavo su in macchina, c’erano trasferte lunghe, due partite a weekend, non si riesce a entrare davvero concentrati. Con Keymer uno è obbligato a esserlo, se non vuoi perdere subito devi essere concentrato. Evidentemente ho tirato fuori qualcosa in più. L’unico mezzo punto della Bundesliga l’ho fatto contro di lui. Ho perso contro gente con cui non doveva succedere, ma capita“.
Torniamo a Goa. Il sorteggio iniziale per te era del tipo dell’essere più complicato nell’affrontare Samadov e Niemann rispetto alla parte successiva?
“Sì, senza dubbio. Sapevo che la chance di fare qualcosa di buono c’era se avessi passato il primo scoglio. Ed era un primo scoglio grosso, era quasi una montagna. Però questo era anche molto motivante, ti obbliga a dare tutto quello che hai. Nel match con Niemann l’ho fatto senza dubbio, giocando molto bene. L’unica cosa, anche se non sembra, perché non sembra, è che è un match con tanti nervi, anche da parte mia. Da fuori non è sembrato perché la qualità delle mosse è stata sempre oggettivamente ottima. Però in realtà io dentro non ero tranquillo e questa è una cosa che bisogna migliorare in generale a quel livello. La qualità delle mosse però c’è stata. Non si può chiedere molto di più“.
Fra l’altro con il coraggio di entrare in quel finale di Alfiere e due pedoni contro Torre in cui Niemann ha sbagliato, perché si è messo la Torre nella condizione di non poter più nuocere. E lì l’hai vinta.
“Quel finale lì arriva dopo una partita in cui ho dominato, ma in cui ho sprecato il vantaggio, lasciando un pedone in presa. Tensione, ci sta. Ho tirato questo tentativo fuori dal cilindro ed è crollato. L’ultima scelta difficile l’ha mancata, ho tirato questo bel trucco e ha funzionato. Una vittoria che sento meritata, ma che stava per scappare. Per fortuna è arrivata“.
Fra l’altro nel finale hai mostrato una grande tecnica. Il riferimento è soprattutto a quelli con Sevian, perché c’è stato quel finale di Donne, con tutto il macello che già di loro sono i finali di Donne, gestito in maniera sublime. E poi quello di Torre in cui prendi i due pedoni e te ne vai. Lì ci vuole anche una bella dose di tecnica.
“Senza dubbio sono migliorato nei finali tecnici. Questa è stata una cosa graduale negli anni. Sicuramente c’è stata una buona dose di studio nei finali di Torre e su qualche altro tipo. Qualcosa sui finali di Donne, qualcosa su quelli con i Cavalli… e i pedoni, ovviamente, che sono sempre importanti. Questo si vede. Non sono le posizioni in cui mi trovo più a mio agio, però mi funzionano molto bene. Anche lì è parte del processo. Anche lì arriverò a trovarmi al mio agio al 100%. Finché funzionano così bene mi convincerò anch’io“.
Anche perché sei uno che ha bisogno di creare, sulla scacchiera, tante situazioni potenzialmente diverse.
“Io ho questo bisogno. Sento il bisogno di dare il 100% e di provare qualunque cosa sulla scacchiera, in ogni partita, altrimenti è un’occasione buttata. Bisogna dare, secondo me, sempre il 100%, fare ogni tentativo sulla scacchiera, cercare sempre una situazione difficile, non lasciare nessuna possibilità intentata. Se non hai provato qualsiasi cosa per vincere, mi sembra proprio una possibilità persa. Gli scacchi sono un gioco in cui, quando cerchi di vincere, aumenti anche le possibilità di perdere. Negli anni sono arrivate tante sconfitte in questo modo. Ultimamente ho trovato un certo bilanciamento tra il sentirmi di dover dare sempre qualcosa in più e cercare sempre la situazione diversa e mantenere le cose sotto controllo, che aiuta dal punto di vista del risultato a lungo termine“.
E il concetto del sotto controllo dev’essere stata anche una chiave della seconda partita con Michael Adams, quella in cui non ti sei perso d’animo.
“Lì non mi sarei perso d’animo nemmeno qualche anno fa. Rimanere lì è sempre stata una mia caratteristica, dare il tutto per tutto, nei tornei che contano. In quelli un po’ meno importanti mi capita di ‘girare via’. Lì dopo dieci minuti di grossa confusione con me stesso, e grosse parole anche, ho trovato la verve e la voglia di continuare a combattere, di porgli problemi. Perché lì è anche questione di voglia. Non è divertente quando sai che la posizione è persa e devi cercare un modo per impedire di perdere. Però è andata. Meglio di così…“.
Una cosa della pratica scacchistica che si vede spesso è che ci sono abitudini diverse. Alcuni si alzano abbastanza spesso. Altri si alzano molto spesso. Altri non si alzano mai. Adams è uno che non si alza mai. Sevian si alza molto spesso. Tu ti alzi abbastanza spesso. Di solito da cosa dipendono queste abitudini?
“Domanda che mi sono fatto anche io diverse volte nel corso degli anni. Io mi alzo tra abbastanza e molto spesso. Dipende dai tornei e dai momenti. Nei tornei importanti sfogo la tensione bevendo molta acqua, parliamo di 2,5-3 litri a partita. Devo andare fisiologicamente in bagno. Però io ho anche bisogno di togliere in qualche modo la tensione, è l’unico modo che ho trovato e che io abbia durante la partita. Cammino, cammino. Anche Sevian lo fa per una questione di tensione, di alzarsi e camminare. Ognuno ha il suo modo. Per alcuni è una cosa che io consiglio, quella di alzarsi e andare via. Alle volte se rimani seduto la tensione continua ad aumentare, non è mai una pausa. Per altri fa perdere la concentrazione. Per cui dipende un po’. Farlo 1-2 volte a partita è sicuramente salutare, farlo quanto lo faccio io o lo fa Sevian… qualcuno deve provare e capire ciò che è giusto per lui“.
Quando hai cominciato a giocare a scacchi e quando hai capito di poterli rendere qualcosa di importante nella tua vita?
“Le regole le ho imparate a 5 anni. Da lì ho iniziato ad andare al circolo di Chioggia, vicino casa mia, poi ho iniziato a giocare i tornei con i bambini e così via, in giro per il Veneto. Sicuramente il primo step è stato a 12 anni, quando ho vinto il Campionato Italiano Under 12. Quello è stato il primo step per dire ‘ok, se mi metto a studiare scacchi, si può arrivare da qualche parte, posso valere qualcosa, dimostrare qualcosa’. Non ero il favorito, non ero nulla, ero il numero 5 di tabellone. In un anno con Luca, con Valerio Carnicelli (che finirono secondo e terzo, N.d.R.), molto prolifico. E c’erano altri ragazzi poi diventati molto forti. Quello è stato il primo cambio di passo. Poi ho continuato a crescere…“.
…e a vincere Campionati Italiani, perché hai vinto anche l’Under 16 e l’Under 20.
“Vero! I risultati arrivavano, perché ho vinto quei due campionati e poi lo step successivo l’ho fatto vincendo l’Assoluto nel 2018 a 18 anni“.
Contro Alberto David e anche Moroni era a 7.
“All’ultimo turno Luca e io dovevamo vincere per raggiungere Alberto David. Luca ha cercato di vincere e ha perso, io ho cercato di vincere e ce l’ho fatta e poi gli spareggi con Alberto David sono stati con la giovane incoscienza di uno di 18 anni che non si aspettava di essere lì e non capisce di essere lì, non capisce che se vince quegli spareggi vince davvero il Campionato Italiano Assoluto. E allora è tranquillo, gioca a scacchi, è contento e fa due ottime partite di spareggio. Quello era proprio un’altra cosa. Era incoscienza. A volte paga“.
Tu sei nato a Brescia, ma cresciuto a Chioggia: nella tua testa ti senti più uno di Chioggia?
“Sì. Io sono nato a Brescia, ma ho vissuto solo i primi anni tra Brescia e Peschiera del Garda, di dove mio papà è originario. Poi ci siamo trasferiti tutti a Chioggia, di dove mia mamma è originaria. Io ho un ricordo, ma non so se è impiantato o un ricordo vero, di quando avevo 3-4 anni. Ricordo una vasca da bagno enorme, che sarà stata tale solo perché avevo quell’età. Mi sento di Chioggia“.
Tornando a noi: Grande Maestro a 21 anni, 2021.
“Nonostante avessi vinto il Campionato Italiano, non mi sentivo pronto per diventare Grande Maestro né pensavo di poterlo diventare. Vincerlo mi ha dato le opportunità che poi mi hanno permesso di arrivare a dire ‘ma sai che posso diventare Grande Maestro?’. Poi quando entri nel giro della Nazionale inizi a parlare, a giocare con gente più forte, tornei più forti. Anche lì è questione di abitudine e ti dici che può essere il tuo livello. E da lì anche dopo il Covid il titolo è arrivato molto velocemente“.
Quel periodo del Covid quanto fu impattante per tutti voi? Bloccò tutta l’attività dal vivo, ma creò il boom dell’online.
“Bisogna essere onesti: per gli scacchi è stato una manna dal cielo. Ha creato il boom dell’online, il pubblico ancora più vasto e ha spinto molto su alcune cose, perciò è stato senza dubbio positivo. Le attività sono state bloccate, però per me è stato più un periodo positivo dal punto di vista per gli scacchi, perché li ho studiati (in parte), e sono entrato in un gruppo che quella volta era Clash, di e-sports, con Luca e Alessio Valsecchi, Danyyil Dvirnyy e Francesco Sonis. Alla fine a essere tra gente forte ti trascina un po’. Per me è una questione di fare l’abitudine alle cose, sentirsi all’altezza. Mi ha aiutato davvero a sentirmi all’altezza“.
Tu che sei nato in un’era ibrida tra l’era dei libri e la rivoluzione dei computer, quanto hai integrato in percentuale tra libri e computer?
“Io sono un fan e sono nato e cresciuto sui libri fino ai 14-15-16 anni. Ero solo libri. Online dovevi fare lezione con l’istruttore, ci stava. Io sono sicuramente cresciuto sui libri, mi piaceva e piace leggere. Me li portavo a scuola da leggere durante le interrogazioni degli altri miei compagni. E infatti ogni tanto i professori…”
…te ne dicevano!
“Alle scuole medie figurati, quando l’insegnante ti vede con ‘sto libro mentre interroga con gli altri compagni, diciamo che uno se le va anche a cercare. Però sono un grande appassionato di libri. Però arriva un momento, e il mio è stato tra i 16-18-19 anni, in cui sono passato anch’io allo studio più dai computer, ma perché è cambiato semplicemente il livello mio e anche lo studio da computer è diventato un po’ più obbligato“.
Gli scacchi in Italia stanno crescendo anche perché, dopo anni in cui erano i vari Mariotti e Tatai a reggere l’alto livello, e in seguito Godena quasi da solo, adesso siete voi come gruppo a farvi forza. E poi, oltre i vari Di Benedetto, Lumachi e compagnia, stanno arrivando Fava, Cinà, Hercegovac, Perossa, Vincenti. E sono niente male.
“Senza dubbio stanno arrivando due generazioni. A parte quella dei Di Benedetto e Lumachi, poi c’è quella di Fava e Cinà, può diventare tranquillamente un’ottima generazione minimo di Maestri Internazionali, poi sta a loro. Poi ce n’è una ancora più piccola, Vincenti, Fulgentini, Perossa. Hanno tutte le carte in regola per diventare Grandi Maestri. Non è facile diventarlo, perché devi essere anche un po’ fortunato, oltre a tutto lo studio che c’è dietro. Devi avere qualche qualità. Io sono abbastanza d’accordo sul fatto che quasi tutti possano diventare Grandi Maestri, ma se sono fortunati. Se beccano la spinta giusta, quella di fiducia giusta nel momento in cui uno si blocca, perché ti bloccherai sicuramente. Non è mai tutta dritta la strada“.
Questa è una cosa che raccontò anche Luca Moroni anni fa. Lui aveva fatto lo step da 2400 a 2500, e gli era difficile superare proprio quello scoglio. Per dire che ci sono anche degli stati mentali.
“Già. Ed è proprio lì che ti serve quel qualcosa in più, o la spinta da fuori, che è assolutamente una cosa valida, o devi fare tu uno step dentro appoggiandosi a qualcosa o qualcuno. Lì sono proprio step che uno in qualche modo deve superare. A volte puoi farcela da solo, a volte no. Serve una mano. Per questo dico che quella generazione ha tutte le carte in regola. Poi bisogna vedere, serve anche una mano“.
E non è solo un fatto di maschile, perché anche nel settore femminile girano nomi potenzialmente forti da Clio Alessi a Ria Arun.
“Assolutamente. Nella generazione a metà c’è anche Greta Viti, che è appena diventata WFM (Maestra FIDE femminile, N.d.R.), e non solo lei. Il settore giovanile sta funzionando in questi ultimi anni e si vede. Bisogna vedere se siamo pronti per far fare a questi ragazzi e ragazze questo step in più, perché in Italia mancano e sono sempre mancati quei tornei per farlo fare loro. Luca è dovuto andare fuori per fare le norme, io sono dovuto andare fuori“.
Ci manca quello che poteva essere un Reggio Emilia* in passato. Poi è vero che era un supertorneo, di quelli cui partecipavano giocatori fortissimi, ma il discorso è quello.
“Sì, parliamo di un torneo ti misuri con Grandi Maestri di alto livello. E vale sia per loro che stanno cercando di fare le norme per arrivare ai titoli internazionali che per noi che cerchiamo di fare lo step in più da Grandi Maestri di buon livello a Grandi Maestri di alto livello“.
Fra l’altro, quando si tratta di organizzare questi tornei a volte è anche un po’ difficile intrinsecamente. Ce ne sono stati negli anni di forti, ma non è facile convincere qualcuno o a mettere in piedi questi tornei o a dare loro costanza.
“Non è facile senza dubbio. La Federazione è meritevole per metter su un ambiente che permetta a questi ragazzi di crescere e di arrivare. Per tornei di un altro livello, la Federazione può fare poco nel senso che servono sponsor. L’unica cosa in cui potrebbero forse intervenire sarebbe questa ricerca, ma non è facile e capisco che non lo sia. Penso si possa fare un lavoro migliore in questo caso, nel senso che sono sicuro che ci possano essere sponsor di medio livello che si possono trovare. Però non è facile, servono tante telefonate, tanti contatti, professionisti. Non è facile. Spero qualcuno s’incaricherà di questo lavoro. Dico questa cosa in modo un po’ egoistico, per fare lo step in più mi serviranno tornei così. Averlo in Italia un torneo di così alto livello mi darebbe una chance di fare quel salto in più. Ora, fino a 2630-2640 e forse 2650 ci posso arrivare anche da solo. Poi per arrivare più su mi servirà giocare tornei di quel livello. Magari qualcuno prenderà la palla al balzo“.
Quali sono state le persone più importanti nella tua formazione scacchistica?
“Ho avuto due insegnanti. Prima il Maestro FIDE palermitano Francesco Bentivegna, che mi ha seguito per circa 3 anni, dai 12 ai 15. Mi sono trovato molto bene, mi ha dato una buona impronta. Poi ho avuto altri 2-3 anni con il Grande Maestro russo-lettone, tecnicamente nato in Ucraina, il purtroppo molto famoso, per i motivi sbagliati, Igor Rausis. Che, a parte esser stato squalificato per cheating dopo, era stato mio insegnante. Lui è stato uno dei primi Grandi Maestri a venire squalificato per cheating. Di lui trovarono la foto in bagno mentre barava, era stato un caso incredibile. Io avevo già finito di studiare con lui, l’ho fatto 2-3 anni ed è stato per me molto importante. Lui è stato un istruttore di alto livello, ha formato Shirov. Poi la cosa più importante è stata il supporto dei miei genitori, che mi hanno permesso di giocare i tornei che mi servivano in Italia e all’estero. Mi sento di dire che dal punto di vista scacchistico un grazie va ad Andrea Bisaro, che è stato uno dei pochi organizzatori che ha sempre cercato di organizzare tornei di buon livello. Ho partecipato nove volte al torneo di Spilimbergo**, che ha sempre organizzato lui. Bisogna ringraziarlo perché sono persone importanti“.
Sulle direzioni che si possono prendere, sulla via che non è tutta dritta, in termini di diventare Grandi Maestri: abbiamo avuto Axel Rombaldoni che ha preso un’altra strada, Francesco Rambaldi che ha completamente cambiato vita.
“Rambaldi ha lavorato in Microsoft, matematica applicata all’economia, e adesso lavora in Borsa“.
A ulteriore conferma che le sliding doors ci sono eccome.
“Altroché se ci sono! Una è passata e l’ho presa, ed è stata positiva per gli scacchi e quindi è anche andata bene quest’anno. Però la prossima chi lo sa. Se tra un anno il mio livello è salito, ma di poco e non vedo grandi possibilità di supporto, vedo che servirà troppo impegno, chi lo sa. Spero che concentrarsi sugli scacchi porti i frutti perché mi piacerebbe dare qualcosa di importante agli scacchi in Italia. Secondo me è il momento, adesso c’è il pubblico, fare qualcosa di importante aprirebbe il mondo degli scacchi in Italia a un pubblico più generalista e importante, e darebbe ancora più soddisfazioni. Però so anche che non posso fare tutto da solo e servirà un supporto per provare a fare qualcosa di grosso, anche da parte della Federazione, che comunque so che c’è, come in parte gli sponsor“.
Risposta del pubblico, peraltro, ampiamente dimostrato dal fatto che nello spareggio con Sevian sui vari mezzi di trasmissione si sono superati i 4000, poi i 5000, poi i 6000 collegati. E sembra più forte in Italia che in altri posti, viene l’esempio della Francia dove pure ci sono sia Firouzja che Vachier-Lagrave.
“Sembra che il pubblico ci sia, che ci sia l’attaccamento. Ed è un po’ strano, però in Francia è anche molto più radicato. Hanno un ecosistema scacchistico più radicato. Però vedo anch’io questa cosa. Secondo me è il momento in cui si può fare in Italia. Vedremo“.
*Il supertorneo di Reggio Emilia si teneva attorno a Capodanno, abitualmente, dal 1958 e l’ultima edizione si è giocata nel 2011-2012. L’edizione del 1991-1992, vinta da Anand su Gelfand, Kasparov, Karpov e Ivanchuk, per qualche tempo ha avuto il rango di torneo più forte mai disputato nella storia.
**Quest’anno il vincitore di Spilimbergo, peraltro, è stato proprio Lorenzo Lodici dopo uno spareggio tecnico con sette giocatori tra cui il talentuoso belga Daniel Dardha.
