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Christian Scaroni: “Se segui Pogacar, ti fa esplodere. Villa un leader silenzioso, senza l’Astana non sarei qui”
Christian Scaroni sta vivendo la miglior stagione della sua carriera. Il corridore bresciano dell’XDS Astana, che chiuderà il suo 2025 alla Veneto Classic del 19 ottobre, ha saputo reinventarsi, trasformando le difficoltà del passato in energia positiva. Dopo la splendida vittoria di tappa al Giro d’Italia, conquistata in parata con Lorenzo Fortunato, e la grande prova agli Europei, Scaroni ha raccontato ad OA Sport il suo momento di piena maturazione, tra nuove consapevolezze, sogni e realismo.
Stai vivendo la tua miglior stagione della carriera: quali sono gli ingredienti di questa piena maturazione?
“Sicuramente oggi sono più consapevole dei miei mezzi, e questo arriva anche grazie ai risultati. Quest’anno la squadra aveva bisogno di punti per mantenere la licenza World Tour, quindi abbiamo puntato molto sulle corse di un giorno. In quelle situazioni ho capito che il mio terreno ideale sono proprio le Classiche, le gare dure e di un giorno. L’arrivo poi di corridori come Ulissi e Bettiol è stato fondamentale: hanno portato una mentalità vincente grazie alla loro grande esperienza. Lavorare accanto a loro mi ha aiutato a crescere e ha fare uno step in avanti”.
L’emozione della tappa vinta al Giro d’Italia in parata con Lorenzo Fortunato: è stato l’apice della tua carriera?
“Fino ad ora direi proprio di sì. È stata la ciliegina sulla torta di una stagione importante, ma anche uno dei momenti più belli della mia carriera. Vincere in quel modo, con un compagno e un amico, è qualcosa che porterò sempre con me”.
Agli Europei hai corso con coraggio e orgoglio, conquistando applausi e rispetto. Se tornassi indietro, cambieresti qualcosa tatticamente?
“No, non cambierei nulla. Ho dato davvero tutto. Riguardando la corsa, mi sono accorto che mi sono mancati solo una decina di metri, ma eravamo tutti al limite. Seixas ha dimostrato di avere gambe più reattive delle mie, ma essere lì dietro a due campioni come Pogacar ed Evenepoel, vale quasi come una medaglia d’oro”.
Abbiamo visto che Ayuso ti parlava spesso durante la corsa: ci sono state polemiche tra di voi?
“No, nessuna polemica. Juan voleva più collaborazione all’inizio, quando nel gruppo c’era ancora Remco. Gli ho spiegato che Evenepoel stava chiaramente cercando di staccarci, quindi non aveva senso tirare. Una volta che è riuscito a evadere, allora sì, era il momento di collaborare. Quando siamo rimasti in tre, ho detto: ‘Andiamo insieme fino all’ultimo giro e poi ce la giochiamo’. E così abbiamo fatto”.
Sono passati quasi quattro anni da quando la tua carriera rischiava di chiudersi con la Gazprom. Oggi cosa conservi di quell’esperienza? E quanto devi all’Astana per il rilancio?
“Conservo sicuramente un po’ di rammarico per gli anni persi, perché credo di essere arrivato solo ora alla piena maturità. Sono esploso tardi, anche per la mancanza di continuità dovuta alla pandemia e allo stop improvviso con la Gazprom. Molti corridori, in quella situazione, hanno appeso la bici al chiodo. Io invece ho scelto di reagire. L’Astana mi ha dato la possibilità di rimettermi in mostra: a loro devo tantissimo. In particolare a Beppe Martinelli, che mi ha voluto fortemente, ma anche a Vino (Vinokourov, ndr) e Mazzoleni. Senza di loro oggi non sarei qui”.
Ora che hai svoltato nella tua carriera, c’è una corsa che ti piacerebbe vincere?
“Quest’anno ho corso la Clasica San Sebastian e mi è piaciuta tantissimo. È una gara che sento nelle mie corde. Anche il Mondiale in Canada mi piace molto: sono corse dure, tecniche, adatte alle mie caratteristiche. Vedremo l’anno prossimo…”.
I prossimi tre Mondiali saranno impegnativi. Pensi che la tua prestazione agli Europei possa contare in vista delle prossime convocazioni in maglia azzurra?
“Sì, ne abbiamo già parlato con Marco Villa, che sta cercando di costruire una Nazionale solida in vista dei prossimi tre Mondiali. Sta valutando il gruppo migliore per affrontare questo percorso triennale. Io cercherò di farmi trovare pronto e, se la condizione sarà buona, spero di esserci”.
Che atmosfera si è creata in squadra con il nuovo ct Marco Villa?
“Marco è un leader silenzioso: non parla molto, ma, quando lo fa, si fa ascoltare. È un tecnico che crede nella forza del gruppo e nel lavoro collettivo, e credo sia la strada giusta per costruire una Nazionale unita e competitiva”.
Come vive il gruppo una corsa sapendo che, se c’è Pogacar, spesso si corre solo per l’argento o il bronzo?
“Credo che ‘rassegnazione’ sia la parola giusta, anche se non è bello dirlo e so che magari chi leggerà quest’intervista non lo interpreterà bene, ma è la verità: Tadej è nettamente superiore. Provare a seguirlo rischia solo di compromettere la tua gara, perché ti porta fuori ritmo e ti fa esplodere. Quando parte, spesso conviene lasciarlo andare. È frustrante, certo, perché ogni atleta sogna di vincere, ma questo è il livello oggi”.
Tu sei l’esempio che ogni corridore ha i suoi tempi di maturazione. Si sbaglia a chiedere tutto e subito ai giovani?
“Sì, penso di appartenere a una generazione in cui la maturazione arrivava più tardi, tra i 28 e i 30 anni. Oggi i giovani assimilano meglio i carichi di lavoro, hanno strumenti avanzati e margini di errore minimi. Il rischio però è che vengano spremuti troppo presto: si ottengono risultati immediati, ma non sempre carriere lunghe. Penso a corridori come Diego Ulissi, che hanno saputo gestirsi e durare nel tempo. Oggi si vuole tutto e subito, ma non si sa per quanto possa durare”.
