Scacchi
Scacchi: è morto Boris Spassky, decimo Campione del Mondo. Con Fischer la sfida più famosa
Gli scacchi perdono una delle figure più importanti della propria storia. Boris Spassky, decimo Campione del Mondo e molto a lungo nell’élite assoluta, è morto all’età di 88 anni. Da diverso tempo era ormai lontano dalle scene pubbliche, ma il suo segno è rimasto forte.
Nato a San Pietroburgo il 30 gennaio 1937 (quando la città si chiamava Leningrado), Spassky ha imparato a giocare a 5 anni, su un treno dei tanti che si occupava dell’evacuazione della sua città natale nell’assedio durante la Seconda Guerra Mondiale operato dalla Germania nazista. Già a 10 anni, in una simultanea, riuscì a pattare con Mikhail Botvinnik, allora solo campione dell’Unione Sovietica, dall’anno successivo Campione del Mondo.
Diventato sempre più prominente col passare del tempo, entrò sulla scena internazionale nel 1953, quando gli fu concesso di giocare i primi tornei all’estero e ottenne il titolo di Maestro Internazionale. Nel 1956, giocando il Torneo dei Candidati, divenne automaticamente Grande Maestro.
Gli anni successivi furono segnati da risultati altalenanti, sia ai campionati sovietici che a quelli di Leningrado. Nel 1961 si affidò a Igor Bondarevsky quale allenatore, un fatto che sostanzialmente gli cambiò la traiettoria scacchistica. Nel giro di cinque anni fu in grado prima di arrivare al Torneo dei Candidati, vincendo la finale con Mikhail Tal a Tbilisi, e dunque di giocare per il titolo mondiale con Tigran Petrosian. Il Campione del Mondo di allora, però, si tenne la corona per 12,5-11,5, anche se di fatto tutto si era chiuso sul 12-10 (alla 22a partita) perché ai tempi se il campione in carica arrivava a 12 manteneva il titolo.
Nel 1969, però, il destino fu diverso. Dopo aver battuto Viktor Korchnoi, il suo concittadino che mai aveva smesso di essere rivale, Spassky stavolta riuscì a sconfiggere Petrosian per 12,5-10,5. Fu così suo il titolo di Campione del Mondo. Nel 1970 fu prima scacchiera nel celebre match Unione Sovietica-Resto del Mondo giocato a Belgrado, in cui segnò una vittoria, una patta e una sconfitta contro il danese Bent Larsen prima di essere sostituito da Leonid Stein (peraltro prematuramente scomparso a 38 anni nel 1973). I sovietici vinsero 20,5-19,5.
Intanto, però, stava emergendo la stella di Bobby Fischer, che distrusse qualunque cosa trovava sulla propria strada tra il 1970 e il 1971. Arrivò il tempo del match Fischer-Spassky, il primo a non giocarsi a Mosca, nei fatti, dall’immediato dopoguerra. Si disputò a Reykjavik, e inevitabilmente fu un match di estremo simbolismo in virtù della corrente Guerra Fredda tra USA e URSS. Del match si è detto e scritto di tutto e di più, e forse rimane ben poco da aggiungere a quanto già noto, compreso il rischio che Fischer quel match non lo giocasse. Ci volle, molto in breve, una buona dose di diplomazia da tutte le parti per far sì che si cominciasse.
La prima partita vide uno dei più famosi errori della storia, un autointrappolamento di Alfiere di Fischer, che poi non si presentò per la seconda partita, vinta a forfait da Spassky. Che, però, acconsentì a giocare in una sala più piccola di quella originariamente predisposta, una delle tante richieste di Fischer che s’infastidiva per questo o quel motivo praticamente a ogni torneo. La terza partita la vinse l’americano, che da quel momento fu praticamente inafferrabile e vinse 12,5-8,5 diventando Campione del Mondo (per poi sparire, o quasi, dalla circolazione per vent’anni).
Spassky, nonostante questo, continuò ad avere ottimi risultati per lungo tempo. Dopo le terze nozze, nel 1976 emigrò in Francia, ne divenne cittadino e giocò per il Paese tre Olimpiadi Scacchistiche, dopo le sette giocate da sovietico, per un totale di dieci. Ancora lungo quasi tutti gli Anni ’80 rimase nella top ten mondiale, sebbene a intermittenza, osservando da vicino anche l’esplosione di Garry Kasparov, destinato a diventare il rivale di Anatoly Karpov, che invece già ben conosceva. Nel 1992 accettò di giocare un match di rivincita con Fischer nella Jugoslavia che si stava dissolvendo, vincendo cinque partite e perdendone dieci.
Nel 2006 fu colto da un infarto di minore entità a San Francisco, fatto ripetutosi nel 2010, il che lo lasciò paralizzato sul lato sinistro. Nel 2012 tornò in Russia e ridivenne cittadino russo, sparendo però dalla vita pubblica fin dal 2016. Numerosissimi i messaggi di cordoglio giunti dal mondo degli scacchi, che ricordano di lui la grande longevità ad alti livelli e non solo.
