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British Open 2023: il percorso e le 18 buche ai raggi X. Il Royal Liverpool ospita per la tredicesima volta

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British Open Championship Liverpool

Harold Hilton, Sandy Herd, Arnaud Massy, John Henry “J. H.” Taylor, Walter Hagen, Bobby Jones, Alf Padgham, Fred Daly, Peter Thomson, Roberto De Vicenzo, Tiger Woods, Rory McIlroy. Sono questi i 12 nomi che hanno vinto al Royal Liverpool quando vi si è tenuto l’Open Championship, informalmente noto come British Open. Andiamo a scoprire il percorso nella sua versione 2023.

Buca 1 (Royal, par 4, 420 metri): si comincia con una buca che prevede la presenza di sette bunker, di cui tre a protezione del green. Si gira un po’ a sinistra per arrivare su un green di non facile interpretazione con le pendenze.

Buca 2 (Stand, par 4, 414 metri): più che il tee shot, qui è davvero importante il secondo colpo, che può andare a finire sui tre bunker che, ai lati, non risultano semplici da gestire se colpiti. Anche qui green ondulato; si può trovare il birdie, ma è una buca, per dirla all’inglese, “tricky”.

Buca 3 (Course, par 4, 390 metri): da un lato c’è il fuori limite, dall’altro la club house. Si gira a destra a metà, e si rischia di non fare un grande affare cercando di “tagliare” verso il fairway con il tee shot. Il green, ad ogni modo, è tra i meno complessi del percorso.

Buca 4 (Road, par 4, 336 metri): si tratta della buca con l’unico green rimasto del layout originale del percorso, quello relativo a quando questo è stato aperto nel lontano 1869 su disegno di Robert Chambers, George Morris, più tardi rivisto da Harry Colt. Da evitare troppe deviazioni sia con il tee shot che con il secondo colpo, vista la presenza di sette bunker di cui tre a metà buca e quattro a protezione del green,  a pendenza costante.

Buca 5 (Long, par 5, 475 metri): non è propriamente un caso il nome attribuito a tale buca, il primo par 5 del percorso. Dogleg con lungo andare verso sinistra in questo caso (e i bunker per lunga parte sono a destra); tutto dipende da dov’è la bandiera sul green, perché se la parte iniziale non è particolarmente ondulata, più in fondo c’è da dover affrontare una sorta di scalino.

Buca 6 (New, par 3, 184 metri): primo par 3 del Royal Liverpool, percorso che fra l’altro ha anche un secondo nome più colloquiale, Holylake, dal nome della città del Merseyside che effettivamente lo ospita (a meno di 20 km da Liverpool). Questa buca è protetta, a livello di green, da tre bunker; avvallamenti soprattutto al centro verso la parte più vicina alle tribune, dove si sale di pendenza.

Buca 7 (Telegraph, par 4, 440 metri): numerosi elementi naturali si frappongono tra il tee shot e il fairway vero e proprio. C’è una zona di passaggio che taglia in due proprio il fairway qualche decina di metri prima del green. Anche a livello pro questa buca è meglio giocarla con il ferro immediatamente più lungo di quello che si intenderebbe utilizzare in altre condizioni, pena il rischio di trovarsi in zone scomode (bunker compresi).

Buca 8 (Briars, par 4, 399 metri): il consiglio che viene spesso dato in questo caso è di restare in sicurezza sulla parte più larga del fairway con il primo colpo (in pratica, quella iniziale). Tre buche difendono il green, che soprattutto sulla parte destra è fondamentalmente rialzato.

Buca 9 (Dowie, par 3, 199 metri): qui c’è anche da gestire molto bene il vento, che molto spesso viene da destra verso sinistra con tutti gli effetti indesiderati possibili nel tentativo di ricerca immediata del green. Due i bunker ai lati di questo green che è particolarmente allungato.

Buca 10 (Far, par 5, 464 metri): normalmente sarebbe un par 5, ma qui viene portato a livello di buca nella quale già fare un birdie è piuttosto difficile. Il nome deriva dal fatto che è la buca che si colloca nella posizione più lontana in assoluta dalla club house. Qui, nel 1930, Bobby Jones ci mise sette colpi, ma ciò non gli impedì di fare il Grande Slam quando questo era proprio par 5. Due i grandi rischi: gli avvallamenti a metà zona di fairway a destra e, vicino al green, il bunker a destra. Che è (molto) profondo.

Buca 11 (Punch Bowl, par 4, 358 metri): famosa perché la vista da qui è veramente bella (tratto comune, del resto, a tutto ciò che è zona di mare del Merseyside). Tanti, tantissimi gli avvallamenti sul fairway che rendono sempre diversa la lettura dei colpi a seconda di dove si finisce. Bunker molto profondo a sinistra del green, ma ce n’è un altro a destra, e all’altezza della metà dello stesso. Molto interessante.

Buca 12 (Dee, par 4, 411 metri): dogleg a sinistra e tutto abbastanza facile fino all’arrivo sul green. Forse una delle buche meno complesse del percorso. Certo, sempre meglio non finire a sinistra del green, perché è una zona veramente molto profonda.

Buca 13 (Alps, par 3, 177 metri): se da una parte c’è la vista direttamente sul mare, dall’altra ci sono da superare parecchie piccole alture per arrivare in sicurezza al green, difeso da un bunker e molto lungo. O corto, a seconda di dov’è la bandiera e dove si finisce.

Buca 14 (Hilbre, par 4, 415 metri): altro dogleg a sinistra per una delle più rinomate buche del percorso. Per chi tende a colpire lungo dal tee shot c’è la possibilità di crearsi subito uno spazio per il birdie, ma il problema è dove si arriva nel green. Non a destra di sicuro: lì si scende fuori e sono problemi.

Buca 15 (Field, par 5, 567 metri): benvenuti in Paradiso. O all’Inferno, dipende dai punti di vista. Buca davvero lunga, che richiede molto sforzo già solo per tentare un birdie. Nondimeno, con quattro bunker di cui uno davanti al green e tre a sinistra, e con la deviazione destra-sinistra precedente, qui è tutta questione di arrivare, perché poi trovare almeno i due putt non è difficile.

Buca 16 (Lake, par 4, 422 metri): qui ci sono i venti da sudovest a “disturbare” parecchio, rendendo questa una tra le buche più complesse. Il nome lacustre è per certi versi ingannevole, perché non ci sono ostacoli d’acqua in giro. Semmai, prima del green, ci sono i soliti bunker e c’è anche da fare attenzione a non finire troppo lunghi o a lato: è molto facile trovarsi in un muschio di difficile gestione.

Buca 17 (Little Eye, par 3, 124 metri): buca particolare, totalmente ridisegnata prima del 2020. Il green, di nuova costruzione, è stato rialzato ed è affiancato da due profondi bunker. Il nome “Little Eye”, occhio piccolo, deriva da quello di una delle isole che si possono vedere dal green.

Buca 18 (Dun, par 5, 557 metri): la parola “challenge” è l’ideale per questa buca finale con dogleg che va verso destra e che, per forza di cose, molto difficilmente sarà mai chiusa con un eagle. Il lungo fairway comincia con due bunker, altri cinque si trovano attorno al green e, in generale, è la lunghezza il vero ostacolo assieme al posizionamento della profonda sabbia.

Foto: LaPresse