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Calcio, basta piagnistei: i giovani italiani non giocano in Serie A perché non sono all’altezza

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In questi giorni abbiamo assistito alla sagra delle banalità. Tutti, addetti ai lavori e non, ad esprimere la propria opinione, come se servisse a qualcosa o se cambiasse il verdetto del campo. L’Italia, per la seconda volta di fila, non andrà ai Mondiali di calcio, peraltro dopo aver vinto gli Europei poco più di otto mesi fa. La qualificazione, è bene sottolinearlo, è stata mancata non tanto a causa della sconfitta contro la Macedonia, ma per aver vanificato a più riprese le occasioni di vincere il girone eliminatorio: pesano in particolare i due errori dal dischetto contro la Svizzera, sia nella partita di andata sia in quella di ritorno. E’ innegabile che gli azzurri, ancora ebbri dai fasti di Wembley, abbiano approcciato con eccessiva sufficienza i delicati appuntamenti autunnali, ritrovandosi poi alle prese con un baratro inaspettato che non hanno in alcun modo saputo gestire.

Si potrebbe discutere a lungo sul perché l’Italia, sbeffeggiata dal resto del mondo che non aspettava altro di potersi sfogare dopo le decine di vittorie azzurre nel 2021, resterà nuovamente a guardare: non è nostra intenzione aggiungerci ai soloni che stanno sprecando fiumi di inchiostro. Ci teniamo però a rimarcare un concetto: è ora di finirla con i piagnistei secondo cui i giovani italiani non giocano in Serie A perché “va di moda lo straniero”. E’ falso, assolutamente falso. I giovani azzurri non giocano perché non sono all’altezza. Se proprio vogliamo essere franchi sino in fondo, sono più scarsi rispetto agli stranieri e, giustamente, finiscono in panchina o in tribuna.

Un allenatore di Serie A viene (lautamente) pagato per raggiungere degli obiettivi, che siano scudetto, qualificazione alle coppe europee o salvezza. Deve ottenere i risultati a tutti i costi, pena il licenziamento. Secondo voi, in queste condizioni, un allenatore non schiera i migliori giocatori a sua disposizione, che siano italiani, francesi, spagnoli, inglesi o brasiliani? Di sicuro non sta a guardare il passaporto o il luogo di nascita: schiera chi in quel momento gli offre maggiori garanzie. Non c’è fiducia nei giovani italiani? Perché allora i vari Donnarumma, Bastoni, Tonali e Zaniolo sono titolarissimi in squadre importanti sin dalla più tenera età? Semplicemente perché si tratta di giocatori di alto livello. Ed è qui il nocciolo della questione: i giovani calciatori italiani di alto livello si possono contare sulle dita di due mani.

Se qualcuno ha assistito ieri al match della Nazionale U21 in Montenegro, si sarà fatto una chiara idea del valore modesto dei nostri giovani. E’ vero ed innegabile che, giocando tante partite in Serie A ed acquisendo esperienza, il loro livello potrebbe migliorare, ma fino a che punto? Fenomeni non ne abbiamo visti, ma in questo momento pochi lasciano presagire un futuro su palcoscenici internazionali come Europa League o Champions League.

Vi siete chiesti perché, da anni, non emerge più un Baggio, un Totti o un Del Piero? E’ lo specchio dei tempi, di generazioni completamente differenti. Negli anni ’70 e ’80 non esistevano videogiochi e social network, non si trascorrevano le giornate davanti ad uno schermo, ma si usciva a giocare con gli amici per ore ed ore, con le mamme che dovevano inseguire i propri pargoli per portarli a cena la sera. I bambini giocavano in strada: ricordate il pallone Super Santos? In quei momenti di spensieratezza si cercava di imitare gli idoli che venivano ammirati alla tv ed è proprio così che si sviluppavano l’estro, la classe e la fantasia. Tutte qualità che oggi mancano in toto ai giocatori italiani, per un motivo molto semplice: attualmente nella migliore delle ipotesi, un ragazzino inizia a giocare direttamente in una scuola calcio, dove purtroppo la tecnica di base non viene tenuta nella considerazione che merita (anche per l’incapacità di chi dovrebbe insegnarla…ed è qui che dovrebbe entrare in gioco la FIGC), a scapito delle inutili nozioni sulla tattica e della ricerca esasperata di atletismo (abbiamo notizie certe di portieri che vengono scartati se non sono alti più di 1,85 metri…). Abbiamo smarrito il talento, non sappiamo più insegnare calcio (come avviene ad esempio in Spagna, dove i ragazzini vengono addestrati a dare priorità alla tecnica sin dalla categoria dei ‘pulcini’) e cerchiamo inutili alibi per giustificare il rapido declino di un movimento che per decenni ha dettato legge. L’Italia ha vinto 4 Mondiali, 2 Europei, ha disputato sei finali iridate, probabilmente avrebbe potuto beneficiare di un palmares anche superiore se avesse calciato meglio qualche rigore negli anni ’90, quando poteva contare su delle rose dal valore eccezionale. L’estate scorsa Roberto Mancini compì un vero e proprio miracolo, perché costretto a convocazioni praticamente obbligate (ormai il ct non ha più possibilità di scelta, è obbligato a chiamare quei pochi italiani che ci sono). Ma, ripetiamo, la colpa non è dei club o degli allenatori che remano contro gli azzurri, tutt’altro. La verità è che i giovani di casa nostra, salvo rare eccezioni, non sono più all’altezza. E fin quando si farà finta di non accorgersene, provando per davvero ad intervenire sin dalle fondamenta, allora non meravigliamoci se le mancate qualificazioni ai Mondiali continueranno a materializzarsi come una triste consuetudine.

Foto: Lapresse