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MotoGP. Dieci anni senza Marco Simoncelli, l’indomabile e cristallino Gilles Villeneuve del XXI secolo

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Quest’oggi, 23 ottobre 2021, cade il decimo anniversario della scomparsa di Marco Simoncelli. Sono passati esattamente 10 anni da quella orribile domenica in cui il fato volle che il centauro romagnolo perdesse la vita al Sepang International Circuit, il cui acronimo è “Sic”, ovvero proprio il soprannome del ventiquattrenne di Coriano. Forse il segno di un destino ineluttabile, partorito da una dinamica apparentemente assurda.

Nel corso del secondo giro di quella gara, Simoncelli perde l’anteriore della sua Honda percorrendo la curva 11, ma non scivola verso l’esterno e la via di fuga. No, Marco rimane aggrappato con tutte le sue forze al manubrio, nell’estremo tentativo di restare in gara. Così facendo la RC212V punta verso il centro della pista, tagliando la strada a una muta di moto in arrivo. Il Sic viene travolto da Colin Edwards e Valentino Rossi, che lo seguono troppo da vicino per poterlo evitare. L’impatto è violentissimo e le immagini che seguono sono raggelanti. Il casco di Simoncelli che rotola via e lui steso esanime sull’asfalto fanno subito temere il peggio.

Segue un’attesa straziante, priva di informazioni. Dopo mezz’ora un medico esce dalla clinica mobile dicendo che il pilota è arrivato in arresto cardiocircolatorio con il segno di una gomma sul collo e che “si sta lavorando”. Un giro di parole, dal quale però tutti capiscono cosa sta accadendo. Rossi ed Edwards sono già in lacrime. Avendo sentito l’impatto ne avevano immediatamente compreso l’orrore. La nota ufficiale riguardo il decesso di Simoncelli è un mero pro-forma, perché ognuno ha già razionalizzato la tremenda realtà.

Un incidente dalla dinamica unica e anomala, così come unico e anomalo era il Sic. Non c’era nulla di omologato nel romagnolo, a cominciare dal suo fisico dinoccolato (a causa del quale non ha avuto vita facile nelle categorie formative) e dalla sua voce da cartone animato. Bastavano pochi secondi a Marco per farsi notare, perché usciva da qualsiasi schema. Il suo carattere, poi, lo rendeva a tutti gli effetti un catalizzatore di attenzioni ed energie, anche perché il suo approccio alle corse era duro e puro, proprio come la sua anima.

Era questo il bello di Simoncelli, ragazzo scapestrato e indomabile, ma vero e cristallino. Non c’erano doppiezza né falsità nel suo modo di essere. Mostrava ciò che era, senza ipocrisie. In un mondo già contaminato dal politicamente corretto, divenuto asfissiante al giorno d’oggi, fatto di dichiarazioni di facciata espresse in politichese, Marco spiccava per sincerità e onestà. Quando nel 2009 corse una tantum a Imola nel Mondiale Superbike, in sostituzione dell’infortunato Shinya Nakano, avrebbe dovuto fare da scudiero al caposquadra Max Biaggi. Invece, in gara-2, trovandosi in lotta per il podio, attaccò senza remore il romano, soffiandogli il terzo posto con un sorpasso maschio. Nel paddock, subito dopo l’arrivo, i microfoni catturarono la sua voce dire “Abbiamo fatto la caz..ta!”. Perché il Sic sapeva di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, ma la voglia di competere era tale da aver preso il sopravvento. Eppure era impossibile anche per i suoi avversari restare indifferenti nei confronti di un centauro assolutamente fuori dagli schemi.

A Sepang, dieci anni fa, il primo ad abbracciare Paolo Simoncelli, un padre che stava perdendo il figlio, fu Dani Pedrosa. Non correva buon sangue tra Marco e l’iberico, che come tutti gli spagnoli dell’epoca spingeva per una MotoGP “pulita”, senza sporchi duelli all’arma bianca di cui invece era sovente protagonista il Sic. Però il catalano, sotto sotto, apprezzava l’umanità e la purezza del romagnolo, con cui si era scornato duramente in pista nelle settimane precedenti.

Già, perché Marco Simoncelli è stato per la MotoGP ciò che Gilles Villeneuve è stato per la Formula Uno. Non gli serviva vincere a raffica per attirare l’attenzione o essere considerato un personaggio. Gli era sufficiente esserci. Bastava la sua presenza a generare curiosità e aspettativa, perché prima di ogni partenza ci si chiedeva cosa avrebbe combinato quel giorno, con la certezza di poter assistere a qualcosa di epico.

Sarebbe diventato Campione del Mondo in MotoGP? C’è chi dice di sì, che alla fine ce l’avrebbe fatta, un po’ come ci riuscì Kevin Schwantz, con il quale il Sic aveva diversi tratti in comune nell’approccio alle corse. Volendo essere prammatici, verrebbe da dire che però l’eventualità è da considerarsi improbabile. Nessuno lo sapeva, ma stava per iniziare l’epoca di Marc Marquez, capace di dominare come in pochi hanno saputo fare in precedenza. Dal 2013 al 2019 lo spagnolo non ha lasciato quasi nulla agli avversari, relegando al ruolo di comprimari gente del calibro di Valentino Rossi e Jorge Lorenzo.

La verità è che non sapremo mai se avremmo assistito alla “Guerra dei Marchi” (Marc Marquez vs Marco Simoncelli), ma quantomeno una certezza l’abbiamo. Il Sic ci avrebbe fatti divertire, da matti, praticamente in ogni gara. Con lui è svanita una vagonata di emozioni mai vissute.

Il suo ricordo e la sua eredità, però, non sono affatto sparite. Anzi, il fatto di rammentarlo con ancora tanto affetto e tanta forza a un decennio dalla sua scomparsa dimostra come il suo spirito viva ancora oggi. Questa è la più grande vittoria di Simoncelli, aver saputo lasciare un segno indelebile nell’animo di una generazione, che non solo ha saputo appassionarsi alle sue gesta, ma gli ha voluto bene, e gliene vuole tuttora, a così tanto tempo dal giorno in cui il fato lo ha reclamato a sé.

Foto: La Presse