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Biathlon

Il biathlon in Italia sta sfruttando una golden generation. Succederà anche allo sci di fondo?

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I latini dicevano “Ubi facta loquuntur, verbis non opus est”, ovvero quando parlano i fatti, le parole non contano. Nello sport, i fatti si chiamano “risultati” e in tal senso non è un mistero che il biathlon italiano nell’ultimo decennio abbia goduto di una crescita esponenziale rispetto ai primi anni del III millennio. Al contrario, lo sci di fondo è pressoché contemporaneamente sprofondato in un’acuta crisi dopo un quarto di secolo ricco di ogni genere di successi, sia in campo maschile che nel settore femminile. Le due dinamiche, simultanee e diametralmente opposte, suscitano interesse per la loro tempistica. C’è una correlazione tra di esse, oppure la situazione è figlia del caso?

La risposta la conosciamo fin troppo bene. È stata la sorte a generare l’attuale boom del biathlon azzurro, poiché nell’arco di sei mesi sono nati, tutti nel raggio di pochi chilometri, Lukas Hofer, Dominik Windisch e Dorothea Wierer. Come se non bastasse, tra la fine del 1990 e il 1991 sono venute alla luce anche le varie Federica Sanfilippo, Nicole Gontier e Alexia Runggaldier. In questo modo è sorta un’autentica golden generation, che la precoce esplosione di Lisa Vittozzi, classe 1995, ha ulteriormente rafforzato. In altre parole, l’Italia del biathlon ha vissuto una congiuntura estremamente favorevole, con un’incredibile concentrazione di talenti nati nel triennio 1989-1991. Di contro, il triennio precedente (1986-1988) e quello successivo (1992-1994) non hanno prodotto nessun atleta in grado di spostare gli equilibri nel massimo circuito.

Lo sci di fondo, invece, non ha avuto la stessa fortuna. Dal decennio 1986-1995 sono usciti solo due atleti di livello assoluto, ovvero Federico Pellegrino, anch’egli classe 1990 come Wierer, e Francesco De Fabiani, venuto al mondo nel 1993. A essi possono essere aggiunti un figlio e una figlia del 1991. Parliamo di Maicol Rastelli, la cui carriera al netto delle medaglie nelle prove a squadre non è poi così dissimile da quella di Gontier, e Gaia Vuerich, ritiratasi precocemente e alla quale è mancato solo il podio per coronare un’attività agonistica fatta di ripetuti piazzamenti nella top-ten. È dunque ovvio che se il biathlon può vantare quattro eccellenze assolute contro due, allora i risultati sono complessivamente ben diversi. Se a questa base di partenza aggiungiamo tutte le problematiche generatesi all’interno dell’ambiente fondo, da troppo tempo litigioso e improduttivo, la frittata è fatta. È vero che anche l’altro ambiente non è tutto rose e fiori, ma se da una parte volano gli stracci, dall’altra la situazione è quantomeno sotto controllo.

Il recente passato e il presente sono risaputi, ma quali sono le prospettive in ottica futura? Innanzitutto, il biathlon non può certo permettersi di cullarsi sugli allori. Dopotutto, se ipoteticamente togliessimo Wierer e Vittozzi, i risultati della squadra femminile azzurra sarebbero anche peggiori della controparte dello sci di fondo, che per inciso sta vivendo il peggior quadriennio olimpico da tempo immemore. È però anche vero che tra gli under-21 i risultati più eclatanti sinora sono stati ottenuti da chi ha la carabina in spalla. Didier Bionaz e Tommaso Giacomel, classe 2000, hanno tutte le carte in regola per diventare uomini di vertice nel prossimo futuro. Fra le donne, Rebecca Passler (2001) e Linda Zingerle (2002) promettono a loro volta molto bene. Tuttavia, nel fondo c’è una generazione di atleti nati tra il 2000 e il 2002 dalla quale potrebbe uscire qualcosa di buono, nel caso si riesca a lavorare bene. Davide Graz (2000) ed Elia Barp (2002) sono i capofila di questa nouvelle vague,  ma non vanno dimenticati i meno pubblicizzati Alessandro Chiocchetti, Fabio Longo e Nicolò Cusini, tutti nati nel 2001. Difficile dire oggi cosa sarà di loro, ma c’è materiale su cui costruire il futuro.

All’alba del 2021, l’impressione è che da qui a Milano-Cortina 2026 il biathlon possa continuare a raccogliere più risultati del fondo. Cionondimeno, nel 2026 non è programmata l’Apocalisse. Milano-Cortina per molti atleti italiani sarà solo una tappa di passaggio e le “loro” Olimpiadi saranno quelle del 2030, poiché i Giochi di casa arriveranno prima della piena maturazione agonistica. Indi per cui, scopriremo con il passare degli anni come evolveranno le sorti delle due discipline, nella speranza che si possa avere la botta di c… di incappare in un’altra golden generation in almeno una delle due, come accaduto per il biathlon azzurro nell’ultimo decennio. Starà poi ai tecnici del momento, saper mettere a frutto l’eventuale onda favorevole.

Foto: La Presse

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