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Golf, Renato Paratore: “Il Masters? Vincerà DeChambeau. Giocare le Olimpiadi un grande obiettivo per me”

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Nel 2020 del golf italiano, un ruolo di primo piano se l’è ritagliato Renato Paratore. In attesa di scoprire cosa succederà nell’ultimo mese e mezzo dell’anno più strano della storia recente del golf e dello sport, per ora la palma di migliore azzurro ce l’ha lui, con la vittoria al British Masters, la qualificazione allo US Open tramite l’ordine di merito delle prime cinque gare dello UK Swing che ha segnato il ritorno dell’European Tour e il successivo 31° posto a Winged Foot. La sua stagione, però, non è ancora finita e ha ancora dei picchi importanti in termini di appuntamenti. In attesa di un 2021 che, come spiega, potrebbe significare tanto.

Dopo l’Open d’Italia, qual è il programma che hai per il resto del 2020?

“Ora ci sarà la finale per l’European Tour qui a Dubai, e anche una gara prima, quindi saranno le prossime due gare del calendario”.

DP World Tour Championship che ti sei guadagnato con il ritorno con vittoria al British Masters. Già te lo sentivi di avere quella forma che ti ha consentito di ricominciare col botto?

“Di sicuro a un torneo ci vai già vedendo se hai la forma o no, non è che si vince così dal nulla, però certo, vincere o arrivare decimo-quindicesimo-quinto-secondo dipende dalla prestazione”.

Grazie allo UK Swing, con cui il tour europeo si è rimesso in marcia, sei riuscito a giocare il tuo secondo US Open di fila. Quanto si sono rivelate immense le differenze tra Pebble Beach e Winged Foot?

“Winged Foot era un campo perfetto per me, perché Pebble Beach era comunque molto insidioso. Invece Winged Foot era un campo che permetteva molto i tiri lunghi, e non dico che permetteva anche di sbagliare, ma comunque dava modo di recuperare. Invece i green erano veramente difficili a Winged Foot, molto duri, mentre mi sono trovato molto bene sui rough”.

Al di là del fatto che il percorso ti piacesse particolarmente, te l’aspettavi di arrivare 31°, nel torneo vinto da Bryson DeChambeau?

“Mi aspettavo di fare un bel torneo. Sono andato con buone convinzioni perché stavo giocando bene e comunque alla fine in questi tornei molto grandi c’è molta volta di far bene. DeChambeau è stato fenomenale, ma anche Matthew Wolff“.

In questi ultimi Major sono esplosi giocatori di fatto nuovi: Morikawa ha vinto il PGA Championship, Wolff ha rischiato di vincere lo US Open, poi ci sono Hovland che sta andando molto forte e Niemann che non giocherà il Masters perché positivo al Covid-19. Si può dire che siamo all’ingresso di questi nuovi tra i grandi attuali?

“Diciamo che anche quelli in testa non sono così vecchi, vedi Jon Rahm. Ma anche Koepka ha trent’anni, quindi ha ancora dieci anni buoni davanti”.

E chissà se solo dieci.

“Minimo. Chiaramente Tiger Woods sta andando più avanti con l’età, però di sicuro anche Justin Thomas ha 26 anni. Alla fine l’età per arrivare in vetta alla classifica è diminuita, e di sicuro Morikawa e Wolff sono già arrivati là e sono pronti a competere con tutti”.

Parlando di Viktor Hovland, tu l’hai incrociato tanti anni fa, nel 2014, quando hai vinto l’oro alle Olimpiadi giovanili e lui è arrivato quarto. Quanto è evoluto lui da allora?

“Lui si è evoluto tantissimo, non era magari un top degli amateur, ma da quando è andato in America ha fatto una grande evoluzione e devo dire che ora è un giocatore molto solido”.

La tua vittoria in quelle Olimpiadi giovanili che emozione fu?

“Un’emozione unica. Andare sul podio con l’inno italiano è stata l’emozione più grande, bisogna viverla per capirla. Io ero molto giovane, non pensavo fosse un’emozione così forte”.

L’Open d’Italia non è andato troppo bene: il terzo giro può essere considerato la ‘giornata no’ chiave di un torneo in cui puntavi più alto?

“Venivo da quattro gare di fila, e di sicuro era anche un torneo in cui bisognava attaccare i primi posti, perché anche un quarantesimo non è che servisse più di tanto. Nel weekend ho cercato di fare una bella rimonta, poi qualche errore di troppo il sabato e sono rimasto indietro, ed era difficile recuperare”.

Come hai vissuto il periodo della pausa e quanto è stato straniante doverti fermare?

“E’ stato abbastanza pesante, come per il 100% della gente. Devo però dire che è stato anche un momento, se non per ricaricare le batterie, per riposarmi molto. Noi andiamo sempre a tremila, quindi alla fine tra riposo ogni tre mesi e grande voglia di tornare a giocare sono riuscito subito a entrare molto motivato”.

Con le ripartenze sfasate dei tour (il PGA è ripartito un mese prima dell’European) il ranking mondiale è ripartito prima. Chi gioca regolarmente sul tour europeo si è trovato a perdere un mese nei confronti di chi gioca sul PGA. Che idea ti sei fatto della situazione?

“Sinceramente non mi interesso molto delle classifiche, perché credo sempre che se giochi bene stai in alto e se giochi male no. Tanti si sono arrabbiati, però io come Renato non ci ho dato tanto peso. Se però vuoi sapere la mia, ti dico che era un po’ ingiusto. Non credo che se fosse iniziato prima per l’European Tour avrebbe fatto la differenza tra essere 10 e 100 del mondo. Più o meno non è che cambiasse così tanto”.

Il tuo punto di svolta nella carriera può considerarsi il Nordea Masters 2017, il tuo primo torneo vinto?

“No, non credo. Quella è stata di sicuro una vittoria bellissima, che mi ha dato fiducia per vedere che potevo vincere una gara, però di sicuro quest’anno è stato quello più regolare e che mi è piaciuto di più tra questi ultimi, anche con la vittoria del British Masters”.

Normalmente un golfista quando incomincia a guadagnare in modo tale da riuscire a coprire tutte le spese che servono per viaggi e, in generale, andare in pari a fine anno?

“Più o meno, da quello che mi dicono, verso la quarantesima posizione del Challenge Tour, dove già ti ripaghi tutto e riguadagni qualcosina. Ma non lo so bene, è una domanda difficile”.

Anche perché dipende da dove vai a giocare, vista anche la frammentazione del mondo del golf tra i tanti tour.

“E’ difficile proprio per questo, perché non è un solo tour e quindi non riesci a capire bene. Magari uno dell’Alps Tour, il primo, guadagna di più rispetto a uno del Challenge che arriva cinquantesimo, oppure uno sull’European Tour tra gli ultimi guadagna meno di uno del Challenge. E’ diverso, cambia molto”.

In tutto questo giocano un ruolo fondamentale le entrate extra, costituite dagli sponsor.

“Aiutano”.

In questo senso che evoluzione hai avuto?

“Non vorrei lasciarne indietro qualcuno. All’inizio per il materiale tecnico avevo Titleist, poi ho cambiato con Callaway come bastoni. E poi naturalmente Colmar”.

Il discorso poi si allarga anche a quelli non strettamente golfistici.

“Poi ho anche avuto una banca, Lemanik, poi Audemars Piguet, e anche Jaguar Land Rover di cui sono diventato ambassador”.

Ci sono state delle ispirazioni particolari che hai avuto per intraprendere la via del golf?

“No, una domenica seguivo un amico di mia madre e da lì è stato amore a prima vista. Mi è piaciuto subito come sport”.

Secondo te come finirà il Masters?

“Vincerà DeChambeau”.

Che ultimamente dopo lo US Open si è un po’ nascosto. Mentre Koepka s’è cominciato a rivedere, e sappiamo come sia animale da Major.

“A quei livelli sono tutti favoriti. Rientrano Dustin Johnson, Rory McIlroy e tutti gli altri”.

E neanche Francesco Molinari va sottovalutato, visto il 15° posto a Houston.

“Lui mai. Ma quando sei stato un top, e lo sei, sei sempre favorito. Anche Rickie Fowler o Jordan Spieth hanno già vinto, se beccano la settimana possono rivincere tranquillamente”.

Come ti sei sentito a livello di emozioni a giocare lo US Open l’anno scorso a Pebble Beach?

“Il posto è stato veramente pazzesco, bellissimo tutto quanto. Giocare uno US Open a Pebble Beach è un simbolo, un po’ come il British Open a St. Andrews, e quindi devo dire che è stato molto bene. Peccato perché non ero in un momento buono di forma, però rimane una settimana chiaramente che ti rimane impressa”.

Al British Masters hai vinto superando di tre colpi Rasmus Højgaard. Puoi tracciare un profilo di questo danese che sta cominciando a conquistare i cuori degli intenditori?

“Fortissimo. A 18-19 anni vincere già due gare è molto positivo. Anche lo swing mi piace molto, perché è molto connesso, ritmato, mi piace come giocatore”.

C’è stato un momento particolarmente brutto della tua carriera che avresti voluto che non ci fosse?

“Forse nel 2018 ho avuto un periodo in cui giocavo molto male, però poi sono quei periodi che ti fanno crescere ancora di più”.

Obiettivi per il 2021?

“Ce ne sono tanti. Quello principale è di cercare di restare più volte possibile in contention per vincere le gare, quindi di sicuro la regolarità. Poi giocando bene di sicuro ti dai molte occasioni per entrare nei Major e nel WGC, e anche alle Olimpiadi”.

In questo momento, si finisse adesso saresti tu il secondo italiano. E sarà una bella lotta tra te, Guido Migliozzi, Francesco Laporta e Andrea Pavan.

“Per adesso sì. Giocare le Olimpiadi sarebbe un grande obiettivo per me”.

Quanto consideri giusto il fatto che le Olimpiadi siano state rinviate di un anno?

“Non credo che mi sarei qualificato, quindi magari ha giocato a favore (ride)”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Federazione Italiana Golf / ufficio stampa Jaguar Land Rover

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