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Luigi Busà: “Il karate mi ha dato tanto, ho proseguito sognando l’oro olimpico. L’Italia può strappare 6 pass per Tokyo”

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Appassionato, spontaneo, determinato: tre aggettivi che descrivono in modo estremamente puntuale Luigi Busà, capitano della Nazionale italiana di karate. Dopo aver vinto due Mondiali e cinque Europei, il trentaduenne di Avola è entrato ancor di più nella storia di questo sport diventando il primo (e finora unico) italiano del kumite a strappare il pass per le Olimpiadi di Tokyo. L’obiettivo, inseguito senza sosta per gli ultimi due anni e mezzo, è stato raggiunto nel corso della tappa di Premier League a Salisburgo, andata in scena tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Poi, però, è subentrata la pandemia, che ha provocato lo slittamento dei Giochi olimpici all’estate 2021: l’atleta in forza all’Arma dei Carabinieri non ne ha fatto un dramma, anzi si sente ancora più carico in vista dell’appuntamento più importante della propria carriera. Lo abbiamo sentito telefonicamente per un’intervista nella quale il karateka siciliano ha parlato a 360 gradi di passato, presente e futuro.

Luigi, in questo momento dovreste essere nel pieno della stagione agonistica e invece il karate è fermo in attesa di un’indefinita ripartenza. Come stai vivendo questa situazione?

“Ci sono state svariate fasi di questa situazione. Dopo aver ottenuto la qualificazione alle Olimpiadi avevo organizzato una festa ad Avola ma, siccome il virus cominciava a circolare in Italia, non mi sono sentito di farla e ho deciso di ritornare a Roma. Qui poi è cominciato il lockdown. Inizialmente non credevo che avrebbe potuto intaccare lo svolgimento dei Giochi, ma poi è diventato un fenomeno di livello mondiale e rimandare le Olimpiadi è stato inevitabile. È stata una bella botta, ma ho cercato di prendere i lati positivi di questa situazione: gli ultimi due anni e mezzo sono stati una continua rincorsa alla qualificazione per Tokyo, avevo bisogno di riposare lo spirito e il corpo. Ho potuto prendere un po’ di tempo per me, per i miei cari, per i miei amici: purtroppo ero sempre in giro per le gare e li avevo trascurati, è stata un’occasione per recuperare”.

Come hai trascorso il lungo periodo di lockdown?

“A me piace avere sempre degli obiettivi, per questo all’inizio sono andato un po’ in crisi. Poi però ho utilizzato questo tempo per dedicarmi ad altre cose: ho cucinato, ho perfezionato l’inglese, ho superato alcuni esami della facoltà di Scienze Motorie. Ora mi mancano soltanto quattro materie per laurearmi e spero di riuscirci nel corso dell’anno”.

Come sei riuscito ad allenarti durante questo periodo anomalo?

“Finiti i primi venti giorni di quarantena, ho preso un tatami e ho costruito una palestra nel garage sotto casa con 30 metri quadri di materassino. Quindi ho potuto ricominciare ad allenarmi: mi sentivo tutti i giorni con i miei preparatori atletici e con mio papà, ci siamo anche allenati via Zoom e abbiamo potuto curare quegli aspetti che non vengono considerati con attenzione quando si combatte. Abbiamo migliorato la mobilità articolare, l’elasticità muscolare, l’equilibrio. Poi ho lavorato tantissimo con il mio mental coach per reggere il colpo di quanto era successo: ci collegavamo a giorni alterni su Zoom e facevamo sedute di respirazione e di meditazione cercando di focalizzare un obiettivo anche se non c’era. Ora stiamo preparando un programma specifico da qui a settembre, ma ancora non conosco i dettagli”.

Come incide per il tuo percorso lo spostamento delle Olimpiadi al 2021?

“Se questa cosa mi fosse successa 4-5 anni fa, credo che sarei andato in crisi. Adesso ho capito che bisogna arrivare a quel giorno preparati sia mentalmente sia fisicamente. Io fortunatamente sto bene, ho avuto pochi acciacchi nel corso della mia carriera. Chiaramente avrei preferito farle quest’anno, anche perché venivo da sette gare con sei medaglie ed ero in splendida forma fisica. Però la considero una nuova sfida: un anno e due mesi è un tempo lungo, devo gestirmi al meglio e pensare settimana per settimana. Alle spalle ho un team forte e faccio tanto affidamento su di loro. Ad oggi dico che l’anno prossimo posso arrivare con qualcosa in più”.

Che emozioni hai provato quando hai raggiunto ufficialmente la qualificazione per i Giochi?

“Ho provato una sensazione che si può paragonare a quella di un bambino quando va per la prima volta in palestra e torna a casa felice. Sapevo di essere in grado di qualificarmi, ma non era facile perché c’era un fitto calendario di gare e i posti a disposizione erano pochi. È stato un mix di emozioni, una gioia grande. Mi ha sempre dato fastidio che alcune persone mi punzecchiavano per il fatto che il karate non fosse uno sport olimpico, ora invece posso coronare il sogno che avevo fin da quando ero piccolo”.

Per un campione del tuo calibro, che ha vinto tutto quello che c’era da vincere, l’oro olimpico sarebbe il coronamento perfetto della carriera?

“Sì. Però anche senza l’oro olimpico non posso chiedere altro al karate. Io gli ho dato tanto, ma lui ha risposto molto bene. Chiaramente la medaglia d’oro è un sogno: credo che se non ci fosse stata questa possibilità avrei smesso. Ho sempre detto che se non mi fossi più divertito mi sarei ritirato, però l’idea delle Olimpiadi mi fa sentire felice come un bambino. Voglio arrivarci con questo sentimento di gioia e spensieratezza, perché se penso che deve essere il coronamento della mia carriera diventa pesante e non me la godo. Farò i dovuti sacrifici, ci arriverò con la mentalità giusta e prenderò ciò che il karate ha riservato per me”.

In vista di Tokyo 2021, quali reputi i rivali più temibili nella tua categoria di peso (-75 kg)?

“C’è molta concorrenza: saremo dieci e tutti possiamo ambire all’oro. Credo che l’esperienza possa fare la differenza, quindi il più temibile è il mio rivale di sempre, Rafael Aghayev: è uno che raramente sbaglia le gare importanti. Lui ha due anni più di me, quindi anche lui dovrà fare i conti con l’età, però sono convinto che arriverà preparato al meglio. Poi c’è il campione del mondo, Bahman Asgari Ghoncheh, contro cui ho perso la finale dei Mondiali 2018: non lo avevo mai incontrato prima, è un atleta ostico da affrontare. Poi ci sono Stanislav Horuna e Thomas Scott, che non hanno la nostra stessa costanza ma se sono in giornata possono battere chiunque. E c’è anche Ken Nishimura, che è un po’ calato negli ultimi tempi ma resta molto temibile”.

A proposito di Aghayev, ad inizio maggio vi siete resi protagonisti di una bella iniziativa, un allenamento congiunto in diretta Instagram. Che esperienza è stata?

“È nato tutto da questa situazione anomala. Mi mancava la quotidianità e anche gli stessi avversari. Io e Aghayev ci conosciamo da più di quindici anni, abbiamo sempre avuto un rapporto di stima e rispetto. Ci siamo sentiti e abbiamo avuto quest’idea per dare un bell’esempio: l’unione di due rivali di sempre in un momento difficile per tutto il mondo. È stata una bella esperienza: ci siamo coordinati e abbiamo dato il massimo. I riscontri sono stati molto positivi: in diretta erano collegate 2000-2500 persone e nelle successive 24 ore è stato visto da circa 52000 spettatori. Chissà, potrebbe essere uno spunto per farlo anche dal vivo in futuro”.

Da capitano della Nazionale, come giudichi il movimento italiano in questo momento? Potremo toglierci soddisfazioni in quel di Tokyo?

“Sicuramente sì, anche se ad oggi nel kumite sono io l’unico qualificato. C’era anche Angelo Crescenzo, ma ora hanno riaperto i ranking e hanno congelato il suo pass: secondo me ce la farà comunque, ha parecchi punti di vantaggio sul terzo. Però, al contempo, hanno dato la possibilità a Clio Ferracuti e Silvia Semeraro di poter rientrare tra le prime. In ogni caso, se non si qualificassero da ranking, c’è il torneo di qualificazione diretta in cui possiamo strappare altri pass. Tra l’altro c’è Laura (Pasqua, ndr), la mia futura moglie, che sicuramente parteciperà e quindi posso ancora sperare di andare a Tokyo con lei. Il numero massimo di atleti che l’Italia può portare alle Olimpiadi è 8, secondo me riusciremo ad essere almeno in 6. Il movimento italiano è molto valido: inoltre, ad eccezione di me e Laura, è un movimento giovane e sta già mettendo le basi a livello internazionale. L’Italia è un’ottima scuola di karate, sforna talenti da sempre e quindi non si può far altro che migliorare”.

Un’ultima domanda. Cosa ti piacerebbe fare quando deciderai di porre fine alla tua carriera da karateka?

“Ho due strade ben chiare davanti a me. La prima è quella di fare l’allenatore, però ad oggi non so se riuscirei a farlo nel migliore dei modi. Oggi sono molto egocentrico e mi piace avere tutte le attenzioni su di me, mentre l’allenatore è una figura che deve stare dietro le quinte. Sono un professionista in tutto quello che faccio, quindi nel caso decidessi di fare l’allenatore vorrei essere preparato al 100%. Io ho una mia visione del karate e dovrei lavorare tanto per imparare a comunicare con i ragazzi e per capire le differenti esigenze di ognuno di loro. L’altra strada è quella di fare l’imprenditore all’interno del mondo dello sport. In questo caso il sogno finale sarebbe quello di aprire un’agenzia che cura l’immagine degli atleti e si occupa dell’organizzazione di eventi: partirei dal karate per poi focalizzarmi anche su altri sport. Non lo farei tanto per una questione di soldi quanto per aiutare alcuni ragazzi a valorizzare al meglio la loro immagine. Ora mi focalizzo sulle Olimpiadi, poi deciderò cosa fare in futuro”.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: FIJLKAM

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