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Matteo Visintin, basket: “Il mio obiettivo è l’Eurolega. Mi piace Sergio Rodriguez. In Nazionale rappresenti i tanti che vorrebbero esserci”

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Matteo Visintin è uno dei volti che potrebbe rappresentare il futuro del basket in Italia negli anni a venire. Classe 2004, nativo di Trieste, ha scelto la via di Roma, dove gioca alla Stella Azzurra, i cui prodotti da anni finiscono in giro per l’Italia, l’Europa e, in qualche caso, anche oltre: è partito dalla Via Flaminia Andrea Bargnani, che fu prima scelta assoluta al draft NBA del 2006. Visintin ha disputato un campionato di Serie B strepitoso, in cui ha sfiorato i 15 punti di media e soprattutto ha sempre mostrato un’enorme personalità. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per un’intervista in cui ci ha raccontato le sue sensazioni, i suoi obiettivi futuri e anche qualche lato che sembra sorprendente, ma in fondo non lo è.

Che bilancio, se di bilancio si può parlare a stagione incompiuta, puoi tracciare della tua stagione?

“Quest’anno nelle giovanili ho giocato poco, soprattutto con l’Under 18. Abbiamo giocato la fase interregionale con squadre sia del Lazio che di altre regioni. Sicuramente è andato bene, altrettanto sicuramente poteva andare molto meglio perché abbiamo buttato via un paio di partite. Nel complesso io abbastanza bene, ma la parte che mi è piaciuta di quest’anno, secondo me la più importante, è la Serie B. È una cosa in più che non posso trovare da altre parti, magari non avrei avuto l’opportunità di giocarla. Di certo è stata molto utile non per dimostrare qualcosa, ma per l’esperienza, perché secondo me è necessario, per la crescita di un ragazzo, fare passi del genere. Onestamente non ho trovato grosse difficoltà nel giocare in un campionato a livello senior. Mi sono trovato subito a mio agio, ho giocato tranquillamente senza pensare che avevo davanti gente anche di vent’anni più grande, ma le prendevo come partite giovanili”.

La Serie B, peraltro, è spesso sottovalutata, ma si tratta di un campionato difficile da affrontare, anche per il tipo di ambiente in cui si gioca: nel tuo girone, per esempio, si poteva passare da campi storici come quello di Avellino ad altri caldissimi, come lo è Palestrina, che guidava la classifica del girone D prima dello stop.

“Diciamo che il nostro girone, per quello che penso io e anche per quello che pensano altri nell’ambiente, è quello meno tecnico, ma molto più fisico. Per i campi aggiungerei anche Bisceglie, oltre ad Avellino stessa. Sono quei campi in cui c’è un passato, c’è sempre tanto tifo, pubblico. Anche andare a giocare lì con una squadra di ragazzini che ha un’età media di 16 anni è complicato. Hai molta pressione”.

Un vero e proprio impatto nel mondo nudo e crudo della pallacanestro, quello dove non ti regalano niente.

“Vero. Ogni tanto ti arrivano un po’ di mazzate anche perché gli altri ‘rosicano’: vedono che uno di 15 anni li batte e allora arriva anche qualche botta di frustrazione”.

Tu in questa stagione sei riuscito a distinguerti particolarmente bene, perché hai fatto numerose grandi prestazioni individuali, per quanto alla fine possano contare all’interno della squadra.

“Personalmente credo di aver fatto una buona stagione, anche se non è andata benissimo dal punto di vista della squadra. Eravamo partiti molto forte, perché secondo me abbiamo preso tutti alla sprovvista. Nessuno si aspettava una squadra di ragazzini che potesse fare quello che abbiamo fatto nel precampionato e all’inizio, poi abbiamo perso questo fattore e abbiamo avuto un calo. Però sono soddisfatto a livello personale”.

Questa tua stagione ha di sicuro inciso molto nella mente di Germano D’Arcangeli, che ti ha portato alcune volte a Roseto (la Stella Azzurra e Roseto hanno dal 2018 un accordo con il quale alcuni giocatori disputano anche l’A2, N.d.R.).

“Diciamo che con Roseto c’era anche un problema di regolamenti, di deroghe della Federazione. Essendo un campionato di A2 non potevo giocarlo perché ci volevano più partite giovanili per finire la formazione italiana, e quindi sono rimasto anche un po’ bloccato sotto questo punto di vista. Avrei potuto giocare anche prima se non ci fosse stato questo problema, anche D’Arcangeli è stato bloccato da queste regole. Alla fine ho giocato due partite lì”.

Come hai vissuto l’interruzione di tutto?

“La cosa è abbastanza pesante, perché il fatto di non potersi allenare, migliorare, fare nulla è bruttissimo. Senza contare che da marzo, poi, comincia la parte finale della stagione, quella più importante. Finivano i campionati, c’erano le finali nazionali giovanili e altre mille cose. Era la parte più bella e anche quella più importante. Mi sento un po’ bloccato nel non poter fare quello che voglio per via di queste restrizioni che ci tengono chiusi dentro senza poter fare niente. Neanche allenamenti individuali veri e propri, giusto qualcosa senza palla”.

Come si coniuga la vita dello studente con quella cestistica?

“Premetto che faccio lo Scientifico. Non è facile, ma abbiamo un progetto con scuola, Stella e CONI che si chiama Dual Career, che è ideato dal CONI per tutelare gli studenti-atleti di alto livello in chiave nazionale, quindi siamo tutelati sotto vari punti di vista. Per dire, se siamo a un torneo in giro per l’Europa, quando torniamo il giorno dopo non possono interrogarci. Abbiamo interrogazioni programmate, e quando siamo fuori Roma abbiamo delle piattaforme online dove caricano le lezioni fatte in classe, così rimaniamo al passo. Tutto questo ti aiuta nel percorsa di formazione scolastica. Poi devi essere bravo a organizzarti tra compiti e studio. Se per caso hai un giorno libero devi fare più cose possibili perché magari il giorno dopo sei pieno e quindi devi essere bravo a far combaciare tutti gli impegni“.

Com’è stato il salto da Trieste a Roma?

“La prima cosa che mi ha colpito è la dimensione della città. Non ero abituato a tutto questo. Trieste è una città in cui in 10 minuti arrivavo ovunque, qui ci sono i treni, le metro… è tutto più grande sotto questo punto di vista. E poi all’inizio non è stato facile perché ho lasciato a casa genitori, parenti e vari amici. All’inizio potevano mancare, poi ci passi sopra. Sembra brutto da dire, ma non ci fai più caso perché sei qua, hai le tue motivazioni, ti abitui. Poi la sera quando li chiami senti la mancanza, però durante il giorno saluto i miei amici e ti passa per la testa”.

Quanto sono state importanti (e belle) le esperienze che hai fatto nei tornei giovanili all’estero?

“Le due Euroleghe che ho fatto sono state esperienze super, il top che un ragazzo può fare a livello giovanile. Di più non esiste. Poi se le fai bene ti mettono in vista, ci sono tanti procuratori, agenti che seguono le partite e se ti fai vedere hai le tue opportunità nel futuro. A parte quello sono esperienze di vita, che anche se non diventerai un giocatore te le porterai dietro perché sono cose che non dimentichi. E poi tutti i vari i tornei in Europa. Sono stato a Tenerife, in Grecia, in Germania, in Spagna, in Ungheria, anche in Israele passando dall’Under 15 all’Under 18. Poi si gioca contro squadre come Real Madrid o Barcellona. Migliori e maturi come persona”.

Ci sono anche le esperienze con le Nazionali: il Trofeo BAM con l’Under 14, il Torneo dell’Amicizia con l’Under 15.

“La cosa più bella è certamente vestire la maglia del tuo Paese. Fa onore, perché rappresenti migliaia di ragazzi che vorrebbero essere lì al posto tuo. Rappresenti tutti loro, questa è la parte più bella. Di sicuro la Nazionale è la Nazionale, io penso a questo se non altro”.

A maggior ragione ti dispiace per l’annullamento degli Europei giovanili dovuto al coronavirus.

“Purtroppo sì. Però spero molto che si risolva tutto a breve, ci ripensino e li facciano giocare a dicembre. Mi diceva qualche compagno che alcuni anni fa era successo un casino d’estate e li avevano fatti proprio a dicembre (Europei Under 18 2016 a Samsun, in Turchia, spostati a dicembre per il fallito golpe contro Erdogan, N.d.R.). Più che altro dopo si crea confusione con le altre annate, non potendosi riorganizzare tutto. Se non fai gli Europei poi devono usare sistemi alternativi per i Mondiali giovanili, vedi il ranking FIBA”.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri come giocatore?

Gli obiettivi personali vengono soddisfatti se raggiungo quelli nel mondo della pallacanestro. Il mio sogno è giocare a livello professionistico, l’Eurolega, e se arrivo lì poi posso migliorarmi, essere soddisfatto come persona, altrimenti no. Metti il caso che io vada a lavorare in ufficio: va bene, ma non sarebbe quello che volevo, quindi non sarei contentissimo”.

Ci sono dei giocatori contro cui hai giocato che ti hanno impressionato particolarmente?

“Sinceramente non ho giocato contro giocatori che mi hanno stupito, che sembravano forti. Me la sono spesso giocata con tutti, non saprei dare ora nessun nome, perché per ora poi il punto è anche che magari ne dici uno, ma non puoi nemmeno sapere se diventerà forte”.

Quali sono i tuoi modelli cestistici?

“Io seguo di più il modello europeo di giocatori. Sergio Rodriguez, Shane Larkin, Mike James, i playmaker piccoli. In NBA quello che mi stupisce in assoluto di più, sia fisicamente che per modo di giocare, è Russell Westbrook. Mi piace anche il motto ‘Trust the Process’ di Joel Embiid, come motivazione”.

Interessante il fatto che parli più di Europa di NBA, perché sono due mondi totalmente diversi anche per cultura.

“Ora si ispirano tutti al tipo di basket che si gioca negli States perché è quello che in pratica traccia la via, è quello attuale. È più fisico, più spettacolare, anche molto tecnico, ma per me quello europeo è più realistico. C’è anche più ambiente, più spettacolo. Magari questa cosa che ho detto so che a qualcuno non piacerà…”

In questo senso, ma su un altro piano, Rick Pitino, che ha allenato il Panathinaikos in due distinti momenti nelle ultime due stagioni, ha detto che il modello europeo somiglia un po’ a quello del college, con un attacco che è il top e la difesa che invece è più indietro.

“Io penso spesso all’attaccamento dei tifosi che ci sono in Eurolega, vedi Panathinaikos, Zalgiris Kaunas. Negli States trovi più gente che paga tantissimo per vedere una partita, non c’è un vero attaccamento alle squadre”.

E con queste parole è come se avessi svelato un altro tipo di obiettivo: non solo voler giocare in Eurolega, ma anche di fronte a queste folle per imparare a reggere il tipo di pressione che c’è quando giochi davanti a migliaia e migliaia di persone.

“Può essere sia bello che brutto. A me piace giocare davanti a tanto pubblico, perché è stimolante e puoi anche far vedere quello che sai fare. Ma di solito se sei uno buono sanno già di cosa sei capace. La cosa che mi piace di più è che ti stimola, ti gasa, ti motiva ancora di più per far bene”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Ufficio stampa Stella Azzurra

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