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Sci di fondo

L’Italia è grande: Valbusa-Di Centa-Piller Cottrer-Zorzi, i moschettieri d’oro di Torino 2006

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Per lo sport italiano, uno dei momenti più emozionanti e significativi nella storia dei Giochi olimpici invernali è indubbiamente rappresentato dalla staffetta maschile di sci di fondo a Torino 2006. Il quartetto composto da Fulvio Valbusa, Giorgio Di Centa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi riuscì a conquistare una meravigliosa medaglia d’oro, non del tutto inaspettata, ma al contempo neppure attesa. Quella domenica girò tutto per il verso giusto, generando le condizioni affinché potesse essere realizzata una delle più grandi imprese del fondo azzurro.

Il 19 febbraio 2006 a Pragelato è una giornata strana. Il tempo è nebbioso, quindi l’atmosfera è estremamente umida e scende un leggerissimo nevischio. Queste singolari condizioni meteo si rivelano letteralmente una manna dal cielo per l’Italia, perché ben presto diventa evidente come sia impossibile fare la differenza in alternato. Infatti al lancio nessuno vuole prendere l’iniziativa e il gruppo procede pressoché compatto. Peraltro, si capisce all’istante come Fulvio Valbusa, primo frazionista azzurro, sia dotato di materiali velocissimi. Il veronese cede il testimone a Giorgio Di Centa nelle posizioni di vertice e la seconda frazione prosegue sulla falsariga della prima. Di fatto non c’è selezione e il friulano conferma la sensazione avuta già in precedenza. Gli sci dell’Italia sono eccezionali. Gli azzurri, quindi, non perdono terreno nella metà di gara a loro più ostica, quella in tecnica classica, cambiando assieme ai battistrada.

Nel frattempo cambia anche il meteo. La nebbia si alza e inizia a nevicare in maniera copiosa. Un’incognita in più in ottica materiali, che inoltre regala un’atmosfera epica a una prova che, per l’Italia, non avrebbe potuto mettersi meglio. A questo punto cominciano le scintille. Nelle fasi iniziali della terza frazione prima Pietro Piller Cottrer e poi lo svedese Anders Södergren lanciano due timidi attacchi separati, che obbligano tutti a giocare a carte scoperte. In particolare, il norvegese Frode Estil appare in difficoltà. Per due volte si stacca, riuscendo però a rintuzzare lo strappo in entrambi i casi.

Al settimo dei dieci chilometri da percorrere, Piller Cottrer decide di fare sul serio. Il suo attacco stavolta è deciso e miete vittime eccellenti. In particolare, Estil conferma le perplessità che si erano generate su di lui in precedenza e perde terreno in maniera importante. Tra lo stupore generale, la corazzata norvegese cola a picco! Anche Francia e Russia, serie candidate alle medaglie, alzano bandiera bianca! Solo Södergren, il tedesco Rene Sommerfeldt e il ceco Jiri Magal resistono al sappadino, il quale però prosegue deciso a testa bassa, mettendo alla frusta i tre inseguitori. Il teutonico e il boemo si staccano a loro volta. Lo svedese stringe i denti, ma alfine non ha modo di tenere le code dell’azzurro e nell’ultimo chilometro è costretto a mollare la presa.

Piller Cottrer, autore di una frazione superlativa, è da solo al comando! Cede il testimone con 5” sulla Svezia e 18” sull’accoppiata Germania-Repubblica Ceca. La Norvegia arranca a 43”, ormai completamente fuorigioco così come la Francia, distante quasi un minuto. Ora, per l’Italia, scende in pista Cristian Zorzi. L’anno prima, nella staffetta dei Mondiali di Oberstdorf, il trentino si era trovato senza punti di riferimento all’inizio dell’ultimo segmento di gara, staccato di un minuto da chi lo precedeva e con quarantacinque secondi di vantaggio su chi inseguiva. Era andata molto male, perché aveva perso più di un minuto dal tedesco Axel Teichmann, scivolando al quarto posto finale.

Quindi, visto il precedente, si pone un dilemma. Tentare la fuga per la vittoria, impostando il proprio ritmo, oppure farsi riprendere dallo svedese Mathias Fredriksson per trovare un alleato lungo il tracciato, andando poi a giocarsi il tutto per tutto in volata? Qualunque sia la scelta, c’è da prendere un rischio. In casa Italia, però, la decisione era già stata presa. Le istruzioni date a Zorro erano chiare: “Vai e non girarti mai! Sia quel che sia!”

Zorzi esegue e non si volta, ignorando ogni tatticismo. Mette giù la testa e imposta un passo molto sostenuto, come se non ci fosse un domani. Nessuno lo sa, ma ai piedi non ha i suoi soliti sci, bensì un paio prestatogli da Valbusa. Infatti il team azzurro non aveva lasciato nulla al caso. Sapendo che proprio quel determinato paio di sci da skating di Bubo era velocissimo con quelle condizioni meteo, si decide di affidarlo a Zorzi. Insomma, per vincere viene messa in campo ogni risorsa possibile. Lo sci di fondo sarà anche uno sport individuale, ma quel giorno si gareggia in squadra e il motto è “Tutti per uno, uno per tutti” come i quattro moschettieri.

Zorro sotto i piedi ha due missili e inizia clamorosamente a guadagnare terreno persino su Fredriksson! Il tedesco Peter Angerer, invece, non recupera nulla. Il ceco Dusan Kozisek non ha la cilindrata per reggere certi ritmi e sparisce dai radar. Il podio è fatto, resta da stabilire l’ordine in cui Italia, Svezia e Germania arriveranno al traguardo. In testa, il trentino non fa calcoli e getta il cuore oltre l’ostacolo, riuscendo a fare la differenza soprattutto sui falsipiani e nelle discese. Il suo vantaggio cresce sempre di più e lo svedese, a un certo punto, si arrende, decidendo di risparmiare energie in ottica argento perché, il successo, ormai è andato.

È quasi fatta, basta non crollare come accaduto a Jörgen Brink ai Mondiali della Val di Fiemme tre anni prima. Zorzi, che effettivamente ha dato tutto quello aveva, nell’ultimo chilometro è letteralmente esausto. Però, alle sue spalle, non c’è nessuno! Così può tagliare il traguardo in trionfo. La staffetta italiana dello sci di fondo vince la seconda medaglia d’oro olimpica della sua storia e lo fa sulle sue nevi di casa, dodici anni dopo l’affermazione di Lillehammer.

I nomi che entrano negli annali sono quelli di Fulvio Valbusa, Giorgio Di Centa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi. In realtà, però, quello è l’apoteosi di un intero team, all’epoca diretto da Marco Albarello e da Sepp Chenetti, nel quale venivano curati anche i minimi dettagli. Non è un caso che i quattro moschettieri azzurri avessero sci superiori alla concorrenza e soprattutto, che ognuno di loro fosse estremamente determinato a portarsi a casa quel successo. Ripensandoci, viste anche le condizioni meteo, forse era scritto che proprio l’Italia dovesse vincere quella gara. Un appuntamento con la storia che non è stato mancato.

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paone_francesco[at]yahoo.it

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Foto: Fisi/Pentaphoto

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