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Ciclismo, Mondiali 2019: Italia tatticamente perfetta, Trentin e il rimpianto della vita

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Era lì, a portata di mano. Mai così vicino. Un lungo digiuno sembrava destinato a spezzarsi in un fragoroso urlo di gioia. Quando l’olandese Van der Poel ha perso contatto, sfinito e stremato da una corsa ad eliminazione, la maglia arcobaleno sembrava strizzare l’occhio a Matteo Trentin. La grande illusione si è tramutata in un argento difficile da digerire.

L’Italia, alzi la mano chi lo nega, non partiva di certo tra le squadra da battere. La palma dei favoriti spettava ai vari Alaphilippe, Van der Poel, Sagan, Matthews, allo squadrone belga in generale. Ipotizzare un azzurro sul gradino più alto del podio significava lasciarsi andare in uno slancio di ottimismo attorniato dai contorni dell’utopia.

Eppure la Nazionale ha sovvertito tutte le gerarchie con una condotta di gara impeccabile. Davide Cassani si è rivelato ancora una volta un demiurgo perfetto, con una visione tattica senza eguali. Dopo essere rimasta coperta per buona parte di una giornata durissima e tempestata dalla pioggia, la compagine del Bel Paese ha acceso le micce a poco più di 40 km dall’arrivo con Gianni Moscon. Di fatto, ha obbligato Belgio e Francia ad uscire allo scoperto, spendendo uomini ed energie. Matteo Trentin, il capitano designato, si è rivelato vigile e brillante quando ha risposto allo scatto dell’olandese Van der Poel: quello è stato il momento chiave della rassegna iridata.

Ad una trentina di chilometri dall’arrivo si è dunque formato un quintetto composto da Trentin, Moscon, Van der Poel, Pedersen e Kung. Italia non solo in superiorità numerica davanti, ma esaltata da un gioco di squadra sapiente da parte di Sonny Colbrelli ed Alberto Bettiol, sempre attivi in testa al gruppo a spezzare i cambi e far sì che il plotone perdesse progressivamente terreno dalla vetta. Più di così, oggettivamente, era impossibile fare.

A quel punto tutto sembrava apparecchiato per il successo di Van der Poel, pronto a far gioire i Paesi Bassi dopo 34 anni. Poi il colpo di scena: a 13 km dall’arrivo l’olandese andava in crisi e perdeva contatto. L’Italia e Cassani si trovavano nella situazione desiderata, forse insperata alla vigilia. Con un sublime lavoro ai fianchi, erano state tagliate fuori le avversarie principali (Belgio e Francia su tutte), mentre Trentin poteva giocarsi il titolo contro avversari inferiori in volata, almeno sulla carta.

Alzi la mano, un’altra volta, chi non ha pensato nemmeno per un’istante che per l’Italia fosse ormai fatta. Nonostante un generosissimo Gianni Moscon, che ha lavorato per il capitano sino all’ultima goccia di sudore (altra nota di merito per Cassani, che ha creduto in un corridore che ha vissuto una stagione negativa), il sogno si è tramutato in incubo. Dopo 6 ore e mezza di corsa e 261 km, guai a dare per scontata una volata. Trentin era il più veloce, ma aveva finito la benzina. Sebbene sia partito fin troppo lungo nello sprint conclusivo, è apparso lampante come Pedersen avesse una brillantezza migliore.

Matteo Trentin, 30 anni compiuti ad agosto, non ha mai vinto una Classica Monumento, né vi è mai salito sul podio. I migliori risultati li ha ottenuti con la maglia azzurra: campione d’Europa agli Europei 2018, quarto ai Mondiali 2017, prima dell’argento odierno. Non è un vincente ed oggi gli è mancato quel killer instinct necessario per capitalizzare l’occasione della carriera. Un rimpianto che rischia di tormentarlo per tutta la vita.

federico.militello@oasport.it

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Foto: Twitter Uci