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Storia delle Olimpiadi: Pino Maddaloni, lacrime napoletane di gioia sul podio di Sydney

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L’Italia del judo ha conquistato la sua prima medaglia olimpica a Montreal, nel 1976, grazie a Felice Mariani (ora allenatore della forte azzurra Edwige Gwend, ndr). Il bronzo del romano si è trasformato magicamente in oro quattro anni dopo, a Mosca, dove è esplosa la stella di Ezio Gamba. Dopo l’argento dello stesso Gamba a Los Angeles ed il bronzo di Girolamo Giovinazzo ad Atlanta, il nostro judo maschile ha dovuto aspettare vent’anni per issarsi nuovamente sull’Olimpo. L’impresa è stata firmata dal napoletano Giuseppe “Pino” Maddaloni, laureatosi Campione Olimpico a Sydney 2000, nella stessa categoria – pesi leggeri, fino a 73 kg – che fu di Mariani e Gamba.

Maddaloni inizia ad apprendere le basi dell’arte marziale giapponese già all’età di due anni, sotto la guida del padre judoka: “L’ho portato in palestra che aveva ancora il pannolino”, una volta sottolineò affettuosamente Giovanni Maddaloni. Il primo successo arriva ai Giochi della Gioventù del 1988 e per nove anni consecutivi, dagli Esordienti agli Juniores, rimane imbattuto nelle competizioni giovanili; conquisterà per 13 volte il titolo di Campione d’Italia.

Ai Giochi di Sydney, Pino è ancora il fidanzato della collega Ylenia Scapin (bronzo sia ad Atlanta sia in Australia) che lo sprona dicendogli: “Vai sul tatami e divertiti, tutto il resto viene dopo”. Il bel Giuseppe prende alla lettera il consiglio dell’amata, divertendosi e facendo divertire l’Italia da matti: a 1’39’’ dal gong della finalissima contro il diciottenne brasiliano Tiago Camilo, già in vantaggio di un koka, Maddaloni tira fuori dal cilindro il definitivo ippon aureo. Il colpo con cui il campano incamera la medaglia più preziosa si chiama Osoto Gari (in giapponese, “grande ruota esterna”), esso si effettua sbilanciando l’avversario all’indietro e poi falciando la gamba che regge il suo peso. Per un napoletano DOC come lui, una puntata sulla ruota vincente…

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