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Calcio femminile: tra dubbi, crisi economica e scioperi. Si vuole cambiare davvero?

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Tira una brutta aria nell’organizzazione del calcio femminile nostrano. La splendida esibizione, nella finale di Supercoppa Italiana, tra Agsm Verona e Brescia calcio femminile non ha cancellato i dubbi e le perplessità che hanno accompagnato la vigilia del match. In data 24 settembre, infatti,  il sindacato dei calciatori (AIC) ha manifestato forte disagio per le condizioni in cui versa il movimento in rosa, minacciando uno sciopero dell’intero asset che mette a rischio l’inizio del campionato di Serie A , programmato il 17 Ottobre: “Nel corso del consiglio federale dello 31 agosto è stato formato un comitato esecutivo che avrebbe dovuto prendere decisioni virtuose sul calcio femminile – sottolinea l’AIC in una notaa oggi non è arrivata alcuna convocazione ufficiale, nonostante il fermento e l’evidente malcontento che il movimento ha continuato a mostrare nei vari incontri. Si respira un forte desiderio di seguire la linea della protesta collettiva“.

Un’intenzione rafforzata anche dalle difficoltà nell’organizzazione dell’incontro citato e per quanto avvento nella finale di Coppa Italia della stagione scorsa: “La finale di Coppa Italia è stata giocata il 23 maggio scorso. Ora, a distanza di quattro mesi, ci apprestiamo a seguire la Supercoppa del 26 settembre con gli stessi presupposti: carenza organizzativa e di attenzione per un trofeo che vedrà in campo 13 azzurre tra Brescia e Verona”, evidenzia l’Assocalciatori, prima di mandare un messaggio alla Figc. “Assieme a ciò crediamo sia doveroso una programmazione federale seria e condivisa per lo sviluppo di questo sport ormai stanco di essere considerata una ‘ruota di scorta’ rispetto al resto d’Europa” – queste le dichiarazioni del sindacato dei calciatori.

Parole dure che però non trovano tutti d’accordo a cominciare dal presidente Carlo Tavecchio: “L’attenzione verso il calcio femminile nel nostro Paese non è mai stata così alta, e non dobbiamo disperdere questo patrimonio. Stiamo lavorando nella direzione giusta e continueremo a farlo realizzando cose concrete che fino a qualche tempo fa sembravano solo utopia” ha aggiunto Tavecchio parlando del calcio femminile e valutando «poco comprensibile» la minaccia di bloccare il campionato. “I progetti della Figc per lo sviluppo del calcio femminile in Italia hanno avviato un’evidente crescita del movimento a livello giovanile e dilettantistico – prosegue il presidente federale – favorendo inoltre, per la prima volta, un impegno diretto da parte dei club professionisti. Queste riforme stanno contribuendo, insieme all’attività delle nazionali, ad allargare la base delle praticanti ed a favorire un’aumentata attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica nei confronti del settore, come si è riscontrato ad esempio venerdì scorso in occasione della gara di qualificazione europea Italia-Georgia”.

Tipica condizione da muro contro muro che non porta ad una risoluzione dei problemi. Ci chiediamo: si vuole cambiare davvero? Allo stato attuale delle cose il calcio femminile soffre di un isolamento palpabile e, nel contempo, c’è tantissima confusione. Negli ultimi mesi sono stati emanati progetti, nominati comitati ma ciò che è venuto a mancare è stata la comunicazione tra l’ente più importante, la FIGC, e chi, sul versante in rosa, aveva delle responsabilità.

Il presidente Tavecchio ha ragione quando parla di alcune iniziative lodevoli come:  l’obbligo di istituire una sezione di calcio femminile all’interno di ogni club di Serie A e B (da quest’anno è obbligatorio il tesseramento di almeno 20 calciatrici under 12 fino ad arrivare entro 3 anni alla creazione di squadre giovanissime ed allieve) e successivamente di Lega Pro e Serie D, l’organizzazione a Reggio Emilia della prossima finale della UEFA Women’s Champions League e la collaborazione di club professionistici maschili nella valorizzazione delle compagini delle donne. Tuttavia, ciò non è sufficiente. Serve una maggiore collaborazione tra le parti affinché la crescita sia tassonomica e ci si avvicini sempre di più ad una realtà professionistica. Abbiamo avuto il piacere di intervistare, qualche settimana fa, l’allenatore della Res Roma Fabio Melillo che dichiarava: “Non ho potuto che cominciare la preparazione il 13 Agosto tenendo conto che le mie atlete non sono professioniste e alcune lavorano mentre altre si dedicano agli studi universitari.” (trovate qui l’intervista di OA Sport).  Uno stato di precarietà aggravato, ovviamente, dal clima di incertezza che ha caratterizzato questi ultimi mesi con i ritardi nell’uscita dei calendari e squadra promosse in Serie A che, per ragioni economiche (vedi il caso della Acese), hanno dovuto rinunciare.

Non vogliamo ergerci ad entità giudicante, ma come ci si può aspettare un miglioramento, un approssimarsi ai livelli europei, se gli addetti ai lavori debbono conciliare più attività senza che poi vi sia anche chiarezza nei programmi?

Probabilmente la soluzione sarebbe quella di snellire la struttura, far sì che il calcio femminile venga gestito direttamente dalla Federazione Italiana senza ingerenze della LND, favorendo l’applicazione delle riforme. La sensazione che si continui a perdere tempo è confermata dallo stato di stagnazione in cui l’intero sistema si trova e sarebbe, pertanto, ora di avviarlo seriamente un cambiamento senza più annunci o proclami che alimentano illusioni e tensioni.

 

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Immagine: profilo FB Marta Carissimi

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