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Sci alpino, Mondiali: per l’Italia una bruciante disfatta

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Dimentichiamoci il prima possibile di quel logo dei Mondiali di Vail/Beaver Creek, località che ci consegnano un’Italia a zero medaglie esattamente come avevano fatto nel 1999 e nel 1989 (solo un’altra edizione degli ultimi venticinque anni, quella particolarissima di Morioka 1993, regalò lo stesso, nefasto esito).

Dimentichiamo, sì, ma facciamolo imparando almeno un paio di lezioni, che atleti e tecnici sembrano comunque aver compreso. La prima: sicuramente le condizioni della neve e del meteo, piuttosto che la tracciatura, avvantaggiano e penalizzano i vari atleti. Tuttavia, queste non possono essere alibi: i più forti, quando stanno bene, devono dimostrarlo di esserlo indipendentemente da tali variabili. E gli altri lo hanno fatto, perché l’Italia, come ribadiamo sempre seconda forza della classifica per nazioni di Coppa del Mondo, torna a casa con zero medaglie quando dieci nazioni hanno fatto meglio. Dieci nazioni, tra cui una Slovenia dipendente solo dalla fenomenale Tina Maze e soprattutto una Repubblica Ceca che aveva una sola cartuccia da sparare, quella di Sarka Strachova nello slalom puntualmente andata a segno. L’aspetto più negativo, comunque, è non aver nemmeno sfiorato il podio in quasi tutte le gare, come se proprio non ci fossimo: poche, pochissime le eccezioni, che rimandiamo ad un successivo articolo, ma per gli amanti della statistica possiamo dire che il sesto posto di Roberto Nani in gigante costituisce il miglior risultato dei nostri atleti in questa rassegna.

Tante parole, in queste due anni, una crescita in entrambe le discipline, ma risultati zero! A Sochi zero medaglie e finora in Coppa un ‘podietto’ ad Aspen, quest’anno, a dicembre. Troppo poco, per come sono abituato a fare”: Livio Magoni, tecnico storicamente vincente (ricordate Tina Maze?), si è preso le sue responsabilità con questa dichiarazione a Raceskimagazine per il flop delle gigantiste, a cui ha fatto seguito la non esaltante prova delle slalomiste dalle quali, comunque, non ci si potevano attendere prodigi. Anche Gianluca Rulfi, al vertice dei velocisti (in assoluto la delusione più cocente), ha smontato ogni alibi perché se le condizioni non sono congeniali agli azzurri “queste non possono essere scuse, è un nostro difetto significativo e la sconfitta è solo colpa nostra“.  Dunque gli allenatori non hanno cercato alibi e, come abbiamo già detto un’altra volta, non bisogna commettere l’errore di bruciare tutto e tutti: la velocità maschile, ad esempio, regala soddisfazioni da anni in ogni occasione e questo è il suo primo, vero e speriamo unico fallimento. Non può essere un grande evento andato male, a fronte di anni ben più gioiosi, a farci pensare che l’Italia debba ricostruire tutto, tecnici, atleti e metodologie d’allenamento, perché non è così.  Sicuramente ci sono alcuni ambiti che andranno ripensati a fine stagione (Magoni si è messo in discussione per primo, con un’onestà francamente difficile da riscontrare in altri sport, per quanto ci risulti difficile pensare ad un allenatore con un curriculum migliore del suo); tuttavia, guai a farsi prendere la mano da un “delirio emergenziale”, peraltro diffusissimo nel nostro paese, che spesso porta a soluzioni ben più dannose dei problemi.  Detto in parole povere: la stagione di Coppa del Mondo, sia per il settore maschile sia per il settore femminile, è perlomeno positiva. Un evento andato male non può far dimenticare tutto il resto.

La seconda lezione è facile: ogni gara di un Campionato del Mondo assegna medaglie. Per ogni gara, bisogna essere preparati al massimo: un oro in combinata alpina o nel team event forse non avrà mai il prestigio di uno in libera, ma è un oro, con tutte le conseguenze del caso. Nella prima disciplina, l’Italia si è affidata nel recente passato alle gesta di un paio di campioni che però, fondamentalmente per ragioni fisiche, non possono più essere così competitivi, mentre nel femminile quel livello di competitività non è stato mai raggiunto. Nella seconda siamo al livello di comparse e questo è un fatto gravissimo: solo la caratura amatoriale, al netto di Ryding, della Gran Bretagna ci ha impedito una figuraccia cosmica. D’altronde quando si mandano allo sbaraglio ragazzi e ragazze che non hanno l’allenamento necessario a un certo tipo di gara l’esito è prevedibile. Se siano stati gli atleti migliori a tirarsi indietro o i tecnici su spinta della dirigenza a scartare a prescindere questo evento, è un dubbio al quale risulta molto difficile rispondere: probabilmente, un mix delle due cose. 

A Vail è andata male, malissimo: è andata male non perché manchino gli atleti o i tecnici, ma per le ragioni sopra elencate. Fondamentalmente, poca adattabilità a determinate condizioni (e questo è un difetto pesantissimo su cui, siamo convinti, si lavorerà a fondo) e sottovalutazione di un certo tipo di format di gare: qui deve essere la Fisi ad imporre un cambiamento. Spiace che il presidente Flavio Roda, con un passato da tecnico plurivincente e competente, si sia accorto solo dopo il disastro che la nave imbarcava acqua da questo lato. Anzi, forse il passato da tecnico di Roda ne rappresenta il limite più grosso: come non dimenticare il licenziamento di Claudio Ravetto avvenuto più per dissidi personali, risalenti all’epoca in cui entrambi dirigevano la nazionali, che non a motivazioni legate ai risultati? Certamente si potrebbe poi scavare più in profondità l’intero sistema sciistico italiano, a partire dalle categorie giovanili, per ritrovare altre cause di questo flop, come il lavoro non fatto per anni nello slalom femminile: circoscrivendo l’analisi a Vail 2015, però, crediamo che le cause poc’anzi citate siano quelle con la correlazione più diretta ed immediata col nefasto esito. In ogni caso, chiudiamo questa pagina di bruciante delusione e rituffiamoci nella Coppa del Mondo, dove la stagione, in quasi tutti gli ambiti, aveva e speriamo avrà ancora pieghe ben diverse.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

1 Commento

1 Commento

  1. ale sandro

    16 Febbraio 2015 at 14:59

    Ho letto anch’io le parole di Magoni che hai riportato, e mi fa piacere la presa di coscienza della situazione , segno di lucidità, cosa tutt’altro che scontata in certi ambiti come hai ricordato. Personalmente spero che non si arrivi a conseguenze estreme, stile Ravetto, in ogni caso sono sicuro che un tecnico del genere non resterebbe affatto disoccupato se le cose dovessero mettersi male. A rimetterci sarebbe solo l’Italia. D’accordo sui due grandissimi problemi / cause , che si sono evidenziati in questa trasferta. Il più importante e impegnativo da affrontare credo sia proprio il primo, e cioè l’adattabilità ad ogni variabile. Anzi dovrebbe essere sempre una costante nel lavoro di qualsiasi nazionale, anche quando i risultati si rivelano sempre soddisfacenti in tutti i casi.
    Nel secondo caso un po’ di programmazione più accurata potrebbe essere sufficiente a provare qualche palo( molti di più di qualche in realtà 😀 ) in slalom in più a un velocista che faceva bene le combinate da giovane ( e ne abbiamo avuti alcuni di medagliati junior in combinata) e viceversa , o magari per gli slalomisti fare qualche porta di parallelo, utile anche come diversivo ai piani di lavoro classici. Certe volte ci si è persi davvero nel proverbiale bicchiere d’acqua. O almeno questa è la sensazione che ho avuto.
    Sotto con la Coppa che è meglio.

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