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Rugby

Rugby, l’Italia fuori dal Sei Nazioni: ipotesi catastrofica o futuro rischio reale?

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Non sarà la goccia che fa traboccare il vaso, ma la sconfitta contro l’Irlanda nel debutto del Sei Nazioni ha inevitabilmente lasciato gli ennesimi strascichi negativi per l’Italrugby. Checché ne dica il presidente Gavazzi (“Quella con l’Irlanda è stata una partita positiva. Abbiamo avuto una difesa importante, ha dichiarato ieri alla Gazzetta dello Sport il numero uno della FIR), il match dell’Olimpico è stato tutt’altro che positivo. Anzi. Certo, c’è stata la solita ottima difesa, ma il solo strenuo contenimento degli avversari porta ad un unico ed ineludibile risultato: la sconfitta, ovvero il leit-motiv dei quindici anni trascorsi finora dalla nazionale (rare eccezioni a parte) nel torneo più prestigioso del mondo ovale. E se un giorno le chance azzurre dovessero finire? In altre parole: nel lungo periodo, senza una vera svolta, il rischio di un’Italia estromessa dalla competizione potrebbe diventare reale?

Al momento ci sentiamo di escludere l’ipotesi, ma non crediamo di risultare fin troppo catastrofici se affermassimo che, con questi risultati protratti nel tempo, il tarlo potrebbe insinuarsi nel Comitato Organizzatore del Torneo. D’altronde, nel presente si piange ma sulle prospettive per il futuro non sembra ci sia molto da ridere in casa Italia. Il Mondiale in programma a settembre sarà probabilmente l’ultimo atto con la maglia azzurra per tanti senatori e colonne portanti nel primo decennio degli anni 2000, mentre due fuoriclasse come Parisse e Castrogiovanni potrebbero continuare per qualche altra stagione, ma certamente non in eterno. E, a quel punto, si aprirebbe una voragine attualmente incolmabile con il materiale umano a disposizione. Il ricambio generazionale si prospetta quanto mai burrascoso ed instabile (basti vedere il mismatch nel Sei Nazioni Under 20), vuoi per l’assenza di un progetto di crescita del rugby di base, vuoi per l’ostinazione da parte della Federazione nel continuare ad elargire fondi soprattutto per l’Alto Livello e per le fondamenta della piramide ovale italiana, senza cavare risultati di alcuno spessore né con le due franchigie celtiche, né con la nazionale come noto. Il campionato d’Eccellenza, teoricamente la fucina di talenti da inviare a Zebre e Benetton Treviso, è praticamente lasciato a se stesso, in una logica da foresta che ben rispecchia quanto l’Italia del rugby si sia adagiata sugli allori al momento dell’ingresso tra le regine d’Europa.

Solo a tratti, di fatto, franchigie e Italrugby hanno dimostrato di meritare un posto al fianco alle grandi del Vecchio Continente, mentre per la maggiore l’occasione di progredire e innalzare il livello del rugby italiano sin qui è stata sprecata, anche piuttosto malamente. Con la conseguenza di collezionare partite da sparring partner come quella di sabato, in cui un’Irlanda poco più che al 60% ha dominato senza troppi patemi gli azzurri e li ha costretti a rintanarsi in difesa per 70′. Nel punteggio, la partita è rimasta aperta fino all’ora di gioco, ma il 3-12 nascondeva soltanto un film la cui trama era già nota ai più fin dalle battute iniziali: difesa orgogliosa ed asfissiante (da applausi, va detto) per oltre un tempo, episodio incontrovertibile e match compromesso definitivamente. Copione rispettato in toto, ancora una volta. Per quanto tempo andrà ancora in scena, però, non è lecito saperlo.

Salvo rivoluzioni e svolte sia tattiche che sul piano mentale, per altri due anni sicuramente, visto che negli scorsi giorni il board del Sei Nazioni ha annunciato i calendari per i tornei 2016 e 2017 in cui ovviamente l’Italia figura (per inciso: esordio a Parigi tra un anno, in casa contro il Galles tra due), così come figurerà in molti altri Sei Nazioni dal 2018 in avanti. Una certezza, più che una speranza, vista l’appetibilità di una location come Roma e dei relativi sponsor e di una Federazione comunque politicamente ed economicamente ‘forte’. I soldi spesso parlano più di qualunque altra cosa, ma senza vittorie sul campo c’è ben poco da stare tranquilli. Qualcuno obietterà che anche la Francia ha impiegato quasi 50 anni per conquistare il suo primo Cinque Nazioni, ma Oltralpe hanno dimostrato a più riprese di avere tutt’altra cultura sportiva, oltre ad una radicata tradizione rugbistica, non proprio comune all’Italia. Dai transalpini, di fatto, si può solo imparare, mentre da qualcun’altro ci si può solo guardare le spalle, ovvero da Romania e soprattutto Georgia, quest’ultima vicinissima all’Italrugby nel ranking mondiale. A novembre, il coach dei romeni, Lynn Howells, ha lanciato una proposta forse indecente ma, nelle intenzioni, più che legittima: un Torneo con promozioni e retrocessioni, in cui la prima dell’European Nations Cup sfiderebbe in un play-out l’ultima del Sei Nazioni per contendersi un posto nella competizione di prima classe. Follia? Ora come ora, il divario tra georgiani e rumeni e il movimento italiano è ancora evidente, ma i primi sono in lenta e continua crescita, mentre i secondi in costante stallo. La strada, tuttavia, non è certamente percorribile nel breve/medio termine per motivi principalmente di appeal, quello che manca alle nazioni dell’Est, ma nel lungo termine la minaccia potrebbe diventare concreta. La situazione è grave ma, come si suol dire, non è seria. Almeno per il momento.

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daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

Credit FotosportIT/FIR

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