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Futuro azzurro senza certezze per il tennis maschile

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Quest’ultimo decennio è stato uno dei più floridi per il tennis italiano, dimostrandosi ricco di soddisfazioni che, tra alti e bassi, continuano a perpetuarsi ancora oggi, in campo sia maschile che, soprattutto, femminile. Dopo anni in cui questo sport in Italia sembrava sprofondato chissà dove, fior fior di giocatori e giocatrici hanno animato lo scenario azzurro, facendoci vivere uno dei periodi più belli non solo dal punto di vista tennistico, ma sportivo in generale. Tutti questi risultati ci portano, inevitabilmente, a chiederci fino a quando tutto questo durerà. Quando questa generazione di atleti avrà terminato il proprio percorso, ci sarà qualcuno a raccogliere l’eredita lasciatagli? L’Italia è davvero una superpotenza tennistica o ha solo avuto la fortuna di avere a disposizione al momento giusto i tennisti giusti?

In campo maschile forse ci si aspetterebbe qualcosa di più anche ora. Le nostre punte di diamante, Fabio Fognini e Andreas Seppi, ma anche Filippo Volandri, hanno raggiunto risultati straordinari, se paragonati a quelli dei decenni immediatamente precedenti. Fognini, in particolare, si è fermato a ridosso della top 10, senza, almeno per ora, raggiungerla definitivamente. Il confronto con le loro colleghe donne ci fa pretendere da loro molto di più di quanto non facciano, ma va comunque ricordato che hanno annoverato l’Italia tra le nazioni complessivamente più competitive in virtù dei risultati raggiunti. E ciò che preoccupa maggiormente è la mancanza di ricambi, di giovani su cui fare affidamento in maniera certa, per un futuro neanche troppo lontano.

O meglio, i giovani e i talenti ci sono, ma confrontando il panorama italiano con quello internazionale emerge tutta l’arretratezza del nostro sistema. Due esempi su tutti: Nick Kyrgios e Alexander Zverev. Il primo, australiano, classe ’95, nel 2014 ha raggiunto perfino i quarti a Wimbledon, sconfiggendo giocatori del calibro di Gasquet e Nadal; il secondo, tedesco classe ’97, riesce a raggiungere la semifinale del torneo ATP 500 di Amburgo. Negli altri paesi il “nuovo” avanza. E da noi? Di potenziali campioni ne abbiamo tanti: Stefano Napolitano, classe ’95, distintosi per la prima metà del 2014 soprattutto per grinta e continuità di gioco, Filippo Baldi, classe ’96, che ha raggiunto i quarti di finale a Wimbledon juniores quest’anno, Matteo Donati, classe ’95, attualmente fermo per infortunio..giovani che faticano ad essere realmente competitivi, ma che, soprattutto faticano a crescere mentalmente, oltre che tecnicamente. Specialmente Donati era ritenuto, e lo è tutt’ora, uno dei tennisti su cui fare maggior affidamento in futuro. La sua sembrava una crescita graduale, il 2013 il suo anno migliore, con 4 tornei ITF Future conquistati. Un buon punto di partenza. Così, nel 2014, si aspettava lo step successivo, una sorta di “consacrazione”, oltre che un netto balzo in avanti in classifica. Magari una top 200. Il miglioramente invece non è arrivato e il 2014 di Donati si è caratterizzato per discontinuità e la crescita è parsa essersi arrestata.

E poi c’è la carta che vale di più, quella su cui tutti puntano per il futuro. Gianluigi Quinzi, vincitore juniores di Wimbledon 2013, ci aveva illuso che, di lì a poco, avremmo avuto un tennista in grado di competere anche nel circuito maggiore. Così non è stato, anzi il 2014 è stato a dir poco un anno da dimenticare per il nostro Quinzi, che fra infortuni e incostanza, non è riuscito a migliorarsi nè in termini di gioco, nè in termini di ranking. Eppure Quinzi lo aveva battuto Kyrgios, quel Kyrgios che ha inflitto a Nadal una dura lezione. Come mai allora, a distanza di così poco tempo, la disparità fra i due è diventata così notevole?

E’ ovvio che c’è una lacerazione alla base del sistema. Il problema delle nuove leve del tennis nostrano è che, arrivate ad un certo punto, si bloccano. Incapaci di crescere, si “rompono” e perdono match perfettamente alla loro portata, il tutto mentre i loro coetanei crescono. I nostri si atteggiano, molto spesso incuranti e poco disponibili nei confronti dello spirito di sacrificio che ad un atleta serve, mentre i loro coetanei, europei e non, crescono. Ecco, la parola chiave è proprio questa: crescita. Quella che manca. Qualità atletiche indiscusse, quelle dei giovani italiani, forti e agili (anche se talvolta così troppo “fragili”), ma da solo il fisico non basta, se a supportarlo manca la mentalità atletica. A chi dare la colpa? E’ palese che la FIT necessita di cambiamenti. Non ci si può nascondere dietro agli ottimi risultati dei nostri tennisti attuali, non più, nè si può continuare a sperare che la situazione cambi da sè, memori di quel Wimbledon Juniores del 2013. Ora quel Wimbledon non basta più.

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stefania.gemma@olimpiazzurra.com

Foto: Federtennis/Costantini

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