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Le naturalizzazioni nello sport: quale strada per l’Italia?

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I Campionati Europei, da poco terminati a Zurigo, hanno confermato la grande tradizione azzurra nella maratona, ma anche il periodo non proprio positivo dell’atletica azzurra nelle prove track & field, quelle che si svolgono nello stadio. A salvare il bilancio ci ha pensato Libania Grenot con il suo oro sui 400 metri, un’atleta divenuta italiana solamente nel 2008 dopo il matrimonio, e che a livello di formazione sportiva appartiene alla scuola cubana. Questo dato di fatto riapre il solito dibattito sulle naturalizzazioni e su quanto bene possano fare allo sport di un determinato Paese. Nell’articolo presente, prenderemo come esempio l’atletica, visto il recente avvenimento sopra citato, ma ovviamente il discorso è estendibile a qualsiasi disciplina sportiva.

I cambi di cittadinanza (o l’acquisizione di una seconda cittadinanza) sono nati con la formazione stessa degli Stati e non rappresentano quindi una novità dal punto di vista storico. Quello che è certo, è che con la possibilità di spostarsi in modo semplice da una parte all’altra del mondo è sempre più frequente trovare persone che vanno a vivere in un altro Paese, e che sposandosi o vivendovi a lungo, acquisiscono la cittadinanza dello stesso. Questo fenomeno sociale si riflette naturalmente nello sport, e bene o male tutti i Paesi possono vantare atleti naturalizzati tra le proprie fila nelle varie discipline.

Il fenomeno delle naturalizzazioni non va confuso con la presenza di numerosi sportivi di origine straniera. Molti, infatti, portano come esempio Paesi come la Francia e la Gran Bretagna, ma in questi casi le naturalizzazioni sono relativamente poche, o almeno non superiori a quelle di altri Stati: la maggioranza degli atleti dai cognomi esotici o dai tratti somatici non proprio caucasici sono infatti ragazzi nati nei Paesi che rappresentano o immigrati quando erano ancora giovanissimi, e quindi sia dal punto di vista legale che della formazione sportiva hanno poco a che fare con quello che è il Paese di origine dei loro genitori (se non addirittura dei loro nonni). La confusione è spesso generata dalla poca abitudine e dalla scarsa elasticità mentale di molte persone nel constatare queste situazioni: molti italiani, ad esempio, si lasciano tradire dal colore della pelle per esprimersi sulla provenienza di un atleta, che se di carnagione scura non può che essere “africano”, senza pensare che magari quella stessa persona in Africa non vi ha mai messo piede. Il fatto stesso di fare queste considerazioni dimostra quanto l’Italia sia ancora relativamente indietro nel processo di vera integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale e dei cittadini di origine straniera, visto che molti continuano a considerarli non del tutto italiani.

Al contrario, nel caso delle naturalizzazioni, si tratta di atleti che, nati e formati sportivamente nel loro Paese di origine, decidono ad un certo punto di rappresentare la loro nazione adottiva, proprio come nel caso di Libania Grenot. In questo eventualità, l’unica barriera è spesso rappresentata dalla rigidità delle leggi italiane in materia di acquisizione della cittadinanza: per i cittadini di un Paese extraeuropeo, ad esempio, salvo in caso di matrimonio, sono necessari ben 10 anni di residenza stabile in Italia per avere il diritto di richiedere la cittadinanza italiana, senza calcolare tutte le trafile burocratiche che seguono, che allungano quindi l’attesa per la naturalizzazione effettiva.

Premettendo che tutte le persone nate o stabilmente residenti in Italia dovrebbero essere facilitate nell’acquisizione della cittadinanza, come avviene già in altri Paesi, resta da domandarsi quali possano essere gli effetti sullo sport italiano di questo fenomeno. Ebbene, la risposta non è poi così complicata: ben vengano le varie Libania Grenot, Fiona May o Magdelín Martínez, per citarne alcune, atlete che da naturalizzate hanno regalato medaglie all’atletica italiana, ma queste integrazioni non devono di certo rappresentare un alibi per investire meno nei settori giovanili e nella crescita dei giovani talenti italiani. Ancora una volta, si impone il confronto con altri Paesi europei: la grande presenza di atleti di origine africana o caraibica non ha impedito alla Francia di far emergere Christophe Lemaitre, lo sprinter caucasico più veloce della storia, ed allo stesso modo la storica tradizione tedesca dell’asta non ha impedito ad un atleta di colore come Raphael Holzdeppe di divenire campione del mondo in una specialità storicamente dominata dai “bianchi”. Per ora, l’Italia si goda quindi l’oro di Grenot, ma allo stesso tempo si prepari a presentare una squadra competitiva su più fronti, con atleti tanto italiani quanto naturalizzati.

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giulio.chinappi@olimpiazzurra.com

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