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Calcio: con Tavecchio il (meritato) trionfo del Gattopardo

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Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“. La memorabile frase di Tancredi Falconeri, uno dei protagonisti del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, viene utilizzata sin troppo spesso per descrivere l’eterno conservatorismo che impera in una miriade di settori della nostra Italia, dalla politica all’economia…sino allo sport.

Ci permettiamo dunque di prendere in prestito questa citazione per commentare la scontatissima elezione di Carlo Tavecchio al vertice della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Dopo il disastroso flop mondiale, infatti, le dimissioni irrevocabili del commissario tecnico Cesare Prandelli e soprattutto del presidente federale Giancarlo Abete avevano aperto la porta dei sogni: e se anche la federazione più “ricca”, dalla quale dipende lo sport più amato (e controverso) dell’Italia, riuscisse a rinnovarsi, ad avere una guida meno politicizzata e più fresca, meno orientata ai numeri dell’alta finanza e più alla tutela dei nostri vivai, dei nostri giovani atleti, dell’attività di base? Speranze vane, come quelle del popolo siciliano succube, appunto, del principe di Salina, di suo nipote Tancredi e di mille altri nobili.

Ha vinto un pluripregiudicato, e questa purtroppo non è una novità nelle istituzioni italiane di ogni genere. Ha vinto un altro personaggio, al pari di Abete, che ha svolto impeccabilmente tutto il cursus honorum in quello che fu il principale partito politico italiano: sindaco del suo paese, più volte consulente ministeriale e via così. Ha vinto un uomo di 71 anni il quale ha dato l’idea, in queste scellerate settimane di “campagna elettorale”, di tutto meno che di preparazione, conoscenza dei problemi del calcio, buonsenso, cultura generale: cosa c’entra, Tavecchio, col ragazzino che affida al pallone le speranze dell’infanzia, col tifoso che fa sacrifici quotidiani per seguire la propria squadra, con l’arbitro che, su inenarrabili campi di Terza Categoria, mette in gioco la propria stessa incolumità per portare a termine i 90 minuti?

C’entra fin troppo, purtroppo. No, non possiamo lamentarci se Tavecchio è il presidente del nostro calcio, se con lui non si tornerà a guardare all’attività di base, al lavoro di istruttori e allenatori, alla crescita di giovani uomini e giovani calciatori. C’entra fin troppo perché il nostro calcio è sommerso dai difetti e dalla negatività, o perlomeno da enormi controversie: se da un lato ci sono i tifosi che rinunciano alle ferie per pagarsi le trasferte, dall’altro ci sono gli ultras che utilizzano gli stadi e i dintorni come discariche sociali delle proprie malate perversioni, scatenando disordini, tafferugli, discriminazioni; se da un lato c’è il bambino che si carica il borsone in spalla e va al campo di allenamento, dall’altro c’è il genitore che non lesina insulti e risse anche in un match della categoria Pulcini; se da un lato c’è il ragazzo che lavora in fabbrica otto ore e scende in campo alla domenica per stare con gli amici e rivivere i sogni dell’infanzia, dall’altro c’è il superdivo viziato che si allena due ore al giorno e scialacqua milioni nella “bella vita”, regalando modelli disastrosi alle nuove generazioni. Ah, e poi ci sono le società: quelle delle categorie inferiori, sì, spinte dalla passione e dall’entusiasmo di un manipolo di dirigenti che fanno sacrifici enormi per comprare divise e palloni; ma anche quelle che hanno i bilanci a sei o sette zeri, per le quali i diritti televisivi contano più della passione popolare, lo sconosciuto “parametro zero” del Sudamerica conviene più del giovane del vivaio, il tifoso è solamente un numero, una cifra da aggiungere al bilancio (se non un pericoloso ultrà con cui scendere immancabilmente a patti).

In questa fase, purtroppo, l’immagine del nostro calcio combacia con i secondi elementi del precedente ragionamento. E finché non cambierà dalla base, finché non verranno estirpate certe consuetudini negative e aberranti, il mondo del pallone tricolore non si meriterà nulla di diverso da Carlo Tavecchio presidente federale. 

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

1 Commento

1 Commento

  1. Gabriele Dente

    14 Agosto 2014 at 23:00

    Non ho ancora veramente capito che cosa rappresenta, o non rappresenta, Tavecchio per chi l’ha eletto. Ma una cosa finalmente, almeno a livello personale, mi è chiara: il calcio mi ha stufato. Spero che Malagò riesca nel suo intento di non foraggiare coi finanziamenti del CONI questa federazione marcia e corrotta. I soldi vadano alle federazioni che hanno valori ed energie positive. Ne hanno bisogno.

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