Seguici su
LEGGI OA SPORT SENZA PUBBLICITÀ
ABBONATI

CalcioEditorialiRubriche

Il naufragio di Prandelli e la deriva di un calcio italiano sempre più malato

Pubblicato

il

Lacrime di rabbia. L’impotenza di chi, dinanzi ad un declino che si propaga inesorabile, si rende conto di non avere le armi per arginarlo.

Mezzo secolo dopo, l’Italia viene eliminata nella fase a gironi di un Mondiale per due edizioni di fila (era già accaduto nel 1962 e nel 1966). I numeri sono impietosi: solo un’altra volta avevamo segnato appena due gol in una rassegna iridata, sempre nel 1966, l’anno della Corea del Nord. Due sconfitte nello stesso Mondiale, inoltre, erano maturate anche nel 1954, 1966, 1978 (ma con quarto posto finale) e 2002 (una delle due, ai supplementari). Tocchiamo il punto più basso della nostra storia, con il rischio tangibile che possa accadere anche di peggio.

Una prima considerazione, di per sé piuttosto cruda: per la prima volta da 40 anni, ci siamo presentati ad un Mondiale consapevoli di non aver alcuna possibilità di vincerlo. Troppe le lacune di una selezione tricolore giunta in Sud-America con tante, troppe lacune, con la speranza vana che l’aria iridata le cancellasse di colpo. Illusione.

Ma prima di soffermarci sui mali, forse incurabili, del calcio italiano, è bene partire dalla causa scatenante di un fallimento che affonda le radici nel tempo. Il Mondiale, come ha ammesso lo stesso Prandelli, lo abbiamo perso con il Costa Rica. Un match assolutamente alla portata, che se vinto avrebbe garantito una qualificazione pressoché certa, un primo posto nel girone probabile e, con esso, un ottavo di finale non proibitivo. Magari dopo aver fatto riposare qualche titolare con l’Uruguay. Sarebbe cambiato tutto, evitando un match da dentro o fuori con una nazionale esperta e ruvida come la Celeste.

E’ innegabile che l’arbitro Moreno, un cognome che ci perseguita e fa rivivere l’incubo del 2002, abbia influito in modo determinante e decisivo sull’eliminazione degli azzurri: un rosso inventato a Marchisio e il morso del ‘vampiro’ Suarez rimasto impunito. Due episodi troppo eclatanti in un incontro cosi’ equilibrato ed incerto. Ma è innegabile anche come l’Italia, in due partite, non abbia mai tirato in porta.
Il progetto tecnico di Prandelli, ed in questo va apprezzata l’onestà dell’ormai ex ct di Orzinuovi, si è sgretolato, fallendo miseramente la prova del nove. L’allenatore bresciano ha cercato in questi 4 anni di cambiare la mentalità del nostro calcio, imponendo una nuova filosofia, riassumibile come segue: basta catenaccio e contropiede, proviamo a giocare ed imporre il nostro gioco. Un modus operandi che ha convinto nel primo biennio, culminato con la finale europea contro la Spagna, ma rivelatosi inattuabile negli ultimi 12 mesi, soprattutto per carenza di interpreti adatti a questo tipo di calcio.
L’avvicinamento all’evento non era stato fortunato, con gli infortuni prima di Giuseppe Rossi (tagliato perché ritenuto non al top della condizione, anche se, a nostro parere, anche un Pepito al 50% avrebbe fatto comodo) e poi di Riccardo Montolivo, quest’ultimo vertice alto del rombo di centrocampo che ha obbligato Prandelli a rivoluzionare lo schema tattico proprio a pochi giorni dal debutto con l’Inghilterra. Dopo 4 anni impostati con 2 attaccanti, il ct ha deciso di puntare su un discutibile 4-5-1, affollando il centrocampo di palleggiatori e sostanzialmente ricalcando il modello spagnolo (ormai naufragato). L’esibizione con l’Inghilterra, pur non esaltante, era stata salvata dal risultato. I limiti di questo modulo sono però emersi nitidamente con il Costa Rica. Completamente in confusione, Prandelli si è rifugiato nel 3-5-2 di stampo juventino, ridando in parte una parvenza di solidità alla difesa, ma continuando a sviluppare una manovra lenta e prevedibile. ‘E’ il fallimento del mio progetto tecnico“, ha dichiarato Prandelli. L’impressione è che il buon Cesare avesse questo sentore già dal ritiro di Coverciano ed i continui cambi tattici lo dimostrano.

E veniamo ai giocatori. L’ex commissario tecnico ha perso la sua scommessa più grande. Ha investito per un quadriennio intero su Mario Balotelli. Lo ha coccolato, incoraggiato, perdonato. Lo ha trattato quasi come un figlio. Il Mondiale brasiliano ha invece emesso un verdetto inappellabile: ad oggi, ‘Super Mario’ (le virgolette sono volute) non è il fuoriclasse che l’Italia sperava di aver trovato. Certamente un buon giocatore, discontinuo, di sicuro incapace di caricarsi una squadra sulle spalle. Il fallimento della grande speranza Balotelli è lo specchio di un calcio italiano sempre più povero e mediocre. Il trionfo iridato del 2006 aveva segnato la fine di un ciclo d’oro con i vari Del Piero, Totti, Cannavaro, Nesta e via dicendo. Di quel gruppo sono rimasti i soli De Rossi, Pirlo e Buffon, ancora i migliori malgrado le trenta primavere superate abbondantemente. In otto anni abbiamo assistito ad un ricambio non all’altezza della tradizione dell’Italia.
Senza precedenti la crisi del reparto arretrato, dove la convocazione dell’oriundo Paletta esemplifica meglio di qualsiasi altra parola la situazione; a centrocampo un’unica, vera novità, quella del talentuoso Verratti; in attacco il capocannoniere della Serie A, Immobile, tenuto colpevolmente ai margini per poi gettarlo tardivamente nella mischia nel momento del bisogno,

Per giorni si dirà “Prandelli avrebbe dovuto portare Rossi, Florenzi, Destro, Toni, etc…“, ma la sostanza non sarebbe cambiata di molto: il confronto offre davvero poco in questo momento. Siamo a pane e acqua.
La crisi del calcio italiano parte da lontano, dall’inizio del nuovo millennio. Il trionfo di Germania 2006 ha nascosto per qualche anno un problema critico: i nostri club hanno smesso di investire sui vivai e sui giovani italiani. Negli ultimi 15 anni il nostro Campionato è andato gradualmente riempiendosi di stranieri perlopiù di basso livello. Attualmente la percentuale di giocatori ‘importati’ ha superato ampiamente il 50% ed è probabile che a settembre valichi anche la soglia del 60% (nei prossimi giorni vi proporremo un’analisi su questi numeri).  Molti di questi, alla prova dei fatti, si rivelano dei giocatori tecnicamente inadeguati. Ma nella mentalità italiana, il nome esotico stuzzica la fantasia dei tifosi e, magari, fa vendere qualche abbonamento in più. Mettiamocelo bene in testa: finché questo andazzo non verrà mutato, il trend della Nazionale non potrà che peggiorare. Il calcio italiano, annegato dall’onda straniera, sta morendo lentamente. Un’agonia che fa male. 

E dire che la crisi economica e la mancanza di liquidità dovrebbe invogliare i nostri club a costruirsi in casa i campioni del domani. Ma questo non accade. Le grandi squadre allevano giocatori per utilizzarli poi come pedine di scambio nel vortice del mercato, senza attuare un progetto lungimirante su scala pluriennale. Anzi non vi è alcun interesse ad intraprenderlo ed è questo che più ci preoccupa per il futuro. Il successore di Prandelli non avrà vita facile, con un bacino di italiani da cui attingere sempre più esiguo. Nel lungo periodo rischiamo davvero di sparire, salvo una soluzione come quella del calcio a 5, vincente con una squadra zeppa di oriundi. E’ questo che vogliamo?

Chiudiamo poi con il clima, indicato per troppi giorni come un alibi per gli uomini di Prandelli. Che si fosse giocato in Antartide o nel Sahara, non sarebbe cambiato nulla: i nostri giocatori, fisicamente, non sono più in grado di affrontare da protagonisti le grandi competizioni internazionali. Ci mancano velocità, dinamismo, resistenza, una preparazione adeguata a partire dalle scuole calcio. Non è un caso se gli avversari sembrano correre a velocità doppia, come non lo è neppure il livello dei nostri club in Europa, da ormai un decennio comparse in Champions (l’Inter del Triplete, nel 2010, era composta interamente da stranieri nell’undici titolare) ed Europa League.

Un discorso lungo, riassumibile in poche parole: quello italiano è ormai un calcio di seconda fascia. Con questa convinzione ci eravamo presentati in Brasile, con la medesima torniamo a casa con le ossa rotte. Passata la grande delusione, sui più grandi quotidiani sportivi torneremo a leggere pagine e pagine di calciomercato. Almeno il 90% delle trattative riguarderanno calciatori non italiani. Il terrore è che il peggio possa ancora venire.

Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter

federico.militello@olimpiazzurra.com

Google News Rimani aggiornato seguendoci su Google News!
SEGUICI