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Ciclismo

Giro d’Italia 2014: la rinascita azzurra

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C’era tanta, tantissima preoccupazione, tra tifosi e forse anche tra qualche addetto ai lavori, alla partenza del Giro d’Italia 2014: alla luce della deludente primavera di classiche, infatti, la paura era quella di non avere azzurri competitivi nella più prestigiosa corsa del nostro paese. Magari di non vincere nemmeno una tappa, come ipotizzavano i più pessimisti.
Invece, di tappe ne sono arrivate sei, un italiano chiude sul podio e un altro ancora nei primi cinque. Partiamo da quest’ultimo, da Domenico Pozzovivo: trentadue anni da compiere a novembre, nella piena maturità della carriera ha centrato il miglior piazzamento di sempre in una gara di tre settimane; in particolare nelle prime due, ha dimostrato una grandissima condizione in salita, difendendosi egregiamente anche a cronometro, e perdendo il podio unicamente perché nelle ultime giornate alpine, pur non facendosi mai sfilare dai migliori, è venuta meno quella brillantezza che gli avrebbe permesso di andare nuovamente all’attacco per recuperare terreno.
Ma i titoli, in questi giorni, sono stati tutti per Fabio Aru: si è già detto molto sul ventiquattrenne di Villacidro, bisogna tuttavia rimarcare, al di là dello straordinario risultato finale (forse persino impensabile alla vigilia), la grande intelligenza tattica che lo ha contraddistinto; talvolta in salita partiva dalla quindicesima-ventesima posizione, dando sempre l’impressione di essere al gancio, senza tuttavia mai andare in difficoltà, salendo del proprio ritmo e, più di una volta, riuscendo a staccare i diretti concorrenti sulle rampe finali. Certo, Aru ha la stessa età di Quintana e il colombiano ha vinto nettamente il Giro dopo essere stato secondo al Tour, ma è bene ricordare come il sardo sia in gruppo soltanto per la seconda stagione “piena”, mentre Nairo è in Movistar da tre anni e prima ne aveva corsi altrettanti tra gli élite colombiani.
E poi ci sono i vincitori di tappa: da Enrico Battaglin, che con quel numero da urlo a Oropa ha dato l’impressione di poter vincere davvero in tutti i terreni (qualità su cui possono contare non più di 6-7 corridori in tutto il mondo), a Marco Canola, che a Rivarolo Canavese ha potuto finalmente urlare come non gli era stato permesso un anno fa, quando venne ripreso a due passi dal traguardo; da Stefano Pirazzi, la cui vittoria è un premio per tutti i corridori generosi e sempre all’attacco senza alcuna paura, a Diego Ulissi, che ha voluto zittire una volta per sempre le voci le quali lo davano come un talento inesploso o un’eterna promessa, dimenticandosi che a nemmeno 25 anni si ha tutto il tempo per scrivere pagine dorate; magari, in futuro il livornese potrebbe tornare al Giro per fare classifica, perché ha dato anche quest’impressione.
Tra gli atleti piazzati, in due meritano una citazione: Giacomo Nizzolo, perché la regolarità con cui si è distinto in ogni volata, sfiorando il successo per venti centimetri o mezzo metro, merita un premio, anche se avrebbe davvero meritato di esultare almeno una volta; e Mattia Cattaneo, anche lui del 1990, anche lui alla seconda stagione tra i pro, anche lui più volte davanti su svariati terreni.  A voler trovare il pelo nell’uovo, citiamo Moreno Moser: troppo poco un sesto posto a Savona per un corridore-guarda caso del 1990-che in questa stagione non si è ancora espresso al massimo del potenziale.

foto: Facebook Giro d’Italia

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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