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Cinque Cerchi di Neve: il Razzo dell’Appennino re dello slalom

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In questa rubrica abbiamo ripercorso alcuni dei momenti (e dei personaggi) più celebri della storia delle Olimpiadi invernali, prevalentemente a tinte azzurre: è dunque naturale chiudere il cerchio con l’ultima gioia italiana, con l’unico oro di Vancouver 2010, anche solo come segno di buon auspicio per la nostra spedizione giunta da poche ore a Sochi.

Parliamo ovviamente di Giuliano Razzoli, del suo slalom d’oro, di quell’impresa che, vuoi per la disciplina, vuoi per la stessa “emilianità”, fece rivivere il mito di Alberto Tomba. Classe 1984, reggiano di Razzolo di Villa Minozzo, veniva dalla prima vittoria in Coppa del Mondo a Zagabria e dal podio di  Kitzbühel: insomma, il successo di Vancouver fu tutto meno che casuale, come alcuni hanno sostenuto considerando i risultati deludenti delle ultime stagioni. La verità è che l’atleta del Centro Sportivo Esercito, ai tempi, era davvero tra gli slalomisti più forti al mondo, in particolare su pendii non esasperati e con tracciature che lasciavano un po’ di spazio tra un palo e l’altro: parte col 13 il Razzo, quando i migliori sono già scesi, e al comando c’è comunque una bella sorpresa, lo sloveno Mitja Valencic. Scia fluido, agile, senza incertezze: va al comando con 43/100 sullo sloveno e 54 su Raich.

Pur con i risultati del mese di gennaio, l’emiliano non è certo considerato il favorito, nemmeno dopo questa prima manche. Raich e Kostelic sono in agguato e la pressione potrebbe giocare brutti scherzi: come li gioca a Mitja Valencic, che dice addio ai sogni di medaglia infilando un errore dietro l’altro. Anche Raich non è pulito, nonostante la tracciatura del suo tecnico, mentre Kostelic si porta al comando senza troppi problemi, pronto a centrare quell’oro olimpico che ancora gli manca, dopo i due argenti in combinata. Ma c’è Razzoli. E Razzoli ha la testa libera, la serenità dei campioni: 58/100 di margine sono tanti e sono pochi al tempo stesso. In Italia è sera, l’ultima sera di quelle Olimpiadi, e chi può è incollato al televisore a spingere l’emiliano, che transita al primo intermedio con 67/100; si prende i giusti anticipi, non fai un movimento di troppo ma al tempo stesso non esagera con i rischi, perché dentro di sé sa che un vantaggio di oltre mezzo secondo non vola nel vento a meno di errori di un certo tipo. I centesimi sono 56 al secondo intermedio e sembra fatta: ma nella parte finale forse esagera con il controllo, quelle ultime dieci porte sembrano infinite, lasciano col fiato sospeso. Eppure, il margine si fa sentire e quella luce verde che si accende sotto il suo 1:39.32 complessivo, 16/100 meglio di Kostelic, fanno esplodere l’Italia in un urlo di gioia, l’unico di quella Olimpiade.

Oggi abbiamo un Razzoli diverso, un Razzoli che fatica per mille ragioni ad essere competitivo. Ma un Razzoli che andrà a Sochi a difendere il titolo, nonostante la sua convocazione abbia fatto discutere. In questi giorni è sugli amati Appennini ad allenarsi, tra Cimone ed Abetone: e chissà che non tornino le sensazioni di un tempo, perché la classe non svanisce all’improvviso.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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