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Ciclismo

Ciao, Marc de Triomphe

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Era una domenica mattina di dieci anni fa. “È morto Pantani, stanotte” – mi dissero i miei genitori, svegliandomi. Dovetti farmelo ripetere un po’ di volte: Marco, l’idolo della mia infanzia, il motivo per cui già in quegli anni andavo a pedalare, fingendo che il Sacro Monte sopra Varese fosse il Mortirolo, non c’era più. Con il groppo in gola, istintivamente aprii il cassetto dove tenevo (e tengo ancora oggi) una stropicciata prima pagina della Gazzetta dello Sport di lunedì 3 agosto 1998: “Marc de Triomphe”, il titolo a caratteri cubitali che precede la gigantografia di Marco sul podio più ambito, assieme a Felice Gimondi, l’ultimo italiano prima di lui a vincere al Tour de France.

Se n’era andato nel modo peggiore, ucciso da un veleno che non perdona, da chi glielo aveva venduto e da una malattia subdola, che ti fa vedere nero in ogni giorno della vita, impedendoti di stupirti per un’alba o un tramonto. Se n’era andato nel silenzio di una stanza d’albergo, lui che, suo malgrado, nel silenzio non aveva mai potuto vivere: prima per gli irripetibili successi sportivi, poi, con un asfissiante e devastante pressing mediatico, anche nei momenti più bui, anche quando, l’estate precedente, era ricoverato in una clinica nel Veneto e decine di giornalisti si assiepavano fuori dai cancelli per avere uno scoop in più da pubblicare, infischiandosene del rispetto per un dramma umano, prima ancora che sportivo.

Aprii un altro cassetto e trovai quella maglia a cui tenevo tanto, già allora troppo piccola da indossare: completamente gialla, la scritta Mercatone Uno sul petto e sulla schiena. Ripensai, appunto, a quel giallo, quel plotoncino del colore del sole che, sempre compatto e sempre unito, caratterizzava le grandi corse a tappe dell’epoca: davanti al gruppo, quando Marco stava bene; dietro, quando la migliore condizione era lontana. Simone Borgheresi e Fabiano Fontanelli, Massimo Podenzana e Stefano Garzelli nel dorato (appunto) 1998, Massimo Codol e Roberto Conti, Daniel Clavero e Sylwester Szmyd nel 2003, ultimo anno di corse, l’anno dello Zoncolan scalato con le unghie e con i denti di fianco ai migliori, l’anno degli scatti rapidi, secchi e improvvisi, come da suo stile, alle Cascate del Toce. La mente correva veloce a questi momenti, agli ultimi atti del Pantani corridore, alla delusione per l’ennesimo, mancato invito al Tour de France, corsa che lui stesso aveva contribuito letteralmente a salvare, nel 1998, quando stava per essere affossata da scandali doping e scioperi degli atleti.
Fu il Tour, giunto subito dopo il Giro d’Italia dell’epico duello con Tonkov a Montecampione, della clamorosa impresa di Les Deux Alpes, pioggia, freddo e montagne, crisi di Ullrich, Pirata in fuga sul Galibier e corsa ipotecata con un’azione “d’altri tempi”, a costo di scadere nella banalità di questa frase; fu il Tour, appunto, di Marc de Triomphe, come vogliamo ricordarlo ancora oggi.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

2 Commenti

1 Commento

  1. Luca46

    14 Febbraio 2014 at 16:08

    Di tutti quelli che ho visto correre io quello che ha regalato le emozioni piu’ belle. Il suo sguardo in salita emoziona ancor oggi. Eterno.

  2. ale sandro

    14 Febbraio 2014 at 09:20

    Grazie per l’articolo Marco , c’è da perdersi per le emozioni che mi ha fatto provare questo atleta, lo voglio ricordare sorridente ancora in corsa nell’ultima tappa di quel tour ormai vinto, mentre festeggia con i compagni. Ci saranno i soliti commenti a sproposito su di lui un po’ dappertutto anche in una giornata come questa. Non mi interessa. Non mi dimenticherò mai di questo fuoriclasse. Ciao Marco.

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