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Rugby, aperture al Mondiale 2015: nessuna soluzione in vista?

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Fra tutti gli sport di squadra, il rugby è senza ombra di dubbio quello che meglio incarna il concetto di gioco collettivo. Nessun ruolo, di fatto, può essere bollato come ‘meno importante’; si gioca in 15, si lotta in 15. Che si tratti di un prima linea o di un estremo, di un flanker o di un’ala, tutti in campo hanno i medesimi compiti da svolgere per rilevanza ed incidenza sul match, senza alcuna (o pochissima) distinzione. In Italia, però, non va esattamente così perlomeno dal 2003, anno dell’ultimo match internazionale di Diego Dominguez.

Già, Dominguez. Il vuoto lasciato dal mediano d’apertura italiano più forte e prolifico di tutti i tempi è ancora oggi incolmabile e profondo, nonostante il gran numero di aspiranti novelli Diego passati per quella maglia. Stregata? Sì, ma ridurre il problema ad una mera questione di buona o cattiva sorte ovviamente sarebbe qualcosa di assolutamente insensato. Piuttosto, il vero nodo è da sempre legato ad una certa incapacità di produrre ‘in casa’  un n°10 performante e futuribile, con le caratteristiche adatte magari per poter diventare il faro della Nazionale. Un faro che attualmente manca e mancherà quasi sicuramente anche nel 2015, anno dell’atteso Mondiale inglese, probabilmente l’ultimo per una generazione che all’Italia ha regalato grandi soddisfazioni, fenomeni assoluti e giocatori di grande spessore (Parisse, Castrogiovanni, Masi, Geldenhuys, Garcia, Canale, Cittadini), a cui è mancata solo la punta di diamante. L’apertura, per l’appunto. Con una mischia in grado di sottomettere chiunque, un mediano di mischia coperto in qualche modo con l’esplosione di Gori e dei trequarti in costante crescita sotto il profilo tecnico-tattico, a peccare di certezze è rimasto solo ed esclusivamente il regista, il piazzatore, la cui ricerca è diventata quasi un ossessione, un sogno. In terra d’Albione, a calarsi nelle vesti di regista dovrebbe essere ancora Luciano Orquera, reduce forse dal miglior Sei Nazioni della carriera ma con 34 primavere alle spalle al prossimo appuntamento iridato. Troppe (come le 35 con cui arriverebbe Alberto Di Bernardo), forse, per un ruolo così delicato nell’economia del gioco azzurro, a cui manca come il pane un mediano affidabile e concreto per completare (insieme ad altri piccoli ma fondamentali accorgimenti) lo scacchiere. E non sarà Brunel a poterne contare, alla luce anche delle comatose speranze intorno alla rapida crescita delle promesse per i prossimi anni, Ambrosini e Iannone su tutti, naturalmente non per colpa loro; il primo non sembra ancora in grado di poter dire la sua nel Benetton Treviso, con conseguente scarsità di minutaggio, mentre per la zebra il presunto passaggio da centro a mediano non può che risultare complicato.

Citando Iannone, inoltre, non si può che far riferimento al fantomatico Progetto Apertura, promosso da Gavazzi a suo tempo ed ennesima dimostrazione di quanto sia vitale per l’Italia un numero 10 di caratura internazionale. Un’idea sulla carta interessante, se non fosse per la sua apparente scomparsa da ormai diversi mesi, peraltro senza mai essere menzionata nemmeno dalla Federazione stessa. In due anni – quindi per il Mondiale – non si sarebbero potuto fare miracoli, ma si sarebbero potute gettare le basi per l’esplosione di qualche importante prospetto. E invece, tutto fermo, stallo totale e questione apert(ur)a ormai da dieci, lunghi anni.

 

daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

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