Seguici su

Ciclismo

Octave Lapize e il Tour degli “assassini”

Pubblicato

il

Ieri è stata svelata l’edizione 2014 del Tour de France: un percorso particolare, innovativo, ma che forse gira troppo alla larga da alcune montagne storiche. Perché è di storia del ciclismo che oggi vogliamo parlare, di Octave Lapize in modo particolare.

Lo facciamo perché, idealmente, oggi sarebbe il compleanno di questo corridore: il centoventiseiesimo compleanno per la verità, da classe 1887 qual era. Octave non c’è più, peraltro da quasi un secolo, e racconteremo anche della sua morte. Ma è un pezzo di leggenda, di mito dello sport, e per questo merita di essere ricordato. Una frase, tanto per cominciare:  Vous êtes des assassins! Oui, des assassins! (Voi siete degli assassini! Sì, degli assassini”). Chi, cosa e perché?

Siamo nel 1910, agli albori del ciclismo. Le strade sono mulattiere sterrate, le biciclette grezze e pesanti (più del doppio di quelle attuali), le tabelle di marcia persino più insostenibili, l’alimentazione e la preparazione fisica non certo al livello di meticolosa scientificità al quale siamo giunti oggi: insomma, un altro mondo, un mondo davvero infernale, che peraltro dovrebbe sfatare il mito secondo cui “senza doping non si riesce a fare ciclismo”, perché anche la cosiddetta chimica, ai tempi, era piuttosto indietro. Lapize, bronzo olimpico nel 1908 e vincitore di tre Parigi-Roubaix consecutive (record in coabitazione con Francesco Moser), si presenta al via dell’ottavo Tour de France della storia con i favori del pronostico: è infatti uno scalatore puro, agile, e le salite, per le ragioni prima descritte, sono ben più impegnative di quelle attuali. Certo, il sistema di classifica a punti allora in vigore rende il cronometro meno “pesante” di quanto accada attualmente: anche perché  le mezz’ore e le ore intere di distacco volano come se nulla fosse, altro che una manciata di secondi di abbuono…

Quindici tappe, una ogni due giorni, dal 3 al 31 luglio: quella più breve misura 216 (!!!) km, quella più lunga 424. E pensare che adesso per molti corridori i 200 km, anche su percorso pianeggiante, diventano quasi un muro invalicabile. La più bella è la nona: Perpignan-Luchon, 289 km. Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque: vette mitiche, una in fila all’altra, che nessuno aveva mai avuto il piacere di conoscere prima di allora; sono infatti i primi Pirenei della storia del Tour. E partenza all’alba e arrivo al tramonto, e strade strette e sterrate, e macchine dell’assistenza tecnica ovviamente inesistenti, al limite un copertone a tracolla per ogni evenienza e un paio di soste in qualche trattoria per rifocillarsi. In vetta all’Aubisque (anche se qualcuno riporta il Tourmalet) Lapize transita in seconda posizione, dietro a tale Lafourcade, e si lancia nello storico urlo, riferito agli organizzatori: sì, sono degli assassini, perché proporre un percorso del genere, in condizioni del genere, è veramente da geni del male.

Nelle ricostruzioni di quella giornata, inutile dirlo, si mischiano cronaca e leggenda: ci sono racconti diversi, com’è ovvio che sia. C’è chi dice che Lapize abbia avuto un problema meccanico sulla salita del Tourmalet (d’altronde una storica foto lo inquadra mentre spinge la bici) e che abbia affrontato a piedi la successiva discesa, riuscendo a riparare il manubrio prima di rimettersi in sella; c’è chi dice che abbia mangiato in corsa una dozzina di bistecche, chi che abbia ripetuto il grido “assassini!” anche sul traguardo di Parigi, all’ultima giornata, nonostante fosse il vincitore.

I dati di fatto incontrovertibili sono questi: Lapize vince quella frazione con 18 minuti di margine sul più immediato inseguitore e ventidue sul lussemburghese François Faber, suo rivale; vince dopo 14 ore in sella (l’ultimo di giornata ne impiega 18); pone lì le basi per il successo finale, che arrotonderà con altre due vittorie di tappa. E l’ultimo dato di fatto, che getta un velo di tristezza su questo mito, è la sua morte: 14 luglio 1917, ventinove anni, Lapize muore da aviere in Lorena durante la Prima Guerra Mondiale. Il ciclismo perde così troppo presto, decisamente troppo presto, un “eroe” che avrebbe potuto raccontare per almeno altri cinquant’anni che cos’era davvero lo sport della bicicletta ai suoi albori.

foto Karl Newell

Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *