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Ciclismo

Ciclismo, quell’immagine da ricostruire

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E siamo ancora qua. Pensavamo, con l’incredibile vicenda di Lance Armstrong, di avere definitivamente chiuso i conti con un’epoca oscura del ciclismo: un’epoca fatta di dilanianti sospetti, allora, e di drammatiche certezze, oggi, sull’abuso di pratiche illecite adottata per consuetudine da tanti, troppi ex membri del plotone.

Invece no, siamo di nuovo ricacciati nell’incubo, con lo scoop della Gazzetta dello Sport su Mario Cipollini (qui una sintesi). Potremmo discutere-e un giorno lo faremo-dell’atteggiamento di certi mezzi di comunicazione che un giorno incensano e il giorno dopo scaricano brutalmente, nel peggior italian style, tanti atleti. Potremmo discutere della difesa dell’avvocato di Re Leone, che “smentisce categoricamente le infondate ed assurde accuse” mosse al suo assistito. Ma non è il caso specifico, oggi, ad interessarci; perché in futuro, forse tra un mese forse tra un anno, non dovremo stupirci se altre rivelazioni, altri scandali, altri shock emergeranno dagli incartamenti del famigerato dottor Fuentes o di qualche altro criminale che ha tradito i principi basilari della professione medica.

E’ l’immagine che sta uscendo di quel ciclismo tra metà anni novanta e metà anni duemila a lasciarci senza parole.  Il triste elenco di campioni (o “gregari”) finiti nell’occhio del ciclone si allarga a macchia d’olio, interi pezzi di storia sono da cestinare, decine di albi d’oro sono da riscrivere…o meglio, da lasciare in bianco, perché a distanza di così tanti anni diventa assurdo (Le Monde ci aveva provato) risalire al primo dei “puliti”, al primo degli onesti, visto che il principio di fondo, da tenere sempre a mente, è questo: che si può-e si poteva- fare ciclismo in modo onesto. Cancellare tutto-come sostiene qualcuno-, togliere dalla storia delle due ruote tutte quelle corse tra il  “sistema Festina” e il “sistema US Postal”, prima dell’introduzione del passaporto biologico? No, non è una soluzione accettabile. Perché in quegli anni, fossero anche solo due o tre in tutto il gruppo, c’erano corridori che facevano il loro mestiere in modo pulito, e sarebbe uno schiaffo immane demonizzare anche questi ragazzi per punire quella canea di disonesti (nella quale, è bene ricordarlo, va annoverata anche una certa dose di direttori sportivi, manager, dirigenti federali, massaggiatori, medici). Non c’è una soluzione, se non quella di prepararsi ad altri bocconi amari, di guardare avanti, di credere-e su questo, personalmente, ci metto la mano sul fuoco-che il ciclismo di oggi, con la miriade di controlli quotidiani, non possa essere quel trionfo di ingiustizia che era pochi anni fa.

Va ricostruita l’immagine del ciclismo. Va ricostruita con onestà, trasparenza, professionalità, serietà: va ricostruita chiedendo, a gran voce, gli stessi controlli e la stessa spietatezza in tutti gli altri sport, perché non crediamo, sinceramente, che nelle tabelle di Fuentes ci fossero solo ciclisti. Va ricostruita per chi ha sempre fatto questo lavoro onestamente, con il sudore della propria fronte. Va ricostruita per i tifosi. Va ricostruita per Binda, Coppi, Bartali e gli altri “eroi” che, in un’epoca non troppo lontana, esaltavano popoli interi solo con la forza delle gambe e del cuore. E facevano del ciclismo una fatica, un mito, un sogno, una metafora della vita. Una storia per uomini veri, non costruiti in laboratorio.

foto tratta da euro.mediotempo.com

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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