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Ciclismo

Giro delle Fiandre, l’Inferno dei muri

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C’è l’inferno del pavè e c’è l’inferno dei muri: perché le classiche del Nord, per la lunghezza e per il percorso, rappresentano, appunto…l’inferno.

Sbaglia chi pensa che la fatica vera del ciclismo sia soltanto quella dei passi alpini o pirenaici, quelle quote assurde raggiunte dopo pendenze altrettanto assurde; a volte, fa più male uno strappo di 6-700 metri, magari in pietra, magari con qualche punto al 22-23%, che non una salita di 15 km. Perché negli strappi brevi ogni corridore è più portato a farlo “a tutta”, tanto la cima si vede; ma più la vedi vicina, più il cuore ti pulsa nella tempia, una sensazione invece difficile da provare sulle ascese di vera montagna.

259 km sono tanti, tantissimi: oltre i 200 di distanza, alcuni corridori, soprattutto i più giovani, iniziano a vedere nero; è un po’ come se si passasse le colonne d’Ercole, come se si fosse chiamati alla dimostrazione di essere degni di far parte del gruppo. Le classiche sono l’università del ciclismo, i muri del Giro delle Fiandre l’essenza della stessa università: il Paterberg, in particolare, quei 300 metri in ciotolato al 12% da affrontare due volte, un doppio giro della morte assieme a tanti altri muri, con la gambe che urlano e i campioni che attaccano. Ecco, l’ultimo Paterberg, a 13 km dalla conclusione, rappresenterà il giudice supremo ed inappellabile: chi avrà ancora forza, dovrà andarsene qui. E saranno pochi, pochissimi.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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