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Storia del doping, un fenomeno antico quanto lo sport

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Molti appassionati di sport, ma anche giornalisti, spesso sono portati a pensare che il doping sia un fenomeno relativamente recente, sviluppatosi solamente negli ultimi decenni. In realtà è facile scoprire che non è così, anzi la differenza sta nel fatto che con il migliorare delle tecniche antidoping aumentano anche i casi di positività, il che dà la percezione che l’uso di doping sia in aumento.

In origine, addirittura, l’uso del doping era vissuto come una cosa non solo legale, ma normalissima e conclamata: e questo sin dai tempi delle Olimpiadi antiche. Del resto l’origine delle “pozioni magiche” (in stile Panoramix, per intenderci) per aumentare le proprie capacità fisiche non è altro che l’uso di sostanze naturali, spesso allucinogene, che possono aumentare a dismisura la forza e la resistenza. Questo elemento è presente in tutte le culture, dall’Europa del Nord all’Africa.

Quando nell’800 furono organizzate le prime gare di marcia di lunga durata, poi, divenne noto a tutti come gli atleti utilizzassero piante oppiacee ed altri prodotti per migliorare le proprie performance, come veniva dichiarato dagli stessi protagonisti delle competizioni. Lo stesso accadde nelle prime gare di ciclismo e di boxe negli Stati Uniti: si racconta che spesso i ciclisti venivano colti da allucinazioni e da pazzia, proprio a causa delle sostanze che assumevano, dall’oppio alla nitroglicerina, che veniva utilizzata per aumentare le capacità respiratorie.

Ai Giochi Olimpici, il primo caso conclamato di doping è quello dello statunitense Thomas Hicks, vincitore della maratona olimpica di St. Louis nel 1904: durante la gara, Hicks andò in crisi ed il suo allenatore lo soccorse con una siringa. Sul traguardo, Hicks fu preceduto dal connazionale Fred Lorz, che fu squalificato per essere stato trasportato per 11 miglia, mentre l’uso della siringa da parte di Hicks fu ritenuto del tutto normale. L’allenatore svelò poi che le iniezioni furono addirittura due e che ognuna conteneva un milligrammo di solfato di stricnina, mentre durante la corsa ad Hicks fu somministrato anche del brandy.

All’epoca, per l’appunto, non si teneva conto delle conseguenze negative che il doping avrebbe potuto avere sugli atleti, e l’uso di queste sostanze non veniva assolutamente considerato come un modo di falsare la gara, ma come qualcosa di lecito e addirittura necessario: “La maratona ha mostrato da un punto di vista medico come le droghe possano essere molto utili agli atleti nelle gare di lunga distanza”, si legge nel rapporto della maratona olimpica del 1904.

Nel 1924, il giornale Le Petit Parisien svelò invece le pratiche dopanti necessarie ai ciclisti per portare a termine il Tour de France: in un’intervista, Henri Pélissier, vincitore della Grande Boucle nel 1923, disse che il Tour era “peggio di un calvario” e mostrò le sostanze utilizzate per sopravvivere alla fatica di ogni tappa: cocaina, cloroformio, linimento e pillole varie. Negli anni ’30, poi, il libro guida per le squadre del Tour ricordava addirittura come le droghe non fossero incluse nella fornitura da parte degli organizzatori.

Le Olimpiadi di Berlino, nel 1936, sancirono invece la comparsa ufficiale delle anfetamine nello sport, solo due anni dopo che la benzedrina fu isolata da Gordon Alles negli Stati Uniti. Le stesse sostanze utilizzate nei Giochi del ’36 furono poi somministrate ai soldati durante la seconda guerra mondiale.

Questi sono solo alcuni esempi che ci ricordano come l’uso di sostanze dopanti sia in realtà qualcosa connaturato con l’esistenza stessa della competizione sportiva. Le sostanze dopanti utilizzate oggi sono certamente più sofisticate e più potenti nei loro effetti di quelle della prima metà del ‘900, ma abbiamo motivo di credere che queste pratiche, in percentuale, siano in realtà meno diffuse adesso che allora.

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giulio.chinappi@olimpiazzurra.com

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