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Jannik Sinner e Lorenzo Musetti: due italiani in semifinale al Roland Garros come 65 anni fa! E all’epoca vinse…
Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, alla fine, la storia l’hanno fatta. C’erano speranze ben più che fondate che si arrivasse a questo punto del Roland Garros, e questo si è trasformato in realtà nell’arco di poco più di 24 ore. L’altoatesino e il toscano, venerdì, scenderanno in campo per le semifinali del Roland Garros dando vita, l’uno alle 14:30 e l’altro alle 19 (non si conosce ancora l’ordine, ma sarà quasi certamente prima Musetti e poi Sinner). Una cosa del genere non accadeva a Parigi da ben 65 anni.
Al tempo, infatti, c’erano due che hanno fatto la storia del tennis italiano. Uno è colui che, prima dell’Era Open, è stato tra i dominatori della terra rossa, Nicola Pietrangeli. L’altro era un gigante, veniva da Fiume, e in singolare le vette altissime del suo compagno di doppio non le raggiunse mai, ma occasionalmente sapeva ben figurare: Orlando Sirola.
In quel 1960 Pietrangeli arrivava al Roland Garros da campione in carica, per quello che era un torneo nel quale le migliori teste di serie giocavano sei turni e, invece, alcuni altri giocatori ne giocavano sette. Era un tabellone a 86, in cui Pietrangeli era testa di serie numero 6, la 1 era l’americano Barry MacKay e Sirola era fuori dal seeding, ma c’era Beppe Merlo, altro grande italiano di quei tempi che in pochi ricordano, ma che ebbe un ruolo fondamentale. sotto tanti punti di vista.
Pietrangeli si trovò a dover giocare il turno iniziale, ma i problemi furono relativi: un set concesso al francese Alain Bresson, uno a Martin Mulligan, che di lì a qualche anno per l’Italia ci avrebbe giocato, poi un autentico assolo: al terzo turno batté il messicano Mario Llamas e al quarto il francese Gérard Pilet. Per converso, Sirola non solo fu esentato dal primo turno, ma non giocò il secondo per forfait del danese Torben Ulrich. Ma fu un torneo grandissimo, il suo: prima sconfisse Roy Emerson (incontrato appena prima di diventare una leggenda da doppio Career Grand Slam in singolare e triplo in misto, sebbene quasi tutti i trofei li abbia vinti pre-Era Open e senza Rod Laver di mezzo, cosa che comunque non ne sminuisce l’altissimo valore), poi batté agli ottavi in rimonta il francese Pierre Darmon.
Veniamo ai quarti. Pietrangeli sconfisse Andres Gimeno in una delle due sfide di spicco (l’altra era Ayala-Santana), e lo fece in quattro set. Sirola, invece, ce ne mise appena tre per far fuori addirittura MacKay, cosa che poi replicò sull’erba di Perth per andare in finale in Coppa Davis. Fu così che i due poterono giocarsi, assieme, il grande obiettivo. Pietrangeli lo raggiunse a danno del francese Robert Haillet, che a sorpresa aveva estromesso Neale Fraser; per Sirola non ci fu nulla da fare contro Luis Ayala, il cileno che ci ha lasciati nello scorso settembre alla veneranda età di 91 anni. E con il quale Nicola giocò una finale dura, durissima, che portò a casa per 3-6 6-3 6-4 4-6 6-3.
Una congiunzione del genere al Roland Garros non si sarebbe mai più verificata in alcuno stadio, al maschile. E nemmeno in altri Slam (Sinner e Musetti ci andarono vicini un anno fa a Wimbledon, ma ci si misero di mezzo Daniil Medvedev e una notte insonne di Jannik con tutte le conseguenze sul giorno successivo). Al femminile, invece, non a Parigi, ma a New York, questo è accaduto: US Open 2015, con l’epopea di Flavia Pennetta e Roberta Vinci che sconfissero Simona Halep e Serena Williams, al tempo numero 2 e 1 del mondo, in quello che fu uno dei sabati più impensabili della storia del tennis italiano.
Va comunque ricordato chi, in singolare maschile, prima di Sinner e Musetti, e oltre allo stesso Jannik nel 2024, è arrivato in semifinale a Parigi nel passato, sia nell’Era Open che fuori da essa. Il primatista ad oggi resta Nicola Pietrangeli con 4 presenze, tutte diventate finali: oltre a quella citata del 1960 c’è anche la vittoria del 1959 contro il sudafricano Ian Vermaak, come ci sono anche le due occasioni del 1961 e 1964 in cui a sconfiggerlo fu Manolo Santana, uno dei padri del tennis spagnolo. Ulteriore finalista fu Giorgio De Stefani nel 1932, anno in cui si dovette arrendere di fronte a Henri Cochet, uno dei Quattro Moschettieri di Francia. Per lui anche una semifinale nel 1934, persa, ma solo al quinto set, contro il tedesco Gottfried von Cramm, una figura straordinaria anche e soprattutto per la storia personale.
E poi c’è Adriano Panatta, che dopo le semifinali del 1973 (sconfitto da Niki Pilic, che di lì a poco avrebbe causato suo malgrado il più grande boicottaggio della storia del tennis a Wimbledon) e del 1975 (perse contro Bjorn Borg), si prese tutto nel 1976, sconfiggendo lo stesso Borg, che contro il romano odiava giocare, e poi l’accoppiata tutta made in USA Dibbs-Solomon in semifinale e in finale. Il tutto dopo aver annullato un miracoloso match point al primo turno a Pavel Hutka, del quale solo di recente sono riemerse le immagini tramite la longa manus dei social.
Tutti gli altri giunti in semifinale là si sono fermati. Non andò avanti Uberto De Morpurgo (sempre contro Cochet), padre putativo del tennis italiano di altissimo livello, nel 1930, come non ce la fece Merlo nel 1955 e nel 1956 (prima contro lo svedese Sven Davidson, poi contro l’australiano Lew Hoad, autentico genio della racchetta dei tempi). E non ce la fece nemmeno Corrado Barazzutti nel 1978, al quale toccò anche una sorte molto malaugurata: trovare un Borg illimitato, da 6-0 6-1 6-0. Fu anche l’ultima semifinale Slam maschile italiana per quarant’anni, fino a quando Marco Cecchinato non s’inventò i mesi della vita, batté Bautista Agut, Goffin e pure Novak Djokovic in sequenza prima di perdere dall’austriaco Dominic Thiem, allora numero 2 indiscusso sul rosso.
Oggi per Sinner e Musetti lo status è di quelli enormi: numero 1 al mondo l’uno, destinato a entrare in top 5 l’altro. Due percorsi diversi, i loro, dal 2018 a oggi, ma che stanno portando a delle vette che il tennis italiano vuole godersi in un venerdì che non potrà non attirare l’attenzione generale. Lo dimostra tutto, a partire da dati d’ascolto che, tra Roma e Parigi e con i differenti target di riferimento, sono diventati così mostruosi da far capire che la platea del tennis è potenzialmente enorme, tale da creare numeri fuori scala per quasi qualunque altro sport in Italia.
