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Coppa Davis, l’Italia ha diversi tabù da sfatare nella finale con l’Australia della vecchia volpe Hewitt

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Jannik Sinner

25 anni dopo l’ultima finale, l’Italia torna nell’ultimo atto di Coppa Davis. Oggi, al Palacio de Deportes Josè Maria Martin Carpena di Malaga, il team azzurro trova l’Australia, che ripete l’approdo già effettuato nel 2022 senza particolare fortuna, dal momento che fu il Canada a mettere insieme il 2-0 decisivo. A tal proposito, va rimarcato che, da quando è stata effettuata la riforma della competizione, cioè nel 2019, l’ultimo atto si è sempre concluso sul 2-0, senza arrivare al doppio decisivo.

Per la selezione azzurra si tratta di rispolverare i fasti del 1976, prima e unica occasione in cui l’Insalatiera è stata alzata al cielo per mano azzurra nella celeberrima trasferta in Cile (soprattutto per quel che si disse e che accadde prima). L’ultimo trionfo australiano, invece, risale al 2003. Sulla Rod Laver Arena, per l’occasione indoor e con il campo in erba allestito per disinnescare con successo qualsiasi arma della Spagna, tra i protagonisti c’era anche l’attuale capitano aussie, Lleyton Hewitt. Che, in quel percorso, fu anche fondamentale, dato che portò a casa tutti i singolari giocati, compresa una memorabile rimonta contro Roger Federer dopo esser stato indietro di due set in semifinale. Il punto decisivo, però, lo portò a casa Mark Philippoussis contro Juan Carlos Ferrero nell’ultimo atto.

Il destino è per certa misura particolare, perché nel 2003, se l’Australia si trovava tanto in alto, l’Italia era scesa nel punto più basso della propria storia con la retrocessione nel 2° gruppo della Zona Euro-Africana, il corrispettivo tennistico della Serie C. Aveva perso in Zimbabwe, e di quella sventurata spedizione faceva parte anche Filippo Volandri, al tempo da due anni nel giro Davis e che l’anno successivo diede il suo buon contributo alla risalita immediata. La situazione, oramai, è notevolmente cambiata.

Coppa Davis, tutte le finali dell’Italia. Ultimo precedente nel 1998

Lo è anche perché adesso gli azzurri si trovano con un team di primo livello, con Jannik Sinner in una forma di spessore talmente elevato da averlo portato a vincere tutte le partite giocate in questa settimana. Tallon Griekspoor, da solo e con Wesley Koolhof, e Novak Djokovic, da solo e con Miomir Kecmanovic, sono caduti sotto i suoi colpi, e nel secondo caso anche sotto un recupero quasi insensato in un terzo set di livello insano. Le alternative sono valide, anche se Matteo Arnaldi è stato beffato sul filo di lana da Botic van de Zandschulp e Lorenzo Musetti ha ceduto più che altro a livello fisico contro Kecmanovic. Resta ancora il dilemma del primo singolarista: con il toscano che non sembra poter rientrare in gioco, a questo punto la scelta è tra Lorenzo Sonego, che assieme a Sinner ha scritto momenti notevoli a Malaga, e Arnaldi.

Anche l’Australia, del resto, se l’è vista molto brutta in un momento specifico, cioè quando Jiri Lehecka ha servito per il match e la semifinale contro Alex de Minaur nel quarto in cui la Repubblica Ceca stava per decantare tutta un’altra storia. Proprio il classe ’99 di Sydney è l’uomo che, nei fatti, ha vestito il ruolo del trascinatore dopo che, nei gironi di settembre contro la Gran Bretagna, era stato sorpreso da Daniel Evans. Poi non ne ha persa più una, a rimarcare il rinnovato status di estremamente vicino alla top ten (è numero 12 ATP). Dietro a de Minaur, che ha il problema di soffrire tantissimo il gioco di Sinner, c’è il dilemma della seconda scelta per il singolare d’apertura: Jordan Thompson non ha convinto, Alexei Popyrin per un set ha rischiato con Otto Virtanen nella semifinale con la Finlandia e rimane da capire se verrà “rischiato” Max Purcell anche in singolare, dato che finora è stato tenuto caldo per il forte doppio (vincitore di Wimbledon 2022) con Matthew Ebden.

L’Italia non ha mai battuto l’Australia in finale di Davis. Non ci riuscì nel 1960 e 1961, quando c’era il Challenge Round e le trasferte australiane rivelavano agli occhi del pubblico tricolore quanto fosse elevata la forza di gente come Rod Laver, Roy Emerson e Neale Fraser, con i primi due protagonisti sia prima che durante l’Era Open. Non ci riuscì neppure nel 1977, quando le distanze si erano decisamente ridotte, ma alla fine fu decisivo il quarto singolare di John Alexander contro Adriano Panatta, risoltosi in cinque duri set. Il Challenge Round non c’era più, ma c’erano ancora le zone Interzonali. Quelle che erano già sparite trent’anni fa, in quel 1993 di Firenze nel quale l’Australia andò a vincere i quarti di finale contro gli azzurri al quinto incontro, con Richard Fromberg che sconfisse Stefano Pescosolido in tre set. Da allora le due selezioni non si sono più affrontate. E, nel frattempo, i percorsi sono stati differenti, come già detto: da una parte due vittorie (1999 e 2003), dall’altra una discesa che è poi stata risalita nel 2011. Anche gli aussie si sono trovati fuori dal World Group tra il 2008 e il 2013, salvo poi tornare tra le potenze di Davis.

Nondimeno, rimane un po’ complicato capire quale sarà, come si diceva, il secondo singolare. Sono pochi i precedenti singoli tra italiani e australiani, ma l’unico davvero positivo è quello di Sonego con Purcell (1-0): per il resto situazioni inedite, di parità o negative. E poter dare a Sinner una situazione di vantaggio, dopo che per due volte se n’è caricata sulle spalle una di vantaggio, certo non dispiacerebbe soprattutto al numero 4 del mondo.

Foto: LaPresse

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