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Golf, Masters Augusta 2023: il percorso e le 18 buche. Novità con l’allungamento della 13

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Tiger Woods Augusta

Augusta National Golf Club: un nome, un brivido. Mai il Masters si è disputato lontano da qui, e tale resterà la situazione fino a quando l’umanità esisterà assieme al golf. Andiamo a scoprire le 18 buche di questo leggendario percorso, che Tiger Woods ha fatto suo per cinque volte, più di chiunque altro tranne Jack Nicklaus dal 1934 a oggi.

Buca 1 (Tea Olive, par 4, 407 metri): prende il nome dall’arbusto sempreverde originario della Cina e del Giappone. Attenzione all’approccio: lo si sbaglia e si è costretti ai due putt, con tutte le possibili conseguenze del caso.

Buca 2 (Pink Dogwood, par 5, 526 metri): il nome deriva da una particolare specie di corniolo, che si origina in Nord America e in Messico. Dal bunker singolo delle origini si è passati, dal dopoguerra, ad averne due. Questo è il primo vero momento da birdie dell’intero percorso.

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Buca 3 (Flowering Peach, par 4, 320 metri): è quella della variante floreale del pesco. Si tratta di una buca nella quale il green, che va da destra verso sinistra, è a volte difficile da vedere. Più facile individuare (ed evitare) i bunker, qui dove la dedica è a un albero ritenuto simbolo d’immortalità.

Buca 4 (Flowering Crabapple, par 3, 219 metri): nella sostanza è il melo selvatico fiorito, originario dell’Estremo Oriente, che offre il nome a questa buca. Qui il green ha cambiato forma numerose volte: un tempo era molto più simile a un boomerang. Basta un ferro per arrivare, ma c’è chi come Jason Dufner la ritiene la buca più difficile del percorso.

Buca 5 (Magnolia, par 5, 453 metri): il fiore in questione è tra i più antichi che si conoscano. Restare a destra con il secondo colpo (a sinistra ci sono i bunker) è la chiave per uscire positivamente da qui, dove a livello storico i birdie sono comunque un’abitudine.

Buca 6 (Juniper, par 3, 165 metri): il nome è quello del ginepro comune, diffuso in tutto il mondo nelle sue 50 e più specie. Il problema di questo par 3 è il tee shot, perché si può arrivare dalla parte sbagliata del green o, peggio, in bunker (che, attenzione, non è fatto di sabbia qui, ma di un materiale particolarissimo).

Buca 7 (Pampas, par 4, 411 metri): questo nome della buca porta in Argentina, con la celebre erba nota anche come Cortaderia selloana. Par 4 dritto, con cinque bunker intorno al green a rendere abbastanza elevate le difficoltà. Il tee shot è stato cambiato nel 2002: Horton Smith suggerì il rifacimento totale di questa parte dell’Augusta National.

Buca 8 (Yellow Jasmine, par 5, 521 metri): in questo caso il nome viene da un tipo di gelsomino particolare, diffuso in tutta l’America centrale e parte degli States  (Texas, Virginia). Superare il bunker a destra che si trova all’inizio del fairway è il compito più importante. Il green è stato definito in tutti i modi possibili, nessuno dei quali positivo in virtù dell’enorme pendenza proprio a metà.

Buca 9 (Carolina Cherry, par 4, 421 metri): la scelta del nome ricade su un sempreverde diffuso su tutta l’area sudest degli Stati Uniti. Se gli avvallamenti sui green sono un po’ un’abitudine dell’Augusta National, qui tutto diventa più ampio e va a riguardare l’intero percorso. Zach Johnson definì il tee shot “scoraggiante”.

Buca 10 (Camellia, par 4, 453 metri): la pianta è originaria dell’Asia ed il nome del genere è da attribuire direttamente a Linneo. A sinistra gli alberi, a destra il lungo secondo colpo: il destino è questo. Buca 1 fino al 1935, è la più difficile dell’intero percorso. Complessivamente non c’è mai stato un anno nel quale la media sia andata sotto par.

Buca 11 (White Dogwood, par 4, 462 metri): il nome viene dalla Cornus florida, di grande diffusione nella parte est degli Stati Uniti. Da qui parte quell’Amen Corner che spesso e volentieri è stato decisivo: famosissimo il chip in di Larry Maze nel 1987, utile a portarlo a battere Greg Norman.

Buca 12 (Golden Bell, par 3, 142 metri): il genere di angiosperme delle quali la buca porta il nome si origina in piena Asia. Da queste parti si può decidere l’intero torneo: l’acqua della Rae’s Creek ha mietuto vittime varie, tra cui Francesco Molinari nel 2019 a vantaggio di Tiger Woods. Si tratta della più corta buca di tutto il percorso, che però ha una fama quasi incomparabile nel mondo del golf.

Buca 13 (Azalea, par 5, 498 metri): il nome suggerisce da solo la presenza di una pianta diffusa in non meno di tre continenti. Tra il 2022 e il 2023 questa buca è stata modificata: è stato in particolare arretrato il tee shot, ed in breve si tratta di avere una cinquantina di metri in più.

Buca 14 (Chinese Fir, par 4, 402 metri): sebbene sia da tradurre come “abete cinese”, la pianta non è un abete vero e proprio. Nessun bunker, ma tante ondulazioni sul green. Ed è questa la grande difficoltà: c’è chi la ritiene molto simile alla 14 di St. Andrews. Non è un caso, del resto, che l’ispirazione di Alister MacKenzie al tempo fu proprio quella.

Buca 15 (Firethorn, par 5, 485 metri): tradotto, è l’agazzino, molto diffuso in zona eurasiatica. Molto di rado la media dei colpi qui impiegati è stata superiore a 5 all’interno del field: in sostanza, cercare birdie qui è una buona strategia. La palla dev’essere fatta volta oltre il lago per ottenere questa possibilità.

Buca 16 (Redbud, par 3, 155 metri): l’origine del nome viene da un piccolo arbusto la cui diffusione parte dall’Ontario (Canada). Come dice il capitano europeo di Ryder Cup Luke Donald: “Non si può andare lunghi sul bunker posto dietro a destra. E’ un bogey quasi automatico“. Proprio qui, nei giri di pratica, molti si divertono a far rimbalzare la palla sull’acqua. Qualcuno fa buca in uno (leggere alle voci Jon Rahm e Vijay Singh).

Buca 17 (Nandina, par 4, 402 metri): in questo caso il nome è quello di un noto bambù che è nativo della parte est dell’Asia. Particolare è la storia che gira attorno a quello che era l’albero intitolato a Eisenhower. Fu colpito così tante volte che ne venne proposto, già negli Anni ’50, l’abbattimento. Alla fine fu necessaria “solo” una tempesta di neve nel 2014. Due bunker intorno al green rendono piuttosto complesso l’avvicinamento, specialmente quello dietro (quello davanti, secondo alcuni, è favorevole).

Buca 18 (Holly, par 4, 425 metri): il nome viene da una particolare variante di queste celebri piante ornamentali. Sono tante le edizioni che si sono decise qui, con le esultanze, le disperazioni e tutte le altre situazioni del caso. Un bunker davanti a sinistra e uno a destra accolgono i golfisti verso il green, e non è poi così infrequente vedere dei bogey.

Foto: LaPresse