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Gianmarco Tamberi: “Tradito da mio papà, mi ha costretto a lasciare il basket. Rapporto conflittuale, ora sintonia con Ciotti”

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Gianmarco Tamberi

Gianmarco Tamberi non ha disputato gare al coperto negli ultimi due mesi e la sua ultima apparizione in pedana risale allo scorso settembre, quando conquistò la Diamond League a Zurigo. Il Campione Olimpico di salto in alto si sta concentrando sulla stagione all’aperto, con il mirino puntato sui Mondiali di Budapest, dove cercherà di mettersi al collo l’unica medaglia d’oro che manca al suo glorioso palmarese. Nel frattempo il fuoriclasse marchigiano ha dovuto fare i conti anche con un problema fisico e ha deciso di cambiare il tecnico, lasciando il padre Marco e affidandosi a Giulio Ciotti.

Gianmarco Tamberi ne ha parlato in un’intervista concessa al Corriere della Sera: “Con Giulio Ciotti c’è stata sintonia da subito, lo sento affine al mio salto e alle mie idee. Verrà ad Ancona nei periodi di allenamento, papà esce dal team. Non ho voluto affrettare il rientro agli Europei Indoor, anche se quando vedo gli altri gareggiare mi sale il fuoco dentro. Punto all’oro di Budapest, la stagione al chiuso quest’anno non era prevista dall’inizio“.

Il ribattezzato Gimbo ha voluto fare chiarezza riguardo al rapporto con il papà, che lo ha seguito tecnicamente negli ultimi anni: “Intanto separarsi è stata una decisione di entrambi, non solo mia. Il nostro tra padre e figlio è sempre stato un rapporto conflittuale, col tempo era diventata una relazione coach-atleta che, finché non c’erano difficoltà, funzionava in pedana. Abbiamo abbassato la testa a turno, fino a Tokyo. Dopo Tokyo sono stato io a dire proviamo ad andare avanti un altro anno, speravo fosse possibile avere un rapporto normale lontano dalle pressioni olimpiche. Ma le difficoltà non sono passate“.

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L’azzurro ha proseguito: “L’anno scorso cercavo una leggerezza che non c’era più. È mancata la serenità al campo, la situazione quotidiana era ormai compromessa, per di più si sono aggiunti i problemi fisici: per risolverli io la vedevo in un modo, mio padre in un altro. A fine stagione, saltando a Zurigo, sono scivolato provando a scavalcare 2.36. Ho avuto un problema serio al ginocchio, di cui non ho parlato con nessuno: sono stati mesi complicati, c’è stata anche l’ipotesi dell’operazione”.

Chiaro il motivo che sta alla base di questo rapporto conflittuale: “La storica incomprensione tra me e papà arriva da lontano: nasce a causa della pallacanestro, lo sport che ho sempre amato moltissimo. L’ho sempre praticato e, anche quando a 17 anni sono passato al salto in alto e ho capito che ero un talento dell’atletica, continuavo a giocare a pallacanestro in un campionato. Nel 2014, quando ho vinto gli Assoluti a Rovereto con 2.22, mio padre mi ha imposto di scegliere tra salto in alto e pallacanestro e l’ho preso come un tradimento da parte sua, perché avevo dovuto rinunciare allo sport che amavo. Ho reagito male, rifiutandolo: per un mese mi sono allenato da solo. Poi ho accettato le sue regole e sono diventato un vero professionista dell’atletica leggera“.

Foto: Lapresse