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Ciclismo, Maurizio Fondriest: “Una pazzia far allenare un atleta juniores come un Under23”

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Una chiave di lettura tra passato, presente e futuro. Il ciclismo italiano sta vivendo un periodo particolare legato alle difficoltà gestionali e sportive che impediscono ai giovani di emergere come accadeva in passato. Tra i volti noti e vincenti del movimento del pedale c’è sicuramente Maurizio Fondriest.

Classe 1965, il trentino fu capace di laurearsi campione del mondo al secondo anno da professionista nel 1988 e di vincere la Milano-Sanremo nel 1993 con altri piazzamenti di grande rilievo nelle corse di un giorno. Adesso Fondriest è alle prese con la crescita dei corridori più giovani e quindi può offrire una panoramica assai completa sul sistema. Nel corso dell’ultima puntata di Bike2u, su Sport2u in collaborazione con OA Sport, condotta da Gian Luca Giardini, si è voluto porre l’accento proprio su questo.

Fondriest, in questo discorso, è stato una sorta di pioniere avendo corso all’estero in un periodo nel quale invece le squadre italiane andavano per la maggiore: “Io sono diventato professionista tra le fila dell’Ecoflam-BFB-Alfa Lum, la squadra diretta da Primo Franchini. Al mio fianco avevo Amadori, Maini, Caroli, Rossi ecc, personaggi con i quali sono molto legato. Nella stagioni seguenti ho corso per la Del Tongo e poi nel ’91 passai alla Panasonic. Quest’ultima era la squadra più forte per le Classiche di quell’epoca, paragonabile alla Ineos o alla Quick Step attuali. Decise di andare in Olanda per fare esperienza all’estero, io ero l’unico corridore italiano a correre all’estero. Mi portai il mio compagno, Marco Zen, e contro il parere dei media dell’epoca. Tutti mi aspettavano al varco, ma in quella stagione vinsi la prima Coppa del Mondo, mentre la seconda fu nel ’93. Arrivai secondo all’Amstel Gold Race del 1991: una volata a tre e vinse Frans Maassen davanti a me e a Dirk De Wolf. Quest’ultimo mi portò due volte a sinistra e a destra della strada e non lo squalificarono. Io sono secondo nel palmares, ma sarei stato primo in una gara attuale. Rimasi fino al ’92 e rientrai in Italia alla Lampre perché la Panasonic smise l’attività e vinsi la Milano-Sanremo nel 1993. Questo è uno dei giorni più belli perché quel giorno nacque la mia prima figlia Maria Vittoria. Già nel 1988 ero arrivato secondo alla Sanremo, quinto nel ’90, primo appunto nel ’93 e poi nel ’95, attaccando sempre sul Poggio, fui secondo dietro a Laurent Jalabert“.

Una precisazione importante c’è stata sul Mondiale del 1988: “Ero al secondo anno di professionista, reduce già dalla partecipazione al Mondiale del 1987 e in quell’anno vinsi la prima corsa da pro al Giro della Catalogna, battendo Sean Kelly in volata. Nel finale di stagione andai a fare la Parigi-Tour e all’epoca avevano cambiato il percorso, un po’ più duro rispetto a quella attuale. Sugli strappi finali andammo via in sei e io arrivai terzo dietro ad Adrie van der Poel, papà di Mathieu, e a Teun van Vliet. Persi la volata forse anche un po’ per inesperienza. Nel 1988 ci arrivai forte di una vittoria in una tappa della Tirreno-Adriatico e secondo nella Milano-Sanremo, vinsi la tappa al Giro di Svizzera e fui terzo al campionato italiano. Andavo al Mondiale, quindi, non come outsider, ma in qualità di co-capitano con tanti altri. C’era Gianni Bugno che stava andando molto forte perché aveva vinto l’ultima prova pre-Mondiale a Verona e avevamo Bontempi, Saronni, anche se non era più nelle stesse condizioni degli anni precedenti, Argentin, Gavazzi ecc. Avevamo una grandissima squadra e Martini, comunque, mi aveva lasciato libero di agire. Per quell’anno devo ringraziare Primo Franchini perché su di me c’era un grandissima pressione mediatica e non era semplice correre in Italia. Mi portò a gareggiare il Giro del Belgio per togliermi un po’ di pressione e conoscere anche le strade del Mondiale. Facemmo anche una tappa sul percorso iridato e lì andai fortissimo senza però vincere una tappa. Il campionato del mondo era adatto alle mie caratteristiche: un percorso duro, ma non troppo. La corsa si era messa bene e vinsi. Nel ’91 andai più forte, andando via a un giro e mezzo dalla fine, chi era con me collaborava poco e mi ripresero proprio nel finale“.

Oggi abbiamo tanti atleti giovani che si impongono nel massimo circuito internazionale e vincono le grandi corse a tappe, ma questo accadeva anche un po’ ai tempi di Fondriest: “Saronni ha vinto un Giro d’Italia che aveva 22 anni, Eddy Merckx ha fatto la stessa cosa, Felice Gimondi ha vinto il Tour giovanissimo. I corridori che hanno vinto da giovani ci sono sempre stati, certo alcuni di questi hanno finito la loro carriera precocemente. Saronni, per esempio, a 30 anni non era più corridore che vinceva a 20/25. Merckx ha finito a 33 anni, ma già negli ultimi due faceva fatica. Certo, ha fatto 10 stagioni straordinarie. L’errore che si sta facendo con i ragazzini è quello, però, di voler anticipare troppo i tempi. Vedendo che c’è Evenepoel, allora è necessario subito andare fortissimo, saltando le categorie. Questo è un errore grandissimo perché i tempi di maturazione sono diversi e ci sono alcuni ragazzi che ci impiegano un po’ di più. Io stesso ho vinto a 23 anni, ma nei miei inizi ci avevo messo un po’ a ingranare. Non è una regola, è chiaro: il motore ci deve essere, ma per l’appunto la maturazione non è uguale per tutti. Ora come ora mi trovo a gestire degli atleti. Ad esempio ho due fratelli, Marco ed Elia Andreaus. Marco passerà al secondo anno Under, mentre il fratello salirà alla categoria juniores. Ho anche Mattia Steni e passerà juniores. Loro hanno fatto 8200 km nel corso dell’anno e per questa categoria siamo in linea. Ci sono dei corridori che, invece, hanno coperto 15000 km e hanno vinto molto. Tuttavia, ritengo sia un errore madornale perché si carica eccessivamente i giovanissimi e si rischia poi di spremerli più del dovuto. Per esempio, io gestisco anche Thomas Capra che quest’anno ha vinto la Gent-Wevelgem juniores, corridore di altissimo livello. Lui è due mesi che la bicicletta non l’ha più vista, anche perché ha anche altre cose da fare, ma ha tutto il tempo per potersi allenare. Non va bene che uno juniores si alleni a dicembre come un Under23. E’ la cosa più sbagliata perché tanti di quelli che caricano così, dopo due o tre anni, sono stati bruciati sia fisicamente che mentalmente. Allenatori e genitori dovrebbero avere più buonsenso“.

Fondriest ha anche fatto un’analisi sui regolamenti attuali che impongono delle limitazioni importanti nelle corse regionali legate all’età in Italia: “Dire che un secondo o terzo anno non possa fare più le corse regionali, significa far smettere di correre dei ciclisti che avrebbero le motivazioni per andare avanti ed è un regolamento solo italiano. E’ una pazzia“.

Un’ultima battuta sull’attualità del ciclismo italiano: “In questo momento, Filippo Ganna è il numero uno, ma non so se sia uno in grado di vincere delle Classiche. Abbiamo, comunque, una serie di ragazzi giovani interessanti. Preferisco non fare nomi, ma il motore a mio avviso c’è“.

Di seguito la video intervista a Maurizio Fondriest:

VIDEO INTERVISTA A MAURIZIO FONDRIEST

Foto: LaPresse