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MotoGP, si torna a Sepang il 23 ottobre. Dopo 11 anni Marco Simoncelli vive ancora nel cuore di ognuno di noi

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Domani, per la prima volta da quel ferale 2011, il Gran Premio di Malesia di MotoGP tornerà a corrersi domenica 23 ottobre. Avrebbe potuto capitare già nel 2016, ma in quel caso ci si presentò a Sepang una settimana dopo. Al contrario, nel 2022 si gareggerà proprio nell’undicesimo anniversario della scomparsa di Marco Simoncelli. Era il duemilaundici, sono passati undici anni e l’incidente avvenne alla curva 11. Un’altra sequela di “coincidenze”, unita al fatto che il centauro romagnolo abbia perso la vita al Sepang International Circuit, il cui acronimo è “Sic”, ovvero il suo soprannome.

C’è tanto, per non dire tutto, di anomalo in questa tragica vicenda, a cominciare dalla dinamica dell’incidente. Quando Simoncelli perde l’anteriore della sua moto, questa non va verso la via di fuga esterna come suggerito dalla fisica. No, Marco resta abbarbicato al manubrio con tutte le sue forze. Così facendo evita un’innocua scivolata, ma la sua Honda punta verso il centro della pista, tagliando la strada a Colin Edwards e Valentino Rossi, troppo vicini per poter evitare la Honda e il suo pilota. L’impatto è violentissimo, le immagini agghiaccianti. Texas Tornado e il Dottore capiscono all’istante. Avendo percepito il colpo ne comprendono immediatamente l’orrore, rientrando ai box in lacrime. Le stesse che ben presto cominciano a sgorgare dagli occhi di familiari, colleghi e tifosi del Sic.

Anomalia è la parola chiave. Però, anomalia non è forse sinonimo di unicità? Simoncelli era, infatti, unico. Non c’era nulla di standardizzato e omologato in lui, a cominciare dal suo fisico dinoccolato e dalla sua voce degna di un personaggio dei cartoni animati Warner Bros. Con quell’accetto romagnolo e quel timbro tutto particolare, quanto sarebbe stato bene Marco di fianco a Bugs Bunny o Daffy Duck? Gli bastava un attimo per farsi notare, anche perché il suo carattere lo rendeva un catalizzatore di attenzioni ed energie.

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Il suo approccio alle gare rispecchiava la sua anima. Dura e pura. Quando nel 2009 corse una tantum a Imola nel Mondiale Superbike, in sostituzione dell’infortunato Shinya Nakano, avrebbe dovuto fare da scudiero al caposquadra Max Biaggi. Invece, in gara-2, trovandosi in lotta per il podio, attaccò senza remore il romano, soffiandogli il terzo posto con un sorpasso maschio. Nel paddock, subito dopo l’arrivo, i microfoni catturarono la sua voce dire “Abbiamo fatto la caz..ta!”.

Ragazzo scapestrato e indomabile, il Sic era soprattutto vero e cristallino. Non c’era doppiezza, né falsità, nel suo modo di essere. Mostrava sé stesso senza ipocrisia e senza paraculaggine. In un mondo già contaminato dal politicamente corretto, costruito su dichiarazioni di facciata espresse in politichese, lui spiccava per sincerità e onestà. Questo piaceva e gli consentiva di essere rispettato. A Sepang, undici anni fa, il primo ad abbracciare Paolo, un padre conscio di aver perso il figlio, fu Dani Pedrosa nonostante non corresse buon sangue tra Simoncelli e l’iberico, che come tutti gli spagnoli dell’epoca spingeva per una MotoGP cloroformizzata, senza sporchi duelli all’arma bianca.

Chissà cosa sarebbe successo se non ci fosse stato quel maledetto incidente. Impossibile dirlo, entriamo nel campo delle ipotesi e della fantasia. Una certezza però ce l’abbiamo. Il Sic ci avrebbe fatti divertire. Da matti! Con lui è svanita una vagonata di emozioni mai vissute. Il suo ricordo, però, non è sparito. Anzi, il suo spirito viva ancora oggi. Questo è il più grande successo di Marco, aver saputo lasciare un segno indelebile nell’animo di una generazione, che non solo ha saputo appassionarsi alle sue gesta, ma gli ha voluto bene e gliene vuole tuttora.

Foto: MotoGPpress.com