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Atletica, Mondiali Under 20. Il bilancio: l’Italia ha cambiato passo, il futuro è roseo ma si deve ancora crescere

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L’Italia pian piano sta riprendendo quota nel mondo sempre più variopinto dell’atletica mondiale. Lo sta facendo a livello assoluto ormai da tre stagioni a questa parte (senza contare il 2020 post Covid e facendo la giusta tara al meraviglioso picco di Tokyo) e anche a livello giovanile difficilmente gli azzurri si fanno trovare impreparati alle grandi manifestazioni internazionali.

I 38 punti conquistati nella classifica che si basa sui piazzamenti dalla squadra azzurra sono un segnale chiaro che il movimento è in continua crescita e che non ha nessuna intenzione di fermarsi. Ai Mondiali di Cali è mancato forse qualche picco, che invece nel consesso europeo rende grande protagonista la Nazionale azzurra giovanile di turno, ma qualcosa si è visto e soprattutto le motivazioni plausibili non mancano.

Per tanti atleti quello in Colombia è un evento non centrale in una stagione che aveva gli Europei giovanili di Gerusalemme come momento clou e il fatto che tanti atleti abbiano disputato sia gli Europei under 18, sia i Mondiali Under 20 la dice lunga su quanto alcuni italiani, anche di punta, abbiano pagato dazio nei confronti di avversari più grandi e meglio strutturati fisicamente. Non deve questa diventare una scusa perché tanti ottimi risultati sono stati ottenuti da atleti non al limite con l’età che arrivavano da ogni angolo del mondo a dimostrazione che non bisogna per forza essere grandi e grossi per vincere ma in alcune situazioni aiuta e non poco.

Rachele Mori e Marta Amani sono la punta dell’iceberg di un movimento che ogni anno sforna atleti interessanti e che da qualche stagione a questa parte ha ripreso a rifornire la Nazionale maggiore con frequenza inarrestabile. Le loro medaglie sono luccicanti anche perché condite da prestazioni di livello assoluto e non ci sarebbe da stupirsi se queste due ragazze già il prossimo anno ottenessero risultati di altissimo spessore a livello senior.

Il movimento è in salute, lo confermano i tanti miglioramenti che ci sono stati in uno degli appuntamenti clou della stagione e chi non è riuscito a migliorarsi spesso aveva già fatto cose strabilianti in precedenza, come uno degli atleti più attesi partiti per Cali, quel Mattia Furlani che in tanti avrebbero voluto vedere sul podio di lungo o alto oppure di entrambi come era accaduto a Gerusalemme, ma la condizione un po’ in calo,nn ed un contesto diverso da quello europeo non hanno permesso al promettente atleta azzurro di ottenere l’exploit con tanto di medaglia a questi livelli. Non è ancora il momento ma il momento arriverà perché, anche non al meglio, Furlani ha mostrato, oltre che talento e doti tecniche, carattere e determinazione e quando si parte da quelli si è già a buon punto.

In un panorama tutto sommato roseo, c’è anche qualche neo che è giusto evidenziare. L’Italia continua ad essere assente o quasi dalle scene del mezzofondo. Ci si ferma agli 800 o al massimo ai 1500, dove difficilmente i ragazzi italiani riescono ad essere protagonisti. La storiella che il mezzofondo non attira perché ad alto livello vincono solo gli africani non regge più, perché basta andare a guardare la lista di arrivo dei 1500 maschili di Eugene per cozzare contro il dato di fatto che nel mezzofondo si può andare forte anche se non si è nati negli altipiani. Stessa cosa per il settore lanci, dove solo dal martello femminile sono arrivate (come ai Mondiali di Eugene del resto) quelle soddisfazioni che invece mancano in altre discipline di questa fascia di gare.

Serve forse un cambio di passo a livello di reclutamento (questo è il momento giusto visto che i trionfi degli azzurri hanno avvicinato tanti giovani ai campi) e di primo approccio al mondo dell’atletica che spetta a società e ad un apparato tecnico che sta mettendo in atto quella trasformazione per trascinare il movimento azzurro verso l’avanguardia, un incrocio di scienza e buonsenso, di sacrificio e di qualità che si intravede nel lavoro su alcuni dei ragazzi che erano in pista ed in pedana a Cali. L’atletica azzurra ha cambiato passo e non si vuole e non si deve fermare.

Foto: Mateo/FIDAL