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British Open 2022: le 18 buche di St. Andrews, la leggenda per l’edizione numero 150

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Lunga e intrigante è la storia dell’Open Championship. Dalle nostre parti noto come British Open, è arrivata l’edizione numero 150 per quello che, date le variazioni di calendario, è diventato l’ultimo Major della stagione. Di aneddoti ne esistono a profusione per ogni buca, e volendo addirittura per ogni bunker: ce ne sono 112, senza contare ogni singolo altro aspetto.

C’è la buca 1 (Burn) con il primo, grande luogo simbolico, lo Swilcan Burn, un piccolo corso d’acqua che passa davanti al green e che collega St. Andrews alla St. Andrews Bay. E poi c’è la 2 (Dyke), nella quale è sempre meglio trovarsi a destra del famoso Cheape’s Bunker, che si trova sostanzialmente a metà tra tee shot e green.

Ed è proprio la storia dei bunker a contrassegnare una larga parte del percorso: alla buca 3 (Cartgate) il nome dell’elemento che protegge il green è lo stesso, alla 4 (Ginger Beer) è diverso, Students’ Bunker (ma in questo caso sono tre, e sono popolari perché qui gli studenti usavano provare a sedurre le ragazze).

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Notoriamente, su questo percorso sono diverse le situazioni in cui le buche hanno qualcosa di comune. Capita perciò di trovare nomi come Hole O’Cross (Out), quello della 5, con la 13 che è invece In. Tale situazione si ripete per 6 e 12 (Heathery Out e In), 7 e 11 (High Out e In), 3 e 15 (Cartgate Out e In).

In molte di queste buche ci sono caratteristiche particolari, che possono essere singole oppure di gruppo: per esempio, tutta la sequenza che va dalla 7 alla 12 è nota come The Loop. Sono tutte poste nella parte più lontana dell’Old Course. Di queste, la 10 è intitolata a Bobby Jones, per via della relazione speciale con l’Open. Sono passati quasi cent’anni, ma l’aura resta. Parliamo, del resto, di uno dei tre ad aver ricevuto la cittadinanza onoraria (gli altri sono Benjamin Franklin e, proprio di recente, Jack Nicklaus).

Famosissimo è anche il bunker della 14, appunto Hell’s Bunker, quello dell’inferno. Copre un’area di 250 metri quadrati, ed è profondo da 2.1 a 3 metri. Il nome fa capire quanto sia difficile uscirne fuori. Sul Pulpit Bunker, posto proprio sopra, ha scherzato a suo tempo Golf Monthly: “Lo chiamano così perché si può guardare giù verso l’Inferno”. Dove l’Inferno, naturalmente, è qualcosa di appena citato.

Si arriva poi verso la conclusione. Della buca 16 Jack Nicklaus bollò l’opzione di andare verso destra come “solo per dilettanti”. In questo caso è un gruppo di 4 bunker a essere definito Principal’s Nose, che si dice sia chiamato così per via di una preside del 19° secolo del St. Mary’s College che aveva un naso particolarmente pronunciato. Alla 17 c’è il Road Hole Bunker, noto anche come Sands of Nakajima, un vero e proprio buco davanti al green, dove passa veramente il nulla tra il finirci dentro e il restarne fuori. L’Old Station Road, di fianco a destra, significa una sola cosa: essere fuori dal percorso. La Valley of Sin della 18 è l’ultimo reale ostacolo, ma è complicato: parliamo di una depressione di 2.4 metri davanti al green. Ed è proprio sulla 18 che c’è l’iconico Swilcan Bridge, costruito ben 700 anni fa. Un luogo, questo, che è probabilmente il più conosciuto al mondo nel golf.

Foto: makasana photo / Shutterstock.com