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Ciclismo, Paolo Bettini: “Il Mondiale è per pochi. Ciccone e Fortunato? Non li vedo vincitori di un grande giro”

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Paolo Bettini non ha certo bisogno di presentazioni. Nel mondo delle due ruote pochi hanno saputo vincere quanto lui nella corse in linea. Dall’Olimpiade di Atene 2004, al doppio Mondiale (2006 e 2007) fino alle due Liegi-Bastongne-Liegi ed ai due Giri di Lombardia, una Milano-Sanremo ed altri titoli. Bettini, 47enne toscano di Cecina, di corse iridata ne ha disputate quattro anche da C.t azzurro, ma senza centrare medaglie. 

Paolo, c’è stato un momento in particolare in cui hai capito che ce la stavi facendo? 

“La chiave di svolta è stata la prima Liegi vinta. E’ stata la corsa che mi ha dato la giusta consapevolezza per poter puntare a qualcosa di più grande.” 

Quando hai capito invece che era arrivato il momento di appendere la bici al chiodo?

“In dieci minuti, alla vigilia del Mondiale di Varese nel 2008. Mi ero promesso di continuare ad allenarmi e correre fino quando non mi sarebbe pesato. Quel giorno invece ho iniziato a sentire il peso di quello che stavo facendo, ero stufo dell’ambiente.” 

Quest’anno il tuo nome è entrato nella Walk of Fame dello sport italiano e resterà per sempre scolpito nella camminata che avvolge lo Stadio dei Marmi al Foro Italico. Cos’hai provato in quel momento?

“Emozione. E’ stata una gran bella giornata. Oltre al mio nome c’era quello di Paolo Rossi. E’ stato un momento importantissimo della mia vita. Lì esci dalla dimensione del risultato sportivo in sé per parlare di essenza dello sport.” 

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Nonostante i tuoi grandi successi però sembra che lo sport italiano non ti coinvolga così tanto. Come mai?

“Molto probabilmente perché non ha bisogno di Bettini. Da quando ho smesso di correre ho avuto la fortuna di vivere il mondo del ciclismo in diverse versioni: ct della Nazionale, Presidente della commissione tecnica, ho commentato in Rai, ho aiutato RCS per alcune tappe della Tirreno-Adriatico, insomma non mi sono annoiato e ho avuto l’opportunità di conoscere il ciclismo sotto diversi punti di vista e ho capito quanto questo sia complesso.”

Da ct non hai raccolto quanto da corridore: rimpianti?

“Assolutamente no. Non ho rimpianti se non accettare quello che la strada in quel momento ci ha dato indietro. Non sono deluso del percorso che ho fatto.” 

Cosa ti ha lasciato il ciclismo?

“Il ciclismo è indubbiamente la mia vita. E’ sempre il perno centrale della mia vita. Pedalo ancora ma per divertimento. Il mio ciclismo adesso guarda molto al cicloturismo, con la possibilità di scoprire parti della mia Toscana che non ero mai riuscito ad apprezzare prima quando ero corridore per mancanza di tempo e concentrazione sui vari lavori da fare. Oggi ho il tempo di godermi paesaggi bellissimi e di ritrovare la giusta serenità in sella alla mia bici.” 

Possiamo dire che dal tuo ritiro l’Italia non era mai stata così competitiva nelle corse di un giorno come quest’anno?

“Ci sono stati degli anni un po’ bui, ma credo che sia un ciclo normale. Ai miei tempi però non c’ero solo io, ma anche Petacchi, Rebellin, Di Luca… Era un’Italia forte sotto tanti aspetti. Io poi sono riuscito a dare più continuità alle mie vittorie. Quest’anno è stato incredibile, la Roubaix di Sonny è stata secondo me una delle classiche più belle di sempre.” 

Cosa manca all’Italia per vincere un Mondiale in linea?

“Non manca niente. Manca solo l’elemento che lo sappia portare a casa. Come mi disse una volta Alfredo Martini: ‘Di corridori forti nella mia carriera ne ho visti tanti, ma il Mondiale è per pochi’.” 

Pensi che Ciccone e Fortunato siano corridori da classifica in un grande giro o cacciatori di tappe?

“Io li vedo come buoni corridori per fare una buona classifica, ma se fossi il loro mi concentrerei su altro. Vincitori di un grande giro non ce li vedo, ma spero di sbagliarmi.” 

Vista la tua grande esperienza come vedi i giovani italiani di oggi?

“Meno vogliosi, hanno meno fame, meno grinta. Si perdono facilmente, sono cresciuti in un contesto diverso ma non dico che questo sia sbagliato. I giovani di oggi vivono quasi senza obiettivi, vivono semplicemente. Vedo anche la gestione dei procuratori con questi ragazzi, che si comportano da ‘badanti’ più che da procuratori. C’è sempre il bisogno di avere qualcuno a fianco per dare certezze a questi ragazzi, ma credo che crescere da soli, imparando dai propri errori e prendendo alcune porte in faccia sia fondamentale per la crescita. Quando hai tutto comodo è normale che al primo momento di difficoltà crolli psicologicamente.” 

Il ciclismo italiano è in difficoltà economica. Nessuna formazione World Tour, alcune Professional spariscono (tipo la Vini Zabù): come uscirne?

“Sappiamo che per tirare su un movimento serve un grande stimolo dall’alto. L’ha fatto Tomba nello sci, la Pellegrini nel nuoto e lo sta facendo Jacobs nell’atletica. Non è vero che l’Italia non ha potenziale, semplicemente non ci sono abbastanza squadre per poter piazzare tutti i corridori. Il nostro sistema Under23 poi è completamente sbagliato, escluse alcune realtà, molte formazioni hanno ancora un sistema di lavoro anni ’80-’90. Le squadre Professional da noi sono fondamentali, in altri paesi lo sono le Continental. Inoltre da noi corse come la Firenze-Empoli viene percepita come un Campionato del Mondo, all’estero invece i ragazzi di quell’età fanno già esperienze con i professionisti in grandi corse.” 

Alaphilippe è il Paolo Bettini dell’epoca?

“A me piace molto Julian. L’ho conosciuto, ci ho parlato alla vigilia del Giro di Lombardia e gli ho fatto i complimenti per la classe ed il carisma che ha. Non ha uno schema di gara piatto, improvvisa e fa divertire il pubblico. Alcune volte va bene, altre meno ma entra nel cuore del pubblico.” 

Daniele Bennati nuovo ct della Nazionale. Che Italia sarà secondo te?

“Daniele è un ragazzo molto educato e pacato, ha una bella faccia. Ci siamo parlati, non è un ruolo semplice soprattutto per le relazioni che devi tenere. Quando ero io commissario tecnico mi è capitato di dover lasciare a casa Bennati e tra di noi sono sorte alcune incomprensioni che ho capito benissimo. Ecco questo è secondo me uno degli aspetti più complicati di questo mestiere, perché devi ragionare senza farti influenzare dal tipo di rapporto che si ha con il corridore. Credo in Bennati, è un bel diplomatico e questo lo può aiutare.”