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Calcio, un anno senza Diego Armando Maradona: il doveroso tributo al campione argentino

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Sono trascorsi già 12 mesi, ma sembra ieri quando El Pibe de Oro ha lasciato questa terra. Un anno fa Diego Armando Maradona aveva messo a segno il suo ultimo gol, l’ultimo colpo a sorpresa di chi ha dato del tu a pallone e ha fatto calare il sipario improvvisamente, lasciando attoniti noi tutti.

Ancora oggi ci si sente un po’ come quei difensori o portieri costretti a vedere il punteggio sbloccato da una magia e un gioco di prestigio di quel n.10 immarcabile. Quante volte l’impossibile reso possibile e quante “genialate” su quel rettangolo verde col magico sinistro. Le nuove generazioni non hanno potuto godere delle 491 partite in carriera, condite da 259 realizzazioni.

Lui, Diego, ha trasformato il proprio sogno in una sfera. Imprese mirabolanti che hanno permesso al Napoli di conquistare vette che nessuno mai avrebbe potuto pensare, ricordando i due Scudetti, una Coppa Uefa e le 81 reti realizzate con la maglia dei partenopei. La citta campana ha onorato il suo idolo, con lo stadio dedicato alla propria memoria, perché in quella realtà l’argentino è stato decisamente di un più di un calciatore bravo con la palla tra i piedi.

Un genio inimitabile. Egli parlava coi piedi e componeva poesie. Chiudere gli occhi e riavvolgere il nastro porta alla sua più grande magia, quella dei quarti di finale dei Mondiali del 1986 in Messico, quando l’Argentina di Diego si impose contro gli inglesi. Allo Stadio Azteca di Città del Messico, a nove minuti dall’inizio del secondo tempo, Héctor Enrique gli passò la palla circa dieci metri all’interno della propria metà campo. Iniziò poi la sua corsa per la vittoria di 60 metri in 10 secondi diritto verso la porta, seminando cinque giocatori avversari (Hoddle, Reid, Sansom, Butcher e Fenwick) e alla fine dribblando anche il portiere Shilton, prima di depositare in rete il pallone del 2-0. In quella stessa partita il gol di mano, di pura furbizia, chiudeva il cerchio su questo personaggio molto particolare.

Un campione di eccessi dentro e fuori dal campo. La sua dipendenza dalla droga e le difficoltà nel trovare un proprio equilibrio hanno fatto da contraltare al suo essere leader tecnico e carismatico. Un Dio del calcio e un fenomeno sportivo e culturale di grandi paradossi, capace di trascinare e di dividere. Non era banale Maradona nel suo modo di essere e di giocare. Come dimenticare i palleggi con le arance nello spogliatoio prima di un match importante per abbassare il livello di tensione, oppure la rabbia irrefrenabile nella Finale della Coppa del Mondo del 1990 in Italia (Germania-Argentina) per i fischi dell’Olimpico di Roma ad accompagnare l’inno argentino, per quanto accaduto in semifinale a Napoli contro l’Italia.

Selezione albiceleste che quattro anni prima si laureava campione del mondo, con Diego primattore indiscusso, nonostante una menomazione fisica alla gamba derivante dal fallo del difensore basco Andoni Goikoetxea, quando l’asso sudamericano vestiva i colori del Barcellona. Neanche quell’intervento fuori da ogni logica seppe impedirgli di lasciare un segno indelebile nella storia del calcio.

Youtube viene in soccorso per mettere a fuoco alcune delle sue giocate, ma le emozioni, quelle più profonde, sono diverse e rappresentabili più da una prima pagina di un giornale racchiusa in un quadro o dalla foto di un proprio caro, tifoso del Napoli di Diego.

Foto: Olycom LaPresse