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Basket: Nico Mannion, numeri importanti in G League in attesa di tornare in NBA

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Lo si sapeva fin dall’inizio, per effetto della sua situazione contrattuale: Nico Mannion avrebbe giocato in G League con la franchigia affiliata dei Golden State Warriors. Il nome, in un certo senso, è lo stesso, perché si tratta sempre di Warriors, ma in questo caso Santa Cruz.

Anche la lega di sviluppo della NBA ha deciso di giocare in una bolla la sua stagione: la sede è quella ormai passata alla storia per la lega maggiore, Orlando, dove si sono riunite 17 delle 28 franchigie esistenti, con le altre 11 che hanno deciso di non disputare la stagione. O meglio, ciò che c’è della stagione, forzatamente ridotta e che avrà un playoff brevissimo: via l’8 marzo con i quarti di finale, poi semifinali e, l’11 marzo, la finale.

I Santa Cruz Warriors sono al momento a quota 7 vittorie e 3 sconfitte, quarti dietro gli Erie BayHawks (affiliata dei New Orleans Hornets), gli Oklahoma City Blue (intuibilmente, via Thunder) e i Delaware Blue Coats (Philadelphia 76ers). Hanno inoltre lo stesso record degli Austin Spurs (affiliati a San Antonio), trovandosi così al quarto posto.

Nelle nove partite finora giocate, Mannion ha dato semplicemente prova del fatto che può tranquillamente stare al piano di sopra senza dover più passare dalla G League. La media è di 19.3 punti a gara, con picchi costanti sopra i 20 e un’unica partita sbagliata, coi si aggiungono 6.9 assist. Due le doppie doppie, da 20 e 10 con i Canton Charge e da 12 e 12 con i Fort Wayne Mad Ants.

La miglior prestazione assoluta è anche l’ultima in ordine di tempo: 27 punti, nel pomeriggio italiano di ieri, contro gli Austin Spurs, con l’ennesimo minutaggio ben superiore ai 30 minuti. Al di là dei punteggi, è palese il fatto che il figlio di Pace, nato a Siena e con la Nazionale italiana stampata dal 2018 nel presente e futuro, abbia in mano le chiavi quantomeno di questa particolare squadra, in un basket che non per forza è identico a quello della NBA, anzi.

L’esperienza della G League ha anche un altro scopo, per il diciannovenne uscito da Arizona: riprendere fiducia. Perché l’ultimo anno, tra i problemi dei Wildcats che lo hanno pesantemente snaturato fino a farne calare le quotazioni, portandolo a metà secondo giro, e il Covid-19 che certo non lo ha aiutato, è stato complicato. La dimostrazione che sta dando è che parliamo di un giocatore che con il livello della lega di sviluppo, che pur essendo migliorata per qualità ha ancora il suo percorso da fare, c’entra poco. E la fiducia, in maniera anche abbastanza chiara, sta tornando. Con annessi segnali a Steve Kerr.

Curiosamente, accanto a Nico c’è un altro giocatore che di curiosità ne genera parecchia: Jeremy Lin. Sono lontani i tempi della Linsanity e dei New York Knicks: finito ai Beijing Ducks, in Cina, nell’ultima stagione, attraverso meccanismi complicati (e una regola di fatto nata dal suo caso) è riuscito a ottenere un posto ai Warriors, trovandosi ora nella necessità di doversi anch’egli riconquistare un posto in NBA. C’è chi l’ha chiamato “Coronavirus”, con senso dello humour disgustoso, direttamente in campo, e non una volta sola. Lin, classe ’88, è semplicemente un uomo che sta cercando di risalire da un diverso punto di vista.

Foto: LaPresse

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