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Martina Crippa, basket femminile: “Sto continuando la riabilitazione dopo l’infortunio. 107 presenze in Nazionale, non mi sembra neanche vero!”

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Per lei bisognerebbe creare una sorta di Ministero della Difesa a parte: negli ultimi anni, infatti, Martina Crippa si è distinta proprio per questa qualità. Spesso messa sulle tracce di parecchie pericolose giocatrici d’attacco, ha la tendenza a non mollarle nemmeno per un attimo, con risultati sotto gli occhi di chiunque veda le partite in cui è impegnata. Nello scorso novembre, durante l’incontro delle qualificazioni agli Europei che opponeva, a Cagliari, l’Italia alla Repubblica Ceca, si è procurata un gravissimo infortunio: la rottura del legamento crociato anteriore destro. A causa di ciò, la sua stagione si è conclusa in larghissimo anticipo, ben prima che il coronavirus bloccasse l’intera attività cestistica. Partendo dall’infortunio, l’azzurra che da due stagioni milita a Schio si è raccontata in quest’intervista telefonica, ripercorrendo tappe e sensazioni di una carriera ormai più che significativa.

Come procede la riabilitazione?

“Avevo finito la prima parte a marzo, ora dovevo cominciare la parte un po’ più dinamica. Poi è successo quel che è successo e si è un po’ tutto bloccato. Adesso ricomincio qualche settimana a Roma, dove avevo fatto la prima parte con il fisioterapista della Nazionale. Da giugno andrò a Pavia e verrò seguita lì, poi farò qualche salto a Schio per alcuni controlli”.

Quell’infortunio è stato un peccato immenso, anche per com’era strutturata Schio in questa stagione.

“Assolutamente. Finire la stagione così presto, con la squadra che stava facendo bene, dispiace. C’era tanto ancora da lavorare, perciò è davvero un’amarezza. L’anno scorso era stato il mio primo a Schio, un po’ di cambiamento, in questo all’inizio era stato ‘più facile’, perché conoscevo l’ambiente e cosa voleva l’allenatore e dunque ero più tranquilla. Purtroppo non ci voleva. Son cose che capitano, fa parte dello sport”.

Ed era una faccia di quelle che non s’erano mai viste su di te, per il dolore.

“Magari ho preso botte anche peggiori, però quel movimento è stato veramente il più brutto. Mi sono accorta subito, ho visto proprio il ginocchio che aveva fatto una rotazione non giusta. La speranza c’era prima di fare la risonanza, poi l’esito è stato quello peggiore”.

Tu hai sostanzialmente attraversato due generazioni, vivendo il momento della rinascita del femminile dopo il periodo buio che è andato dall’inizio del millennio fino al 2007, almeno a livello di Nazionale, anche per via del ricambio generazionale.

“Ho fatto un po’ l’intermezzo, nei primi anni, che sono stati gli ultimi di alcune grandissime giocatrici e poi c’è stato questo rinnovamento con alcune giovani. Ero un po’ a metà”.

A proposito di primi anni: il Geas è stato l’inizio, il lancio.

“Sì, il Geas è stato per me una seconda casa, nel senso che ho iniziato da quand’ero piccolina lì, quindi ho fatto tutte le tappe giovanili. Serie A2, promozione. È stata una crescita graduale e sono stata fortunata ad avere vicino a casa una società di grande spessore dove sono potuta crescere e che mi ha dato e insegnato tanto”.

Nel periodo a Taranto, nella seconda metà di stagione 2012-2013 al Cras, si intuivano in qualche modo i motivi che poi avrebbero portato alla dismissione?

“No, sinceramente no. Non me l’aspettavo. Peccato, perché anche l’ambiente del Cras era bellissimo, anche se l’ho vissuto pochi mesi, molto seguito, quindi non mi sarei aspettata una fine di quel genere”.

Con un palasport da quattromila posti che, se non era pieno, non ci andava molto lontano.

“Infatti era veramente bellissimo, sempre pieno di tifosi, quindi si creava una grande atmosfera”.

Avrebbe fatto ancora molto bene al basket femminile, perché di questi palasport e di quel genere di pubblico ne ha bisogno.

“Più tifosi ci sono e più tutto il nostro movimento cresce insieme a loro. È un po’ come il nostro palazzetto a Schio, che quando si riempie si trasforma in una carica in più per tutti”.

Poi a Lucca sono arrivati gli anni belli, perché la società è cresciuta, ci sono state le continue battaglie con Schio e poi lo scudetto.

“Sono stati degli anni bellissimi, entusiasmanti, poi la vittoria dello scudetto è stata la ciliegina sulla torta. Un’impresa che siamo riuscite a fare, e sono stati anni in cui sono cresciuta tanto sia dentro che fuori dal campo. Ho avuto la possibilità di giocare molto, di fare esperienza. Si erano create un’atmosfera e una magia tra giocatrici, tifosi, staff, società. Sono stati veramente anni che porterò sempre con me”.

Hai giustamente parlato dei tifosi: un altro bel pubblico, quello di Lucca, con almeno mille persone sempre presenti. Purtroppo da anni la parte superiore del PalaTagliate è stata dichiarata inagibile, altrimenti sarebbero ancora di più.

“Anche durante la finale, ci fosse stata la possibilità di riempire fin su in alto ci sarebbe stata ancora più gente. Però il calore dei tifosi che ci hanno sempre accompagnato e sostenuto negli anni, e anche in quell’ultimo atto, è stato grande. Il PalaTagliate era pieno, era una cosa spettacolare poter giocare lì delle partite così importanti”.

In quegli anni è anche avvenuta la transizione da giocatrice che segnava tanto a giocatrice di grandissima dedizione difensiva. Com’è nato questo passaggio?

“Per noi la parte importante era la difesa. L’apporto di quella squadra arrivava da lì. C’erano altre giocatrici che avevano più talento offensivo di me, quindi io ho cercato di portare il mio contributo alla squadra. Sapevo che potevo dare di più, di poter mettere grinta, difendere forte. Ognuna dava quello che poteva alla squadra, e in quel momento serviva quello. Ho cercato di aiutare la squadra come meglio potevo”.

Poi, dopo la stagione in cui Lucca ha ridimensionato con l’addio di tante giocatrici dello scudetto, è arrivata anche la chiamata di Schio, che ha coinciso con il fatto di affrontare l’Europa.

“Sì, è stato anche quello un passo in più. Un’esperienza che mi è piaciuto poter vivere, c’è sempre stato il desiderio. Sicuramente la possibilità di giocare in Europa fa molto piacere. Mi sono resa conto del livello perché è stato difficile soprattutto nei primi mesi giocare le prime partite in Eurolega. Un livello davvero alto, sia fisico che tecnico che tattico. È stata anche questa un’esperienza importante per me”.

Nella prima stagione poi la squadra era sostanzialmente in ricostruzione.

“Eravamo tante giocatrici nuove, che dovevano ambientarsi, conoscere l’allenatore e il metodo di lavoro. Anche per quello i primi mesi sono stati di costruzione. È stato necessario tanto lavoro per arrivare a far bene”.

Tanto lavoro e una signora giocatrice chiamata Allie Quigley.

“Mamma mia.È stato impressionante vederla giocare e allenarsi tutti i giorni. Una grande professionista, con una grandissima determinazione e dedizione. Non ho mai visto una giocatrice avere quella precisione al tiro, quella forza mentale. Starle dietro in allenamento era un’impresa (ride), è stato davvero difficile. Meno male che la domenica giocava con noi!”

Quasi a voler dire che è stata la più difficile giocatrice da marcare, e non era nemmeno un’avversaria.

“Davvero una grande professionista, ma anche una persona umile, che lavora tanto, un grande esempio per tutte noi”.

Anche perché poteva andarsene a metà stagione, e invece è rimasta.

“E anche per questo è stata una grande campionessa, in tutti i sensi”.

Invece quest’anno Sandrine Gruda ha letteralmente dominato su tutto e tutte.

“Stava facendo veramente un ottimo campionato, con grandi numeri, sia in Europa che in Italia. Ha fatto bellissime partite. Io le ho seguite dal pc, e anche in Eurolega ha fatto partite molto importanti, di alto livello”.

E l’anno prossimo ritrovi, dopo le tante avventure in Nazionale, Giorgia Sottana.

“Ci ho sempre giocato in azzurro, sono felice di ritrovarla e di poterci giocare insieme anche durante la stagione regolare. Sarà bello potersi ritrovare, giocare e combattere insieme in campo”.

Di Nazionale parlando: dal 15 luglio 2010 quanta strada!

“Esatto, sembra ieri, invece sono passati veramente tanti anni e tante cose. Sono stati begli anni. Sono fortunata a poter vivere e giocare e fare quello che mi piace, che desideravo da sempre”.

107 presenze.

“Infatti non mi sembra neanche vero! Tutte le volte che vengo chiamata in Nazionale è davvero un grande onore. Vedere quel numero è importante e bello. Ripeto, sono stata fortunata”.

Una storia da dividere praticamente in due parti: nella prima tanti tornei amichevoli e qualificazioni, poi, dal 2015, anche le manifestazioni maggiori, con tre Europei.

“Esattamente, alla fine gli Europei ho avuto la fortuna di poterli giocare, e di essere nelle 12. Sono esperienze davvero pazzesche, perché poi giocare con la maglia della Nazionale da delle emozioni incredibili. È davvero bello. Un onore”.

Certo, poi ci vorrebbe quel risultato che ripaga di tutto quello che è sfuggito per poco negli ultimi 11 anni.

“Quello sì. I risultati, certo, sono importanti, ma non siamo ancora riuscite ad arrivare all’obiettivo. Faremo del nostro meglio per arrivarci e sono convinta che tutte queste esperienze vissute ci aiuteranno a costruire e ad arrivare poi a fare quel passo in più e ottenere quel risultato che noi speriamo”.

Magari il 2021 riscatta proprio tutte quelle esperienze.

“Intanto bisogna essere brave a qualificarsi, e poi si vedrà. Chi avrà la possibilità di giocarlo darà il massimo per tutte le giocatrici”.

Hai già pensato a un dopo il basket, fra qualche anno?

“Ho qualche idea, ma niente di concreto. Per ora mi godo questi anni e poi penserò a un futuro. Si vedrà”.

Professionismo nello sport femminile: tu, in relazione al basket, cosa ne pensi?

“Non è un argomento così scontato, e non è nemmeno facile discuterne. Un po’ complicato”.

Anche perché ci rientrano costi delle società e situazione delle giocatrici. Il che al momento ha messo tutta la questione in standby.

“Infatti. Adesso è un periodo difficile per tutti, anche per lo sport. Speriamo che tutte le cose si possano sistemare e che si riesca a venirne fuori nel migliore dei modi, però è sicuramente un periodo di difficoltà”.

Basti pensare che a Vigarano adesso ci sarebbero seri problemi per poter fare l’A1.

“Queste sono cose che dispiacciono, perché quando una società come Vigarano, che negli ultimi anni ha sempre fatto delle buone squadre, capisce di essere a rischio, è una cosa negativa per tutto il movimento”.

Poi è una società che ha lanciato tante giovani.

“Ha creato dei bei gruppi basandosi su quelle giocatrici, che hanno così avuto la possibilità di crescere tanto, ed è una cosa importante”.

La più difficile o esaltante giocatrice da marcare?

“C’è Quigley, ma giocavamo insieme. Lei è stata abbastanza dura da marcare in allenamento”.

Le difficoltà, a ben vedere, sembra che siano le altre ad averle contro di te e non il contrario, visto che come finiscono nella tua gabbia non ne escono più.

“Magari! Quello no, perché ci sono giocatrici con cui ho comunque avuto tante difficoltà perché sono molto forti. L’elenco sarebbe lungo! (ride) Però è il bello. È esaltante poter difendere e giocare contro delle giocatrici di livello come in campionato e in Eurolega”.

E anche in Italia-USA di cinque anni fa.

“Anche quella è stata un’esperienza particolare, indimenticabile”.

In 15 anni abbondanti, hai avuto allenatori di ogni genere, da Cinzia Zanotti a Roberto Ricchini fino a Mirko Diamanti, Pierre Vincent, quelli della Nazionale. Sembri il mix di tante impronte messe insieme.

“Sì, penso che ogni allenatore ti insegni e ti dia sempre qualcosa. È bello imparare e portarsi dietro sempre qualcosa da ognuno. Poi ovviamente con Diamanti ho giocato per più anni, e ho ancora di più ho un certo rapporto. Prendi tanti spunti”.

Cos’è quello che il basket insegna della vita?

“Tanto, sia in campo che fuori. Sono insegnamenti importanti: condividere il ruolo della squadra, la mentalità di lavoro, di sacrificio, di sapere che bisogna sempre lottare per ottenere quello che si vuole e non mollare, perché i momenti difficili ci sono ed è da lì che da una sconfitta si impara di più che da una vittoria. Anche quelli son tutti insegnamenti che ti porti poi nella vita di tutti giorni”.

Insegnamenti anche sociali, soprattutto ai giorni nostri. Nella pallacanestro ci sono tante idee ed estrazioni culturali diverse. Prendiamo il Famila di questa stagione: Sandrine Gruda è francese, ci sono le americane, Eva Lisec è slovena.

“Anche questo è un aspetto che fa crescere tanto perché vai ogni giorno a condividere esperienze, momenti e ore di lavoro in palestra con persone che arrivano da Paesi diversi, con caratteri diversi, percorsi diversi. Bisogna riuscire a trovare il modo di dare il massimo in campo, andare d’accordo e di tirare fuori il meglio ognuna dell’altra. In campo si è lì l’una per l’altra, quindi bisogna sempre avere fiducia in chi sta vicino e dare il massimo per la tua compagna. Anche questo è un grande insegnamento”.

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Credit: Ciamillo

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