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Costanza Verona, basket femminile: “Il Geas mi ha dato fiducia, quest’anno è migliorato il rendimento. Europei Under 20, c’era voglia di rifarsi”

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Deve ancora compiere 21 anni, ma sta già rivelandosi come una delle più valide giocatrici del panorama italiano nel ruolo di play. Costanza Verona, nel suo secondo anno al Geas Sesto San Giovanni, ha dimostrato la validità della scelta di Cinzia Zanotti di darle minuti e responsabilità: anche la società è rimasta perfettamente convinta dei suoi 10 punti, 4.5 rimbalzi e 3.4 assist a gara, per una valutazione di 11.2 al momento dell’interruzione della Serie A1 per la pandemia di coronavirus. Nell’intervista che ci ha concesso ha parlato anche del suo rapporto con la Nazionale, e di quegli Europei Under 20 che hanno rappresentato la gioia massima di un gruppo che inseguiva il titolo continentale da lungo tempo, oltre che delle sensazioni nell’affrontare sua sorella Marta, classe ’94 che ha giocato l’ultima annata nella nativa Palermo.

La stagione, o quel che è stato di essa, è stata bella in termini di risultati, però è lo stop che è stato brutto.

“Abbiamo fatto secondo me una buona stagione e potevamo anche toglierci qualche soddisfazione sia nei playoff che in Coppa Italia. Ci è rimasto un po’ di amaro in bocca per questo finale. Siamo andate molto in crescita, la squadra rispetto all’anno scorso era rimasta quasi la stessa perché Brunner e Williams erano le stesse e il nuovo innesto è stato quello di Oroszova. Il resto non era cambiato molto. È come se avessimo continuato un percorso che era iniziato l’anno prima e quest’anno stavamo riuscendo ad avere i frutti di un percorso di due anni. Ci è rimasto un po’ di amaro in bocca perché giocavamo bene, avevamo trovato ritmo in attacco e in difesa si era creata veramente unione, quindi secondo me è stato veramente un peccato concludere il campionato così”.

Peraltro Oroszova è rimasta.

“E invece Williams e Brunner se ne sono andate”.

Alla fine una cosa quasi classica: in Serie A1, a parte pochi casi, le americane non rimangono tanto a lungo.

“Sì, però posso dire che Brunner e Williams le ho avute come compagne anche a Battipaglia e Torino, quindi ci ho giocato insieme per 4 anni. Il rapporto che ho con loro è come se non fossero straniere. Sono delle persone veramente speciali, che ho avuto la fortuna di conoscere, delle giocatrici forti. La scelta di Brunner è stata più che altro personale, per rimanere vicino a casa, ai suoi familiari. Lei sarebbe rimasta e la società voleva confermarla. Williams è stata invece una scelta dal punto di vista tattico, per la fisicità della squadra. L’allenatrice voleva una squadra più fisica”.

Hai avuto il primo vero ruolo importante in assoluto, perché è la prima stagione in cui hai avuto la squadra in mano.

“Sì, questo è stato il primo anno in cui sono riuscita a dimostrare un po’ quello che ero in grado di fare. La società e Cinzia Zanotti mi hanno dato fiducia e la possibilità di crescere in questi due anni a Sesto. Una cosa che ho migliorato è stata la costanza di rendimento. L’anno scorso ho avuto dei periodi in cui giocavo meglio o peggio, invece in questo ho cercato sempre di essere a disposizione della squadra e riuscire a dimostrare che, nonostante avessi 19-20 anni, ero in grado di tenere in mano la squadra. Secondo me questo è un po’ il salto che ho fatto quest’anno”.

Quel ruolo in realtà ce l’avevi anche a Palermo, però è stata una situazione diversa, perché sei arrivata nel finale, o meglio tornata.

“Ho fatto l’anno a Sesto in cui giocavo tanto, anche la scorsa stagione facevo i 20 minuti di media, alternandomi con Giulia Arturi. Quest’anno invece è stato più di consolidamento per me. Poi ho fatto un mese con Palermo. Mi sono aggiunta a una squadra che era già fatta, in cui c’erano delle gerarchie, dei meccanismi, degli equilibri che si erano creati durante la stagione. Io sono arrivata per i playoff, quindi comunque per me è stata diversa. La squadra la conoscevo perché c’era mia sorella, e l’ho sempre seguita tutto l’anno, tutte le sue partite, quindi comunque conoscevo un po’ il sistema. Poi la squadra è stata brava a farmi integrare. Da questo punto di vista è stato super anche Santino Coppa che è riuscito a farmi integrare senza cambiare gli equilibri della squadra”.

Prima ancora, in pieno 2019, c’è stata quella finale di Coppa Italia per cui avete festeggiato tantissimo.

“Quella è stata una cosa inaspettata, perché noi in teoria non avremmo dovuto giocarla, essendo arrivate none. Poi Napoli è fallita, noi siamo salite ottave. Anche due anni fa abbiamo fatto una stagione in crescita, nel senso che c’è stato prima un periodo di adattamento al campionato e poi, più avanti, ci siamo consolidate e unite di più. In Coppa Italia abbiamo battuto Broni e poi Venezia in semifinale giocando una partita veramente bella, intensa e che ci ricordiamo tutti ancora oggi”.

Quanto si sente la storicità dell’ambiente Geas lì?

“È una società veramente super, con una storia incredibile. C’è il nostro attuale presidente, Carlo Vignati, che è veramente la storia della società, ha visto passare veramente tantissime giocatrici di altissimo livello, l’ultima Cecilia Zandalasini stessa che è cresciuta in questo vivaio, ma potrei parlarti di Elisa Penna, di Martina Crippa, Martina Kacerik, tantissime. Andando ancora più indietro, Mabel Bocchi. La storia della pallacanestro italiana. Io quando ho ricevuto la chiamata da Cinzia ho detto subito sì, perché in quest’ambiente si lavora bene e me ne avevano parlato tutti bene. Lei crede alla crescita delle giovani, da loro fiducia, fa un lavoro per cercare di consolidarsi anche nel campionato, che è una cosa che molte società non fanno. È una cosa in cui Cinzia e il Geas mi hanno aiutato molto”.

Hai citato un numero importante di giocatrici. A volte viene la sensazione che la Serie A1 andrebbe rinominata in ‘campionato Geas’, perché dovunque si va si ritrovano spesso i prodotti del Geas.

“Assolutamente vero. Moltissime giocatrici hanno fatto le giovanili col Geas, hanno vinto scudetti, quindi hanno una storia importante e anche con le giovanili hanno fatto un percorso di crescita per diventare giocatrici come quelle citate sopra”.

Si diceva di Palermo: non ci sei solo tornata nel 2019, ma anche nata, non solo fisicamente, ma anche cestisticamente.

“Io sono di Palermo, nasco nella società di Palermo. Mia mamma giocava proprio in questa società, e c’era 29 anni fa. Infatti noi dopo 29 anni siamo riuscite a riportare la Serie A1 a Palermo. Ci era riuscita lei 29 anni prima, poi ci siamo riuscite noi. Quando ho iniziato io c’era la Serie B. È stato fatto un lavoro importante, per questo devo ringraziare mia madre e la società che ha lavorato tanto per arrivare a questo punto. Fare basket e sport in generale a Palermo può non essere così facile come nelle altre città, ma con tanta forza, tenacia, determinazione, il fatto di prendere una porta in faccia e continuare a crederci siamo riuscite a portare di nuovo il basket femminile a un livello elevato. Sono cresciuta in questa realtà”.

Si spera che ci rimanga, viste le recenti comunicazioni arrivate dalla società. C’è ancora qualche speranza, legata a chi può entrare.

“Fino al 31 luglio la società ce la metterà tutta per riuscire a mantenere la Serie A1. Io posso dire che, essendo mia madre una che ci è sempre riuscita, ho sempre fiducia nel fatto che ci riesca. Capisco che non è facile, però se siamo partite dalla B e ora la squadra è in A1 è merito suo e della sua forza. Quindi secondo me, in qualche modo, alla fine spero che la società riesca a trovare uno sponsor”.

Momento difficile non solo per Palermo, ma anche per tante altre società a causa del Covid-19. Si sono sentite tante voci nel basket femminile, non essendo un periodo facile.

“Penso sia stato il più difficile degli ultimi anni, perché le aziende hanno sofferto la chiusura per due mesi, e quindi anche ripartire non è facile. Nel primo periodo c’è stata in primo piano la salute e la vita delle persone, con il tempo fino a luglio le cose ripartiranno un po’ e potranno anche un minimo cambiare in meglio. Almeno spero”.

Parlavi degli anni di Battipaglia e Torino in A1. Come ti sei sentita in quel tempo?

“Ho iniziato la mia esperienza fuori casa a 17 anni appena compiuti, lasciando i miei amici, la scuola, ho dovuto fare l’ultimo anno del liceo classico a Battipaglia. Quando ho avuto la chiamata di Massimo Riga l’ho colta subito, perché il mio sogno è sempre stato di diventare una giocatrice e ho sempre lottato per arrivare dove sono adesso. All’inizio la società di Battipaglia ha creduto in me, ha fatto una squadra giovane. Eravamo tutte giovani, del giro della Nazionale, oltre le tre straniere. Eravamo un gruppo di ragazzine, avevamo tutte 17-18 anni. Questo ci ha dato forza e fiducia, perché giocare in una squadra in cui sei la piccola e sono tutte senior magari all’inizio è difficile, invece qui eravamo tutte piccole e le tre straniere erano le senior. È stata una tappa importante della mia carriera. Poi ho seguito Massimo Riga a Torino, quindi ho fatto un anno là, e poi ho avuto la chiamata da Cinzia e sono andata a Milano”.

Un modello, quello di Battipaglia, che ricorda molto quello di quest’anno a Costa Masnaga.

“Esatto. Quando eravamo là eravamo io, Olbis Andrè, Stefania Trimboli, Valeria Trucco, Rachele Porcu, veramente un gruppo di ragazze, che però ha iniziato a fare l’A1 in giovane età. Quell’anno ci siamo anche salvate facendo un campionato discreto. Squadre così è importante ci siano per far crescere le giovani. Secondo me è importante allenarsi a un certo livello, ma lo è anche giocare, perché solo allenandosi non si riesce a saper gestire veramente le situazioni, perché più le gestisci e più sei in grado di gestirle meglio da grande”.

A proposito di anni giovani, in Nazionale hai fatto parte di quel gruppo che ha avuto l’ultima occasione e lo voleva, il titolo europeo Under 20. E come l’ha vinto.

“Esatto, era l’ultimo ballo. The Last Dance. Abbiamo vinto tre medaglie su quattro competizioni, ma non avevamo vinto mai quella. Eravamo un gruppo di persone e di amiche che avevano sempre lottato e creduto di poter raggiungere quel livello. Abbiamo sempre perso per poco. C’è sempre stata tanta rabbia, ma anche voglia di rivincita, di rifarsi. Abbiamo iniziato in modo difficile, perdendo le prime due partite, la prima contro l’Olanda e la seconda di venti contro la Francia. Dopo quella sconfitta contro la Francia io ero la capitana della squadra, mi sono sentita la responsabilità di dire: ‘se non va, è anche perché non sto facendo quello che avrei potuto fare’. Siamo state in riunione tra di noi fino all’una di notte, a cercare di capire cos’è che non andava. Ci siamo messe col computer, abbiamo visto azione per azione per capire cos’è che non andava, e poi si è creata la cosa che ci ha fatto unire ancora di più. Eravamo abituate a lottare, lo siamo sempre state, perché non abbiamo fatto un avvicinamento super e in più non c’era Lorela Cubaj, Sara Madera era costretta a giocare da 5 mentre lei è più 4, anche Trucco è stata costretta a giocare più da 5 essendo un 4. Situazioni tattiche che non erano facili. Cubaj cambiava molto gli equilibri della squadra, essendo una 1.94 forte fisicamente e anche tecnicamente, è stato un brutto colpo perderla. Questo ci ha fatto unire ancora di più, capire che dovevamo lottare, che eravamo noi, dovevamo guardarci in faccia e dire ‘se non lottiamo e vinciamo adesso, non vinciamo più, quindi dobbiamo dare tutto quello che abbiamo perché vogliamo stare lì, salire sul gradino più alto del podio non come secondi o terzi, ma primi'”.

Poi c’è stato l’ingresso di Alessandra Orsili che ha fatto forse l’impresa più incredibile, perché ha vinto due ori in neanche un mese con l’Under 18 e con l’Under 20. Campionessa di tutto.

“Lei ci ha dato una grande spinta perché, oltre a essere una buonissima giocatrice, è una persona super, che ti trasmette energia, che ti aiuta, e nonostante la sua giovane età è stata un elemento importante. Io e lei eravamo le due play, ci siamo aiutate molto. Io l’ho aiutata nei momenti di difficoltà, lei ha aiutato me e questo ha dato fiducia a entrambe. Questo ci ha dato grande fiducia”.

Lorela Cubaj: parliamo di una giocatrice che, nell’Europeo maggiore, ha dimostrato che tecnicamente non ha nulla da invidiare tecnicamente.

“Infatti con lei abbiamo vinto le due medaglie agli Europei Under 16 e ai Mondiali Under 17, è sempre stata un perno fondamentale della nostra squadra. Noi forse siamo state l’unica Nazionale giovanile che aveva un gruppo di interne di una fisicità assurda: come lunghe avevamo Trucco, Cubaj, Madera e Decortes che sono tutte sull’1.95. La nostra forza è sempre stata il gioco interno, invece per la prima volta qui lo abbiamo dovuto spostare all’esterno, e per questo all’inizio abbiamo fatto fatica dal punto di vista tecnico e tattico. Eravamo tutte abituate a giocare con le interne. Adesso abbiamo dovuto cercare di valorizzare sia il gioco interno che il gioco esterno”.

Ed è sempre quel discorso per cui un conto è se esce di scena l’ottava-nona delle rotazioni, un conto è se esce Cubaj. E devi cambiare tutto.

“Esatto. Madera ha giocato quasi tutto l’Europeo da 5, e non era abituata. C’è stato un periodo in cui lei e Trucco facevano sempre pick&pop e nessuna rollava, così giocavamo cinque fuori, perché non erano abituate a farlo. All’inizio non è stato facile, poi abbiamo trovato dei nostri equilibri perché non potevamo giocare cinque fuori. Quegli equilibri si sono creati col tempo. Le prime due partite le abbiamo perse perché ancora non c’erano”.

Hai parlato dell’Under 17: quello del 2016 è stato uno dei tre migliori risultati dell’Italia cestistica (3×3 escluso) a livello mondiale. E com’è arrivato: le vittorie sul filo di lana contro Mali, Canada e Cina.

“Anche noi non ci credevamo. Pensavamo una partita alla volta e ci concentravamo su quella. Ogni giorno dicevamo ‘noi stiamo vincendo, stiamo vincendo’ e poi ci siamo ritrovate in finale contro l’Australia. Lì forse un po’ di rammarico c’è, forse perché ci siamo spaventate. Non abbiamo giocato bene contro l’Australia, è stata una mezza partita secondo me. Abbiamo perso di 20 contro una squadra che ha due giocatrici che ora sono in Nazionale maggiore, di cui una, Ezi Magbegor, è diventata MVP del tornoo. Però sicuramente potevamo giocarcela in maniera diversa”.

Loro peraltro con tutto quel gruppo ai Mondiali Under 19 di Udine sono andate molto vicine a battere la Russia che aveva cooptato Maria Vadeeva e Raisa Musina. E con loro vinsero battendo anche gli Stati Uniti. Parecchie di quelle giocatrici sono state scelte all’ultimo draft WNBA.

Chennedy Carter è stata scelta come terza assoluta. Quando giocammo noi contro gli USA, nel 2016, ha schiacciato nel riscaldamento della partita. Me lo ricordo ancora e non credo me lo dimenticherò mai”.

Lei ha dello spirito vero. Diventerà qualcuna. È vero che si focalizza tanto, oggi, su Sabrina Ionescu, ma anche lei avrà un futuro.

“È vero. Contro Ionescu non c’ho mai giocato contro perché è più grande, ma di Carter posso dire che è veramente una giocatrice che farà strada. Ho avuto l’onore e la possibilità di giocarci contro, questo me lo ricorderò sempre”.

Hai ricevuto in passato proposte dalla NCAA o hai comunque considerato l’idea?

“Nel periodo in cui avevo 16-17-18 anni ho ricevuto tante richieste dai college, ma il fatto di rimanere in Italia è stato più una scelta personale, ma anche di gioco. Io preferisco il gioco europeo rispetto a quello americano”.

Tornando alla Nazionale, qualche chiamata è arrivata anche dalla maggiore.

“Ho fatto un raduno a ottobre, poi ne hanno fatto un altro dopo in funzione delle qualificazioni per gli Europei”.

Come ti sei sentita?

“È stata una grande emozione. Essere in Nazionale maggiore penso sia il sogno di ogni giocatrice e secondo me non è così scontato e facile passare dalla Nazionale giovanile a quella maggiore. C’è sempre da lavorare, da lottare tanto per riuscire ad arrivarci. La differenza c’è, ci sono giocatrici che giocano in Eurocup, in Eurolega, in WNBA come Zandalasini, quindi il livello è comunque alto. Secondo me è giusto che una ci arrivi in maniera graduale, ma anche avendo la possibilità di mettersi in gioco”.

Tu studi scienze motorie: il discorso della doppia carriera, sportiva e universitaria, ha molto successo nel femminile anche per via della questione della mancanza del professionismo.

“Esattamente, noi non siamo professioniste come i ragazzi nonostante ci si alleni come loro. Questa è una cosa che sinceramente non capisco, però la situazione è questa. Per gli studi, io sono cresciuta in una famiglia che mi ha sempre insegnato che devo studiare, perché non si mollano gli studi. Mia sorella si è laureata quest’anno in giurisprudenza nonostante giocasse, l’anno scorso anche lei è salita in A1 con Palermo. Lo studio e l’università sono sempre stati messi in primo piano. Da quando ho iniziato a vivere fuori ho messo il basket in primo piano, però senza nulla togliere allo studio”.

A proposito di tua sorella: che sensazione c’è nel giocarci contro?

“L’emozione è stata tanta, ma più che all’Opening Day, che comunque è una manifestazione in cui di emozioni ce ne possono essere perché giochi davanti a tutti, era già un evento che di suo ne poteva creare. È stato più ‘difficile’ giocare a Palermo, perché non ho mai giocato contro la mia squadra, contro la mia città, nello spogliatoio opposto, tante cose che per me sono state una prima volta. Quella partita a Palermo penso che non la dimenticherò mai. C’erano tante persone che tifavano per me, i miei amici, i miei compagni che vivevano qua, ma volevano che comunque vincesse Palermo. È stata comunque un’emozione strana”.

Nelle tue parole si è sentita l’importanza di Massimo Riga e Cinzia Zanotti nel tuo percorso. Puoi definirli come gli allenatori che ti hanno instradata di più?

“Io non posso nemmeno non citare Giovanni Lucchesi e Sandro Orlando, con cui ho fatto gli ultimi due Europei. Quest’ultimo in particolare mi ha aiutata tantissimo, mi ha dato il ruolo di capitano, quindi mi ha dato una fiducia che nessuno mi aveva mai dato. Massimo Riga invece l’ho avuto per due stagioni, dovevo ancora maturare dal punto di vista tecnico e tattico e lui mi ha messa un po’ ‘in riga’. Mi ha fatto capire che il play deve far giocare la squadra, cercare di mettere in ritmo le sue compagne, chiamare i giochi più opportuni per le compagne di squadra, cercare di avere vantaggi. Mi ha insegnato il ruolo del play, per diventare più matura. Cinzia mi ha consolidato, mi ha dato la fiducia, mi ha aiutato dal punto di vista tecnico, difensivo, perché avevo ancora delle pecche da sistemare. Ma ad ogni modo qualsiasi allenatore io abbia avuto mi ha aiutato e mi ha dato”.

Qual è la giocatrice che hai avuto con o contro di cui ti sei detta “questa è un fenomeno”?

“Una che ho sempre stimato, fin da piccolina, è Francesca Dotto. Quando giochiamo contro si crea sempre una certa competizione, che però mi piace, mi stimola a fare bene nelle partite contro di lei, che ho sempre considerato una giocatrice a cui ispirarmi. Per quanto riguarda una giocatrice davvero forte, in questi ultimi 4 anni ho giocato contro tante americane, la stessa Brooque Williams è una giocatrice che mi piace molto, ha un 1 contro 1 devastante che è anche molto difficile da difendere. Sia in allenamento che in partita è stata forse una delle migliori giocatrici del campionato. Ho giocato anche contro Zandalasini, ma quand’era ancora in Italia, e allora forse non era ancora così forte come lo è ora al Fenerbahce o come ha fatto in Nazionale, parliamo di 4-5 anni fa”.

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Credit: Ciamillo

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