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Andrea Romano, golf: “Vittoria allo Junior Orange Bowl emozione pazzesca. Volevo passare pro quest’anno, ma il coronavirus ha rinviato tutto”

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Il golf italiano al maschile, oltre ai suoi migliori anni di sempre regalati da Francesco Molinari, sta vivendo una buona crescita anche tra i giovani. Il nome più interessante tra questi è quello di Andrea Romano. Vincitore dell’importante Junior Orange Bowl all’inizio del 2019, questo classe 2000 è Romano di nome e lo è anche di fatto, visto che è nato nella Capitale. Più che valido rappresentante dell’Italia alle Olimpiadi giovanili del 2018, si è raccontato in questa intervista telefonica, nella quale ha tracciato la strada che ha percorso e che intende percorrere, sulla scia dei suoi miti, in attesa di poter riprendere a giocare dopo lo stop dettato dalla pandemia di coronavirus.

Quanto durerà ancora lo stop per te e quali saranno i tuoi programmi alla ripresa?

“Per le gare dovremo aspettare forse agosto, se tutto va bene. Per ricominciare la stagione penso se ne riparli l’anno prossimo. A luglio-agosto dovrebbero farci fare qualche gara nazionale, tra Regioni. Invece per i programmi quest’anno dovevo passare professionista, ma dato lo stop generale salta un anno, quindi posso fare il prossimo tutto da amateur, senza passare, fare le gare più importanti, entrare nei primi 50 del mondo amateur per poi giocare il torneo finale del tour amateur. Adesso sono 94°, mi manca ancora un po’”.

Effettivamente il passaggio al professionismo in una situazione di incertezza non appare molto avveduto.

“Esatto. Poi in realtà questo stop mi ha fatto bene, mi ha fatto ragionare e non mi ha messo fretta, perché è un passaggio molto importante”.

Com’era andato il tuo 2020 prima dello stop?

“L’ultima gara che ho fatto sono stati gli Internazionali di Spagna amateur, dove sono arrivato ai quarti di finale. Si poteva fare un pochino di più, però sono comunque soddisfatto di quella prestazione. Poi ho fatto quelli del Portogallo, dove ho passato il taglio e sono arrivato nei primi 25. Non avevo fatto niente di particolare, ma era comunque soddisfacente”.

In Spagna peraltro sei passato dallo stroke play al match play: quale dei due preferisci?

“A me piace molto il match play, però per la vittoria mi piace che si giochi con lo stroke play. Il match play è un tipo di gara in cui tutti possono perdere con tutti: basta che fai gli errori “giusti” quando te lo puoi permettere e il match play non ti fornisce molto. Invece nello stroke play ogni minimo errore ti può punire”.

Infatti sono due situazioni diverse, al netto del fatto di giocare pur sempre ‘contro il campo’.

“In stroke play è ancora più vero. Nel match play diventa più contro l’avversario, perché comunque se io mando in buca in 6 colpi e tu in 7 su un par 4, ho fatto doppio bogey ma ho comunque preso il punto”.

Che tipo di giocatore sei e quali difetti devi ancora limare?

“Sono un giocatore principalmente di feeling. Sappiamo tutti che esistono due tipi di giocatori: quelli di feeling e quelli ‘meccanici’, che hanno bisogno di praticare molto. Chi è di feeling va molto a sensazioni, azzarda spesso il colpo quando se lo sente. Per i difetti, ancora sono sicuramente tanti! (ride) Soprattutto il putt e il gioco sui ferri lunghi”.

Il putt che peraltro è la cosa forse più complessa in assoluto.

“E infatti non si è mai soddisfatti. È un argomento delicato: può essere che in una giornata ne fai pochi e in un’altra tanti, perché comunque puoi anche toccarla bene, farla partire dritta, ma se non azzecchi la linea non l’azzecchi. È un compromesso tra potenza e lettura della pendenza. Penso che nessuno sarà mai soddisfatto del proprio putt. Gli errori che non si accettano sono più che altro i putt da un metro, uno e mezzo, che ti possono cambiare in giro. C’è stato un periodo in cui i putt da vicino li soffrivo, adesso ci sono passato sopra e riesco, anche se sbaglio, a superare l’errore con più facilità”.

Un passo indietro nel tempo. Junior Orange Bowl.

6 gennaio 2019. Quella gara è stata pazzesca. Erano tre anni che la giocavo, è sempre stato un mio sogno vincerla perché sotto quella coppa c’erano dei nomi importanti: Tiger Woods, Renato Paratore (ma anche Mark Calcavecchia, Joaquin Niemann, N.d.R.). È stato veramente un sogno, ero sempre partito benino e poi nel finale rallentavo un po’. Invece l’anno scorso è stato proprio il finale che ho giocato benissimo, finendo con un eagle alla 18 nonostante avessi due colpi di vantaggio”.

Qualche mese prima hai giocato le Olimpiadi giovanili.

Esperienza fantastica. Sono stato molto fortunato, è una gara che tutti vorrebbero fare ed è stata anche un’esperienza di vita. Non era facile in quelle condizioni, erano in 5000 in un villaggio. Era veramente difficile anche il discorso degli spostamenti: il campo era a un’ora di distanza. Però l’esperienza è stata super. Purtroppo poi io e Alessia Nobilio non abbiamo vinto la medaglia. O meglio, lei ha vinto l’argento nel singolo, ma in coppia eravamo primi e nell’ultimo giro abbiamo giocato male, la tensione si è fatta sentire e siamo arrivati quarti. È stata una bellissima esperienza”.

Puoi consolarti col fatto che nemmeno Nicolai Højgaard ha raccolto la medaglia nell’individuale.

“È vero! Io fino a un anno fa giocavo con lui, eravamo un sacco amici, e adesso tutti e due i fratelli sono sull’European Tour. Pazzesco”.

Fra l’altro adesso ci sarà l’esplosione della nuova generazione, tra Viktor Hovland, Matthew Wolff, Collin Morikawa e Joaquin Niemann solo per citarne quattro.

“È così. Meno male, perché il golf non è fatto solo di Tiger, Rory e Dustin Johnson“.

Un po’ di ricambio poi già c’è, perché Jon Rahm non è che sia in alto da così tanto.

“Poi Rahm alla Ryder ha già battuto Tiger, quindi meglio di così… si potrebbe perfino smettere di giocare!” (ride)

Poi hai giocato anche il Junior Players.

“Ci ho giocato due volte, ed è stato un onore poterlo fare. Ho avuto un anno l’armadietto di McIlroy e l’altro quello di Francesco Molinari. Bellissimo. Quel campo è assolutamente pazzesco, per far ‘poco’ (punteggi bassi, che sono buoni, N.d.R.), devi saper tirare la palla molto bene. Sono green duri, veloci, devi saper puttare molto bene. Il mio modo di puttare mi aiuta molto, poi, sui green veloci. Faccio molta fatica su quelli lenti. Su quel campo il putt mi ha aiutato molto, però per mettere vicine le palle non è facile, anche se non la prendi bene la palla si ferma lo stesso. Devi fare il colpo perfetto per far sì che la palla dove batte si ferma”.

Hai fatto anche qualche esperienza sui tour maggiori, e il primo è stato il Rocco Forte (l’Open di Sicilia) sul tour europeo.

“E per pochissimo non ho passato il taglio. Ero dentro dopo metà del secondo giro, poi nelle seconde nove ho fatto quel paio di bogey di troppo per cui sono uscito dal taglio di un nulla. È stato nel 2017. Ho fatto esperienza sul Challenge, dove ho sempre passato i tagli, però non ho mai finito con la ciliegina sulla torta. Potevo essere a -4 o -5, ma nell’ultimo giro finivo sempre a -1”.

E l’hai passato, infatti, anche all’ISPS Handa World Invitational Men & Women, nello scorso agosto.

“Alla fin dei conti, però, anche lì non ho mai concretizzato. Passare il taglio, sì, dilettante, bravo, però si poteva far di più per entrare nei primi 20. Non sono mai riuscito a chiudere bene l’ultimo giro”.

Il tuo miglior risultato resta quello del Nazionale Open sull’Alps Tour, 14°.

“L’Omnium. Quello è stato il mio miglior risultato tra i professionisti. Purtroppo. Dico purtroppo perché nel 2017 o 2016 a Miglianico ero 12° e ho fatto un +7 nell’ultimo giro che ancora mi fa venire da piangere. È stato proprio faticoso, stavo giocando perfettamente, poi…”

Però non succede solo a te. All’Open Championship 2019 c’era J.B. Holmes che era terzo dopo tre giri e ha fatto +16 nell’ultimo.

“O Rory al Masters anni fa”.

A conferma del fatto che in questo sport succede di tutto.

“Ne succedono di cotte e di crude”.

Il golf è all’80% testa.

“Sì, e poi ti da quando meno te l’aspetti. Nel 2018 ho fatto un incidente in macchina. Sono tornato tardi da una gara, il giorno dopo avevo un’interrogazione a Roma, sono andato a scuola, mi sono addormentato per 5 secondi e sono finito addosso a una macchina. Lì sono stato fermo per un po’ e sono andato agli Internazionali d’Italia con ancora dei dolori. Nella mia testa dicevo ‘proviamo a passare il taglio’. Invece ho vinto quella settimana, e poi quella dopo in Francia. Questo per dire che in questo sport meno ti carichi di responsabilità, di pressione, e più va come deve andare”.

Quali sono le tue ispirazioni tra i giocatori?

“Naturalmente Tiger Woods e Rory McIlroy. Quest’ultimo ho avuto la possibilità di conoscerlo dal vivo. Poi di italiani Renato Paratore, Francesco Molinari e Matteo Manassero. Con Renato e Matteo a volte mi alleno insieme, si imparano sempre cose nuove. Matteo poi lo conosco bene, è venuto a cena da me 5-6 volte, è un ragazzo con una testa fantastica”.

Poi però lì entrano in gioco tante cose.

“Lui a 16 anni camminava al Masters ad Augusta, io a momenti ancora stavo con i giocattoli”.

Come hai cominciato a giocare a golf?

“Ho iniziato a 4 anni per puro caso, guardando un figlio di un’amica di mia madre che stava giocando all’Olgiata. Mi portò lì a vederlo, e da lì è iniziato. Ogni volta che vedevo un prato dicevo: ‘Mamma, voglio giocare a golf’. Mi ha comprato le mazze di plastica. Per fortuna avevo un ampio giardino, ci ho fatto un po’ di buche. Ho spaccato un po’ di finestre, e quindi ho iniziato così. Poi per puro caso siamo passati a Tor di Quinto, abbiamo letto Tevere Golf. Da lì ho cominciato, poi sono diventato socio all’Olgiata e infine sono passato a Castel Gandolfo, fino ad oggi”.

Quali sono gli allenatori che ti hanno dato il maggiore imprinting?

“Ho iniziato con Simone Selli al Tevere Golf, e poi c’è Alberto Binaghi, il capo della Nazionale, che mi ha sempre seguito. È anche l’allenatore di Renato, di Guido Migliozzi. Adesso mi seguono lui e Alessandro Bandini, anche lui coach della Nazionale. Cerco di averne due perché Binaghi è a Milano, quindi non è facile allenarsi insieme. Io quando posso vado lì. Prima dello stop lo facevo una volta al mese per fare lezioni con il putt con Roberto Zappa, era sempre un weekend. Se c’era anche Binaghi, andavo pure da lui. Se tutto andava bene, a Milano passavo una settimana”.

Peraltro non è così poco comune il fatto di avere più allenatori per le diverse fasi del gioco.

“Infatti il putt è un altro mondo. Si sente la differenza di un allenatore che è specializzato in quello. Un allenatore che sa un po’ di tutto magari non riesce a darti lo stesso. Poi il golf si focalizza sul putt, puoi anche giocar male, ma se imbuchi uno score decente il risultato lo porti a casa lo stesso”.

Qual è l’Andrea Romano che c’è fuori dai campi?

“Mi piace imparare e fare tantissime cose. Sono malato di pesca da quand’ero piccolo, quando voglio rilassarmi vado a pescare. Poi mi piace fare il DJ”.

Suona bene poi. DJ Romano.

“Vero! (ride) Poi sono portato per lo sport, mi piace giocare a ping pong, ho fatto tornei. Non mi piace stare fermo, non ci sto quasi mai”.

Tu hai parlato in passato del fatto che la fede la senti più come una tua cosa personale, non hai bisogno di metterla in piazza.

“È sempre la mia forza, anche nei momenti di difficoltà la uso sempre per uscirne fuori, anche se non va come deve andare accetto il fatto che sia la Sua volontà. Diciamo che da piccolino mi vergognavo un po’. Mia mamma mi ha sempre dato i principi religiosi, siamo molto credenti in famiglia. Però venivo anche preso in giro. Ad oggi la religione poi non viene rispettata molto. Ora non me ne vergogno, ma non voglio nemmeno metterla in mostra. Lo faccio per me stesso, non per farlo vedere agli altri. Se gli altri lo vedono bene, se no lo faccio per me stesso. Poi chiaramente la mia missione penso possa anche essere portare la parola di Dio nel golf. Ognuno di noi, quando nasce, ha una missione da compiere. La maggior parte di quelli con cui gioco una bestemmia la tira sempre! (ride) Adesso hanno messo una nuova regola per la quale se bestemmi una volta sei sanzionato e se bestemmi due volte sei squalificato. Un tempo era pure reato penale”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Antonio Santoro

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