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F1, Lewis Hamilton su Niki Lauda: “Mi ha insegnato a dare sempre quel qualcosa in più”

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Con profonda tristezza annunciamo che il nostro amato Niki è morto pacificamente con la sua famiglia accanto lunedì. I suoi risultati unici come atleta e imprenditore sono e rimarranno indimenticabili, come il suo instancabile entusiasmo per l’azione, la sua schiettezza e il suo coraggio. Un modello e un punto di riferimento per tutti noi, era un marito amorevole e premuroso, un padre e nonno lontano dal pubblico, e ci mancherà“.

Con queste parole toccanti, esattamente un anno fa, si apprendeva della morte di una delle leggende della Formula Uno che, sotto tutti i punti di vista, aveva caratterizzato un’epoca. Niki Lauda, purtroppo, all’età di 70 anni ci lasciava. Nato a Vienna il 22 febbraio del 1949, fu capace di vincere tre Mondiali nel Circus nel 1975, nel 1977 e nel 1984 con la Ferrari e la McLaren. Seppe distinguersi nell’attività di imprenditore, avendo fondato e diretto due compagnie aeree: la Lauda Air e la Niki. Si distinse nel Motorsport ricoprendo cariche dirigenziali, come con la Jaguar, e dal 2012 fu presidente non esecutivo della Mercedes AMG F1.

Un personaggio schietto e senza troppi peli sulla lingua, Niki è entrato nel Gotha della F1, oltre che per i successi (3 titoli iridati, 25 GP vinti, 54 podi, 24 pole position), per quello che accadde al Nürburgring nel 1976. Sul circuito noto agli appassionati con l’appellativo di “Inferno verde“, Lauda, complice una “toccata” troppo incisiva sul cordolo, sbandò in una curva al Bergwerk nel corso del secondo giro, il punto più lontano del circuito dai box, perdendo il controllo della sua Ferrari. La monoposto scartò verso destra, colpì in pieno il guard-rail esterno e rimbalzò in mezzo alla pista, prendendo immediatamente fuoco. Fu grazie al coraggio di alcuni piloti scesi dalle loro vetture, tra cui Arturo Merzario, che il pilota privo di conoscenza fu estratto dal proprio abitacolo. Nelle settimane successive lottò tra la vita e la morte e, pur rimanendo ustionato e sfigurato, seppe tornare in gara nel GP d’Italia, con ancora molte ferite evidenti sul suo corpo.

Un rapporto speciale e ancora vivo quello con Lewis Hamilton. La relazione tra Niki e il britannico era qualcosa di più della semplice interazione professionale. La dedica dopo il successo dell’anno scorso a Montecarlo dell’asso della Mercedes e le parole spese da Lewis quest’oggi (fonte: Gazzetta dello Sport) lo dimostrano: “Niki mi manca,  è anche difficile parlarne. Forse i ricordi più cari sono legati alle nostre prime conversazioni, iniziammo nel 2012 e ricordo il giorno in cui mi telefonò, cercando di convincermi a entrare in squadra. Che bello ricevere una chiamata da un campione del mondo e un’icona come Niki. L’avere il suo rispetto non era scontato. E poi ricordo una nostra conversazione a Singapore, fu una chiacchierata così sincera che pensai che io e lui fossimo realmente uguali in tante cose, avevamo più cose in comune di quante immaginassi. Era una persona positiva, divertente e aveva sempre le storie più belle da raccontare. Pensava sempre a come si può migliorare. Il suo segnale del lavoro ben fatto era lui che si toglieva il cappello. Mi chiedeva sempre che cosa mi servisse per migliorare, era una fissazione, una lezione da ricordare. Il team va guidato, bisogna fare domande, spingere, anche se tutti stanno già spingendo. È come quando ti alleni in palestra da solo e pensi di fare dieci flessioni o dieci panche o qualunque cosa sia e arrivi a nove e non pensi di poter fare di più. Ma spesso quando hai qualcuno lì, può spingerti a dodici o tredici. Quando pensi che stai spingendo al massimo, puoi ancora spingere un po’. Questo mi ha insegnato”.

 

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giandomenico.tiseo@oasport.it

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