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Bruno Pizzul: “L’angoscioso ricordo dell’Heysel e i trionfi europei dei club italiani. Internet? Rapporto pessimo…”

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Anche se dietro la cornetta di un telefono e a distanza di più di 300 chilometri, la sua voce è inconfondibile. Bruno Pizzul ha segnato il mondo delle telecronache sportive per quasi trent’anni “entrando” nelle case degli italiani con garbo e passione. A lui sono legati molti dei ricordi del calcio del Bel Paese degli anni ’90: dalle Notti Magiche ai Maledetti Rigori della nazionale passando per le vittorie dei club nelle coppe continentali. Ecco l’intervista che ci ha rilasciato, nel quale ha toccato numerosi aspetti: dal tentativo di ripresa del Campionato di Serie A alla passione primordiale per il giornalismo, senza dimenticare i ricordi vissuti sul campo e la passione per gli altri sport.

Bruno buongiorno, lei che idea si è fatto rispetto alla possibile ripresa del Campionato di Serie A?
“La situazione è tutt’altro che chiarificata, anche alla luce delle decisioni che verranno prese nei prossimi giorni. A me pare di poter dire che difficilmente si potrà portare a termine la stagione per quanto riguarda la Lega di Serie A, al di là di quello che potrà succedere in futuro. Di certo il mondo del calcio ha dimostrato di non avere una posizione unitaria: troppo spesso presidenti o dirigenti curano i cosiddetti ‘interessi di bottega’, rispetto a quelli generali. Qualsiasi cosa, in ogni caso, verrà subordinata a quello che resta il problema primario: la salute pubblica”.

In questi giorni in tv si è scelto di riproporre spesso delle vecchie partite per riempire la programmazione: vorremmo chiederle se le sta rivedendo e quali differenze trova nello stile narrativo delle telecronache.
“Non guardo volentieri le partite del passato. Devo dire che qualche volta però mi capita di soffermami sugli incontri del Campionato Italiano, rispetto a quelli riguardanti le coppe europee o la nazionale, perché non mi ricordo come sono andati a finire. Vivo il risultato di questi match come se fosse qualcosa che avviene sul momento. Per il resto, non è che sia un affezionato cliente delle rivisitazioni televisive.
Per quanto riguarda invece lo stile narrativo, mi soffermerei più che altro sulla produzione vera e propria di una partita: prima le gare venivano riprese con due o tre telecamere al massimo, con inquadrature dall’alto che facevano sembrare dei giocatori quasi delle formichine ma che consentivano di poter osservare lo svolgimento corale della manovra, oggi giorno invece i registi hanno a propria disposizione un numero spropositato di telecamere ed essendo tutti di formazione culturale cinematografica hanno la tendenza a raccontare tutto in una maniera spettacolare. Vi sono segmenti ‘frantumati’, replay, primi piani e immagini varie: si perde un po’ di vista lo svolgimento del gioco e naturalmente anche il commento televisivo deve seguire questo ritmo incalzante di proposizioni. Ne viene fuori un racconto televisivo sincopato e a volte sopra le righe pensando ai gol e via dicendo: a volte si ha la sensazione che il mondo della televisione più che raccontare cosa stia succedendo stia raccontando se stesso, spettacolarizzando all’eccesso”.

Restando sul tema delle telecronache: qual è stata quella che l’ha appassionata di più?
“Ce ne sono state tante, specialmente quelle relative alle vittorie delle squadre italiane nelle coppe europee; anche perché arrivarono in serie dopo un periodo in cui non vincevamo più niente. Dalle vittorie del Milan di Sacchi in poi, tornò l’entusiasmo per il calcio internazionale: sono momenti che ricordo tutti con piacere. L’affermazione dei rossoneri poi ad Atene (nel 1994, ndr) contro il Barcellona di Johan Cruijff resta sicuramente una delle più belle perché mi fece capire che si iniziava a guardare il calcio italiano con occhi diversi: un calcio valido e non fatto di catenacciari e dei difensivisti ad oltranza. Non posso inoltre dimenticare tante partite della nazionale, anche se non ho avuto mai la possibilità di gridare che avessimo vinto il Mondiale.
Di contro però, se dovessi mettere in linea le telecronache che più mi hanno segnato, sia in senso sia in senso negativo, non potrei che parlare dell’Heysel: fui mandato a commentare una partita di pallone e invece dovetti commentare di 39 morti. Quelli sono ricordi angosciosi non solo per la mia memoria di telecronista, ma anche per la mia coscienza di uomo”.

Lei ha iniziato a raccontare le cose in una cabina o allo stadio essendo solo con le sue cuffie e il suo microfono, poi però nel corso degli anni le hanno affiancato diverse voci tecniche che, al giorno d’oggi, sono ormai diventate delle figure quasi indispensabili per qualsiasi telecronaca: lei che idea si è fatto del commento a più voci?
“Non ho mai nascosto che, quando ho iniziato a lavorare con una seconda voce, avrei preferito continuare a fare le telecronache da solo, poi ovviamente ho fatto questa esperienza interagendo con amici che conoscevo bene, però francamente a me pare che già quando facevamo le telecronache da soli io, Nicolò Carosio o Nando Martellini venivamo accusati di parlare troppo: figuriamoci adesso. Abbiamo i due commentatori e due bordocampisti: c’è questa proliferazione verbale che indubbiamente può dare fastidio. E’ una moda che si è venuta imponendo nel corso degli anni, anche se adesso alcune televisioni soprattutto in Germania hanno ripreso l’antica abitudine di raccontare la partita con una singola voce; eventualmente facendo intervenire gli esperti o gli ex giocatori durante le pause di gioco, quando c’è la possibilità di farlo magari con un tono anche più pacato”.

Sino ad ora abbiamo parlato solo di calcio, ma c’è un altro sport in cui Bruno Pizzul si sarebbe voluto cimentare nel commento?
“Io sono sempre stato un appassionato di ciclismo. E’ vero che mi sono occupato principalmente di calcio, ma nella mia lunga carriera ho avuto la chance di commentare praticamente tutti gli altri sport, grazie alle Olimpiadi; in particolare nei primi anni in cui le seguivamo.
Andavamo sul sito olimpico in cinque o sei e dovevamo seguire tutte le discipline, anche quelle che non rientravano nelle nostre competenze specifiche: alle Olimpiadi di Monaco commentai le finali dei tornei di judo, sport che non conoscevo assolutamente e per il quale mi preparai in maniera raffazzonata. Negli ultimi tempi invece devo dire che c’è una maggiore attenzione per coprire in maniera adeguata questi sport, con i quali a volte capita di imbattersi soltanto nel periodo dei Giochi.
Tornando al ciclismo, i miei ricordi si legano alle corse estive: momento in cui sostituivo Adriano De Zan, che andava in ferie. Facevo Le Tre Valli Varesine e la Coppa Bernocchi, ma non posso dimenticare neppure la pallacanestro e la pallavolo. 
Inoltre sono molto affezionato a uno sport come le bocce: viene considerato dall’opinione pubblica come una cosa da anziani d’osteria, invece vederlo praticato a livello agonistico è davvero molto bello e fra l’altro ha regalato all’Italia tante soddisfazioni in campo internazionale”.

Uno dei mezzi più utilizzati per prepararsi a una partita oggi è quella di utilizzare Internet: lei che ha rapporto ha col web?
“Pessimo. Rivendico la mia dipendenza dalle forme di comunicazione più tradizionali. Naturalmente non ne nascondo la grande utilità: scrivere i pezzi oggi è molto più bello e meno faticoso, viste le possibilità di rilettura e correzione immediata, però francamente sono abbastanza restio ad inserirmi in questi meccanismi, pur straordinari, di comunicazione”.

Ultima domanda: che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani che oggi cercano di diventare prima giornalisti e poi telecronisti?
“Armarsi di tanta pazienza. Il mondo della comunicazione che ha sviluppato strumenti agili è molto gradito ai giovani d’oggi, ne è la dimostrazione l’elevato numero di iscrizioni degli universitari alle facoltà di riferimento, ma nei suoi sbocchi lavorativi trova spesso inserimenti sporadici e retribuzioni che definirei francamente persino offensive.
Realizzarsi è molto difficile: bisogna però continuare a crederci, metterci dentro tanta passione e pazienza portando avanti, se lo hanno, il desiderio di fare un mestiere che è affascinante”.

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michele.cassano@oasport.it

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Foto: LaPresse

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