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Olimpiadi. Edwin Moses: i 13 passi da leggenda del Re dei 400 ostacoli

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Tredici e nove, sono i numeri magici di un campione senza tempo che ha segnato un epoca, quella a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 dell’atletica leggera, Edwin Moses. Tredici erano i passi che il campione statunitense utilizzava tra un ostacolo e l’altro nel giro di pista, quando fino al suo approdo sulla scena internazionale, gli atleti avevano adottato da sempre la regola dei 14 passi. Nove anni, nove mesi e nove giorni, invece, fu il lasso di tempo che intercorse fra le due sconfitte di Edwin Moses che delimitarono uno dei più lunghi periodi di imbattibilità della storia dello sport mondiale. La prima ad opera di Harald Schmidt, tedesco che battè Moses a Berlino il 26 agosto 1977, la seconda firmata Calvin Harris a Madrid il 4 giugno 1987. In mezzo la bellezza di 122 successi consecutivi, tra i quali non c’era, perché ottenuto precedentemente, quello che Moses ritiene il suo capolavoro, l’oro olimpico conquistato a Montreal nel 1976.

Il protagonista dei 400 ostacoli alle Olimpiadi di Montreal del 1976 doveva essere l’ugandese John Akii-Bua già campione quattro anni prima a Monaco con il primato mondiale di 47″82 ma il boicottaggio dei paesi africani per il mancato intervento del CIO contro la Nuova Zelanda la cui nazionale di rugby aveva disputato degli incontri nel Sudafrica dell’apartheid gli impedì il tentativo di bis olimpico.

Gli ostacoli lanciarono però in orbita un nuovo protagonista destinato a riscrivere il libro della specialità per i successivi 12 anni, il ventenne Edwin Moses. Nato nell’Ohio nel 1955, Moses non rappresenta il prototipo dell’afroamericano in cerca di rivincita con la corsa: figlio di insegnanti, si dedica con passione allo studio e, seppure dotato sugli ostacoli alti, preferisce rifiutare i college che gli propongono una borsa di studio per meriti sportivi e sceglie il Morehouse College di Atlanta e la sua borsa di studio in ingegneria. A Morehouse Moses si allena in solitudine guadagnandosi l’appellativo di “uomo bionico” per il doppio impegno, più preoccupato degli studi che risentono del doppio impegno che dei risultati.

Nel 1975, Edwin inizia a coltivare il sogno di partecipare alle Olimpiadi dell’anno successivo e nella prima gara della nuova stagione, i Florida Relays, corre i 110 hs in 13″7, i 400 metri in 46″1 e i 400 ostacoli per la prima volta in una competizione in 50″1. A osservarlo c’è il tecnico della squadra olimpica, Leroy Walker, che lo indirizza verso gli ostacoli bassi.

A fine aprile nei Penn State Relays, Moses si impone in 48″8 e due mesi dopo nei Trials statunitensi per definire la squadra che parteciperà alle Olimpiadi di Montreal batte il record statunitense imponendosi in 48″3, terza prestazione mondiale di sempre. Edwin ha tutte le caratteristiche fisiche per i 400 ostacoli e le sue lunghe leve gli consentono di coprire costantemente la distanza dagli ostacoli in 13 passi, dovendo talvolta sforzarsi di non strafare saltando a 12, mentre lo stesso Akii-Bua era in grado di tenere il ritmo dei 13 passi solo nei primi 5-6 ostacoli per poi passare a 14 nel finale di gara.

Anonimo, con i suoi occhialoni che nascondono una ipersensibilità alla luce, e la sua aria da professore, Moses entra in scena da perfetto sconosciuto a Montreal: corre un primo turno in scioltezza ed è l’unico a fermare i cronometri sotto i 50″ in 49″95, in semifinale domina il campo dei partecipanti dalla sua quinta corsia e si migliora ottenendo il suo personale in 48″29.

Il 25 luglio 1976 è in quarta corsia al via della finale, alla sua destra il portoghese Carvalho e alla sua sinistra il britannico Pascoe: saranno i primi a cedere, schiantati dal ritmo di Moses che non riescono a reggere. Ai 200 metri, lo statunitense ha già cancellato il decalage di partenza anche rispetto al connazionale Wheeler in settima corsia. Distanti dall’uomo bionico, lo statunitense Shine (corsia 8 ) e il russo Gavrilenko (corsia 1), riescono a correre al loro ritmo. Ma all’ingresso sulla retta finale hanno già un distacco di 5-6 metri. All’arrivo saranno 8 i metri che separeranno il secondo, Shine, da Edwin Moses che ferma i cronometri su un eccezionale 47″63, record del mondo. L’unico atleta statunitense a vincere una medaglia d’oro individuale nelle gare di corsa di quell’olimpiade.

Nel momento in cui il connazionale Danny Harris lo sconfisse a Madrid, il 4 giugno 1987, Moses aveva vinto 122 gare consecutivamente, migliorando altre due volte il record del mondo (l’ultima a Coblenza nel 1983 con 47″02); aveva vinto tre volte la Coppa del mondo, due volte i Campionati mondiali, e ottenuto la sua seconda medaglia d’oro olimpica a Los Angeles 1984, dove venne scelto per prestare il giuramento dell’atleta. In quell’occasione, bloccato dall’emozione, si rese protagonista di un curioso episodio, infatti poco dopo aver iniziato a recitare il giuramento si fermò improvvisamente poiché aveva dimenticato le parole, riprese a recitarlo dall’inizio ma anche stavolta si interruppe dopo poche parole, al terzo tentativo riuscì a ricordare i versi e a proseguire. Dopo aver perso contro Harris, vinse altre 10 gare di fila, quindi finì terzo nell’ultima finale dei 400 metri ostacoli della sua carriera, ai Giochi olimpici di Seul del 1988. In tutta la sua lunga carriera Edwin Moses ha disputato 187 gare sui 400 ostacoli vincendone ben 178.

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