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L’Italia è grande: Eugenio Monti, il Rosso Volante che si prese l’Olimpo nel bob

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Inforcava gli sci e metteva in fila tutti ma “il rosso volante” i suoi capolavori li ha compiuti a bordo di un bob, poco importa se fosse a due o a quattro. Eugenio Monti è entrato a ragione fra i miti dello sport italiano con una carriera che sarebbe potuta essere di ottimo sciatore (fu campione italiano di slalom e gigante in gioventù) ma che invece, a causa di due gravi infortuni, si sviluppò nei “budelli” di ghiaccio più leggendari fino ad arrivare alla doppietta olimpica di Grenoble che lo ha proiettato nella storia della disciplina e degli sport invernali italiani.

Nove titoli mondiali, di cui sette nel bob a due (quattro in coppia con Renzo Alverà e tre assieme a Sergio Siorpaes) e due nel bob a quattro (nel 1960 e nel 1961, gareggiando con gli stessi Alverà e Siorpaes e Furio Nordio): un palmares già straordinario così ma si sa, sono le Olimpiadi a rendere immortale un atleta. All’Olimpiade di Cortina, al debutto sul ghiaccio di casa, nel 1956, vinse due medaglie d’argento, nel bob a due (con Renzo Alverà) battuto di 1″31 dall’altra coppia italiana composta da Lamberto Dalla Costa e Giacomo Conti e nel bob a quattro (con Ulrico Girardi, Renato Mocellini e Renzo Alverà) a 1″66 dal quartetto elvetico. Alle Olimpiadi di Squaw Valley del 1960 non poté gareggiare in quanto questa gara non fu disputata per ragioni economiche (fu l’unica edizione dei giochi olimpici senza il bob).

A Innsbruck 1964 la “maledizione olimpica” sembra proseguire, anche se la copertina è tutta per lui, Eugenio Monti che è il primo atleta della storia a vincere la medaglia Pierre De Coubertin, quando all’equipaggio britannico di Tony Nash e Robin Dixon, in piena lotta per la vittoria, si ruppe un bullone e l’azzurro mise loro a disposizione il suo, consentendo così ai due rivali di vincere la medaglia d’oro e salendo, assieme a Siorpaes, sul terzo gradino del podio.

A Monti, che nel frattempo ha raggiunto i 40 anni, manca terribilmente l’oro olimpico e l’occasione per rompere l’incantesimo si presenta a Grenoble nel 1968. La “maledizione” dura un giorno in più perche la gara inaugurale del programma del Bob si sarebbe dovuta tenere il 7 febbraio ma una bufera costringe gli organizzatori a rinviare di 24 ore la competizione olimpica del Bob a 2 che vede Monti gareggiare assieme a Luciano De Paolis. Nella prima manche l’equipaggio italiano non commette errori, fermando il cronometro sul tempo di 1’10″13, sette centesimi meglio dei rumeni Panturu/Neagoe, che non rientravano nel novero dei favoriti e quarantaquattro dei britannici Nash/Dixon, quelli del “bullone d’oro” di quattro anni prima. Più indietro le altre due coppie favorite della vigilia, i tedeschi Floth/Bader, vittime di un paio di errori gravi e gli austriaci Thaler/Dumthaler, campioni del mondo in carica.

Nella seconda prova i tedeschi totalizzano il miglior tempo in 1’10″43 ma Monti e De Paolis, che fanno peggio di 29 centesimi, mantengono il comando, con Floth/Bader a 34 centesimi di distanza. Trascorrono tre giorni e si scende in pista per le ultime due, decisive, manche. Floth/Bader si impongono ancora nella terza prova in 1’10″20, infliggendo 44 centesimi agli azzurri che, prima dell’ultima discesa, si trovano dietro con un ritardo di un decimo. Eugenio Monti sa bene che quella è l’occasione della vita e compie il suo capolavoro chiudendo l’ultima prova in 1’10″05. I tedeschi sono gli ultimi a scendere in pista, sbagliano pochissimo e fanno segnare il tempo di 1’10″15, un decimo peggio rispetto agli italiani. Nel parterre si scatena la festa di entrambi gli equipaggi ma, dopo qualche istante di attesa, arriva la notizia: Eugenio Monti e Luciano De Paolis sono campioni olimpici perché in caso di ex aequo conta il miglior risultato cronometrico singolo nelle quattro manche disputate ed è proprio la prova offerta nell’ultima prova a consegnare all’azzurro il primo alloro olimpico della carriera a 40 anni compiuti.

Non contento, Eugenio Monti, assieme ai compagni Luciano De Paolis, Roberto Zandonella e Mario Armano, il 16 febbraio dà l’assalto all’oro del Bob a 4. Monti non vince una gara di questa specialità da quando, sette anni prima, si era laureato campione del mondo a Lake Placid. Il maltempo la fa ancora da padrone e, dopo la prima manche, Monti è già il più veloce in 1’09″84, con gli austriaci a 16 centesimi e il quartetto svizzero staccato di 81 centesimi. Nella seconda discesa sono gli svizzeri a pennellare con il tempo di 1’07″39, mentre gli austriaci, che chiudono con un centesimo peggio, si riportano a soli 9 centesimi da Monti, non così performante come la prima manche. L’Olimpiade del Bobn, però, si chiude come si era aperta: con una bufera di neve su Grenoble che costringe la giuria ad annullare le altre due discese e assegna, di fatto, una fortunata medaglia d’oro all’equipaggio italiano per un bis da leggenda per il “rosso volante”.

Una rincorsa olimpica a lieto fine, mentre a lieto fine non sarà la sua vita. Dopo vicissitudini familiari (il figlio Alec, morto per overdose nel 1996 e il nucleo familiare sfaldato poco dopo) e giudiziarie (una condanna per danni ambientali in qualità di presidente della sua azienda), Eugenio Monti, affetto da Morbo di Parkinson, porrà fine alla sua vita terrena sparandosi un colpo di pistola nel novembre 2003.

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1 Commento

1 Commento

  1. OLIMPIONICO

    29 Aprile 2020 at 14:14

    Bell’ articolo su un Grande Campione, Gloria d’ ITALIA !

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