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Rugby, Alessandro Troncon: il capitano di mille battaglie di un’Italia che metteva paura alle grandi

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Il rugby non è mai stato uno sport mediatico, rispetto a molte altre discipline la visibilità in tv e lo spazio sui giornali è stato per anni (con rare eccezioni tra il 2007 e il 2009) limitato. Così, ovviamente, anche i personaggi emersi dal mondo della palla ovale non sono paragonabili, numericamente e come impatto sulla massa, ad altre discipline, anche tra gli sport minori. Personaggi come Tomba, Pantani, ma anche Lucchetta o Meneghin (parlando di sport di squadra), nel rugby hanno faticato a emergere.

I rugbisti italiani diventati iconici, riconoscibili dal grande pubblico, si possono probabilmente contare sulle dita di una mano. Quelli rimasti nella memoria collettiva, forse, anche meno. E sicuramente in questo gruppo ristretto non può non rientrare Alessandro Troncon. Mediano di mischia dalle grandi qualità tecniche, “Tronky” era però soprattutto un leader in campo e fuori e impersonava alla perfezione quella iconografia rugbistica che tanto piace. Duro, cattivo, che fa la conta delle sue cicatrici, introverso ma al tempo stesso personaggio. “Il rugby è una voce del verbo dare. A ogni allenamento, a ogni partita, a ogni placcaggio, a ogni sostegno, dai un po’ di te stesso. Prima o poi qualcosa ti tornerà indietro” ha scritto Marco Pastonesi. E racconta perfettamente il numero 9 azzurro.

Alessandro Troncon nasce in una delle culle del rugby italiano, Treviso, nel 1973 ed è proprio nel Benetton che cresce rugbisticamente. L’esordio in prima squadra avviene nella stagione 1991-92, mentre nel 1994, a soli 20 anni, veste per la prima volta la maglia della Nazionale contro la Spagna. In poco tempo conquista la fiducia di George Coste e diventa titolare indiscusso della maglia numero 9 azzurra. In carriera conquista sette scudetti con il Benetton Treviso, due Coppe Italia, una Challenge Cup con la maglia del Clermont nel 2007 e la Coppa Fira nel 1997, battendo la Francia nella leggendaria sfida di Grenoble.

Con l’Italia giocherà 101 partite e tra il 2000 e il 2004 è capitano azzurro per 20 volte, ma al di là dei numeri, dei risultati e del freddo computo delle vittorie e delle sconfitte, Alessandro Troncon è uno degli emblemi di quell’Italia che a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 ha messo paura alle grandi nazioni ovali, ha battuto Irlanda, Francia, Scozia, ma ha anche spaventato l’Inghilterra e l’Australia. Leader in campo e fuori, è cresciuto in una squadra che aveva campioni come Massimo Giovanelli, Marcello e Massimo Cuttitta e Paolo Vaccari come esempi da seguire, Tronky ha raggiunto la sua maturità sportiva proprio con l’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni, di cui è stato uno dei protagonisti nelle prime edizioni.

Quello del numero 9 è un ruolo particolare nel rugby. A cavallo tra la mischia e i trequarti, devi avere l’intelligenza tattica di un regista, ma la rudezza di una terza linea, senza paura di lottare duramente. E come ogni eroe, anche Troncon ha avuto il suo antagonista. Le sfide del Sei Nazioni tra Italia e Irlanda sono state per anni le sfide tra Ale Troncon e Peter Stringer, altro numero 9 che ha fatto della sua cattiveria agonistica un marchio di fabbrica. Ed è entrato nella storia del rugby italiano il loro “battibecco” durante la sfida del 2001. Siamo quasi allo scadere, l’Irlanda ormai ha vinto e guida 38-15 al Flaminio, l’ovale è irlandese, ma esce incontrollato dal raggruppamento. Troncon si getta sull’ovale, ma viene trattenuto per la maglia da Stringer. La reazione è immediata, il nostro numero 9 si gira e senza pensarci stende l’avversario con in pugno al volto. Rosso diretto. Un gesto sbagliato, sicuramente, ma come ha detto proprio Tronky una volta: “I gallesi dicono che il rugby sia lo sport giocato in Paradiso. Speriamo anche all’Inferno e in Purgatorio. Di sicuro lì ci sono più giocatori”.

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duccio.fumero@oasport.it

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Foto: LaPresse

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