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F1, Piloti immortali: la leggenda di Graham Hill, l’unico vincitore della mitica Tripla Corona

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La figura di Graham Hill è indubbiamente una delle più affascinanti e carismatiche nella storia dell’automobilismo. La sua carriera è stata lunghissima, ricca di soddisfazioni e poliedrica. Lo testimonia il fatto che, ancora oggi, il britannico sia l’unico uomo ad aver realizzato la Triple Crown del motor sport.

Graham Hill nasce a Londra, il 15 febbraio 1929. A differenza di molti altri futuri piloti, la sua non è una famiglia dedita al mondo delle corse, che inizialmente gli è alieno. Infatti consegue la patente di guida a soli 24 anni (!) e nel frattempo intraprende la carriera universitaria, diventando ingegnere. Durante il suo periodo accademico si dedica attivamente al canottaggio, uno sport che contribuirà a formare il suo carattere e rimarrà per sempre legato alla sua figura. Infatti i colori del suo casco riprenderanno lo stemma del London Rowing Club, al quale era affiliato. Alla luce di queste premesse, viene da chiedersi come sia cominciata la sua carriera automobilistica. Ebbene, tutto inizia nel 1954, quando Graham vede un annuncio promozionale in cui si pubblicizza la possibilità di effettuare alcuni giri sul circuito di Brands Hatch pagando 5 scellini. Il londinese vuole togliersi questo sfizio, ma appena scende in pista scatta il colpo di fulmine. Dal quel momento la sua vita sarà dedicata alle competizioni motoristiche.

Hill incontra Colin Chapman e si fa assumere alla Lotus come meccanico. Ben presto, però, si tramuta in pilota. Dopo essersi fatto le ossa in Formula 2, nel 1958 diventa uno dei titolari del team quando questo sbarca nell’automobilismo che conta. L’esperienza con la Lotus è però priva di gratificazioni. In due stagioni di Formula 1 non arriva neanche un punto e, al contempo, le due presenze a Le Mans si risolvono con altrettanti ritiri.

Nel 1960 decide di trasferirsi alla BRM dove, finalmente, arrivano le prime soddisfazioni. I risultati migliori vengono ottenuti nelle gare fuori campionato, ma nel Mondiale riesce a concludere al terzo posto il Gran Premio d’Olanda 1960. A Le Mans, affrontata con una Porche nel 1960 e con una Ferrari nel 1961, deve invece incassare altri due ritiri.

Il 1962 è la stagione della svolta. La gestione tecnica interna alla BRM, storicamente caotica e di conseguenza inefficace, è finalmente diventata univoca sotto la direzione di un abile ingegnere capace di imporre la sua linea. Si tratta di Tony Rudd, il quale ha potuto impostare una proficua evoluzione della monoposto. Contemporaneamente, il costruttore britannico riesce finalmente a produrre un proprio motore competitivo, in grado di rivaleggiare ad armi pari con il Ferrari e il Climax.

Così, Hill cambia improvvisamente dimensione. La metà iniziale dell’annata è molto equilibrata, tanto che nelle prime cinque gare si impongono quattro piloti diversi. Graham è fra questi, poiché trionfa in Olanda. L’unico a bissare un successo è Jim Clark, a bordo della rivoluzionaria Lotus 25, prima Formula 1 di sempre costruita con una monoscocca. La monoposto, però, è piuttosto fragile e lo scozzese, per quanto velocissimo, è sovente vittima di guasti meccanici. Dal canto suo, Hill si candida al titolo imponendosi con autorità al Nürburgring, al termine di un GP tiratissimo, e a Monza. Clark torna al successo negli Stati Uniti, con il quale tiene aperta la contesa iridata. Si arriva, dunque, al conclusivo Gran Premio del Sudafrica con il Mondiale ancora in bilico. La situazione è semplice. Se lo scozzese della Lotus vince la gara, conquista anche il campionato. Altrimenti, sarà l’inglese della BRM a trionfare. Clark si pone effettivamente al comando e, con il passare dei chilometri, sembra avere il titolo in pugno. Tuttavia, a tre quarti della distanza, una perdita d’olio lo costringe al ritiro, permettendo a Graham Hill di laurearsi Campione del Mondo 1962.

Nei successivi tre anni, il londinese conclude sempre il Mondiale al secondo posto, anche se le tre piazze d’onore hanno sapori diversi. Nel 1963 e nel 1965 il titolo non è mai in discussione, poiché nessuno ha modo di contrastare l’accoppiata Clark-Lotus, che dominano in lungo in largo staccando di anni luce la concorrenza. In entrambi i casi, Graham si dimostra il meno lontano dall’inattaccabile tandem. Nel 1964, invece, il sapore del secondo posto iridato è più amaro. Per la verità, anche in quella stagione Clark e la Lotus sono indiscutibilmente superiori, ma l’inaffidabilità della monoposto permette alla BRM di Hill e alla Ferrari di John Surtess di rimanere in lizza per l’iride. Si decide tutto nella conclusivo GP del Messico. Come al solito lo scozzese prende il comando, mentre il londinese viene di fatto messo fuori gara da un contatto con la Ferrari di Lorenzo Bandini. Per Clark ormai sembra fatta. È al comando e dietro di lui c’è la Brabham di Dan Gurney, che fa da “cuscinetto” rispetto alle vetture di Maranello. Con questo risultato, lo scozzese sarebbe campione. Tuttavia, nel corso del penultimo giro, si verifica un clamoroso colpo di scena. La Lotus di Clark è vittima di una perdita d’olio e si deve ritirare! A questo punto, con Surtess terzo, sarebbe Hill a laurearsi Campione de Mondo. Al box del Cavallino Rampante, però, si rendono prontamente conto della situazione e riescono a segnalare appena in tempo a Bandini di rallentare, allo scopo di cedere la seconda posizione a Surtess nel corso dell’ultima tornata. L’italiano esegue diligentemente e l’ex centauro britannico vince il Mondiale, precedendo di un solo punto proprio Graham.

Nel frattempo, in questo triennio, il londinese vince sempre il Gran Premio di Montecarlo. Al contrario, Le Mans continua a sfuggirgli. Il miglior risultato è il secondo posto, ottenuto nel 1964 in coppia con lo svedese Jo Bonnier a bordo di una Ferrari. Intanto il fatto di essere sempre ai vertici dell’automobilismo, il suo fascino e l’indiscutibile carisma, gli permettono di diventare una personalità di spicco nella cultura di massa british degli anni ’60.

In Formula 1 il 1966 è un anno di rivoluzione regolamentare, mal digerita dalla BRM, la cui competitività scema. Cionondimeno, quella è la stagione in cui Hill trionfa nella 500 Miglia di Indianapolis, un successo su cui poi è nata una leggenda.

La metà degli anni ’60 è un periodo in cui i piloti britannici sono soliti partecipare alla prestigiosissima gara americana. Non a caso, al via di quella Indy 500 ci sono anche Jim Clark (vincitore dell’edizione 1965) e Jackie Stewart. Nel primo giro un colossale incidente elimina ben 11 delle 33 vetture al via! Viene esposta la bandiera rossa e i 22 superstiti ripartono dopo un’ora e mezza di pausa. Con il passare dei chilometri, è Stewart a prendere il comando delle operazioni, sino a guadagnare un giro di vantaggio sugli avversari. Tuttavia, a una decina di tornate dal termine, lo scozzese deve ritirarsi a causa della rottura della pompa dell’olio. La leadership viene ereditata da Hill, che taglia il traguardo e viene indicato come vincitore sia dagli ufficiali di gara che dalla stazione radio dell’autodromo, i quali hanno stilato le classifiche in maniera indipendente l’uno dall’altra.

Tutto in regola? No! Perché al box di Clark sono convinti che sia stato commesso un errore e che lo scozzese, classificato al secondo posto, avesse in realtà un giro di vantaggio rispetto all’inglese! Non viene comunque effettuato alcun reclamo e la vittoria di Hill è ufficializzata. D’altronde nel corso della gara Clark è finito per due volte in testacoda. Con ogni probabilità, nella confusione generata dalle due soste ai box non previste, è stata la Lotus a perdere il conto dei giri del proprio pilota, aggiungendone uno per errore.

Tuttavia, il curioso episodio ha fatto nascere tra gli appassionati una teoria alternativa in merito all’accaduto. Secondo tale tesi, il conteggio della Lotus era corretto, mentre sarebbero stati gli ufficiali di gara a sbagliare. Il qui pro quo sarebbe avvenuto al 161° dei 200 giri in programma, quando la vettura di Al Unser, identica a quella di Clark, va a sbattere alla curva quattro proprio poco prima che lo scozzese passi. Gli ufficiali di gara avrebbero preso un abbaglio, credendo che fosse l’europeo ad aver avuto l’incidente. Quindi, assegnano il passaggio sul traguardo allo statunitense. Tuttavia, una volta realizzata la reale identità di chi era andato a muro, nella confusione si sarebbero dimenticati di correggere il conteggio dei giri di Clark. Una teoria fantasiosa, che non trova riscontro nei fatti e soprattutto appare altamente improbabile, poiché la classifica della stazione radio di Indianapolis, come detto tenuta in maniera separata da quella degli ufficiali, conferma la vittoria di Hill. Poche settimane dopo, il londinese lancia l’ennesimo assalto a Le Mans, fallendo nuovamente. A questo punto decide di lasciare perdere la maratona francese.

La scarsa competitività della BRM spinge Hill a tornare alla Lotus per il 1967, dove farà coppia proprio con il grande avversario Clark. Graham ormai ha 38 anni e il suo ritorno nel team appare più propedeutico allo sviluppo delle monoposto progettate da Colin Chapman che all’effettiva possibilità di lottare per il titolo, visto che il compagno di squadra è unanimemente considerato il pilota migliore del mondo. Quell’annata viene utilizzata per affinare la Lotus 49 e soprattutto il nuovissimo motore V8 Cosworth che, nel 1968, si rivelerà un’arma letale. Dopo il Gran Premio di Sudafrica, tutti sono convinti di assistere a una nuova trionfale cavalcata dell’accoppiata Clark-Lotus, come avvenuto nel 1963 e nel 1965. Non andrà così, poiché lo scozzese perde drammaticamente al vita durante una gara di Formula 2 a Hockenheim. La scomparsa di Clark, tramuta Hill nella prima guida indiscussa di un team dotato di una vettura superiore alla concorrenza. In questo modo, Graham conquista il secondo Mondiale della sua carriera, vincendo a Montecarlo per la quarta volta.

Nel Principato fa pokerissimo nel 1969, stabilendo un record che verrà battuto solo da Ayrton Senna. Quel successo è l’unica vera soddisfazione di un’annata al cui termine è vittima di un gravissimo incidente nel GP degli Stati Uniti, nel quale si frattura entrambe le gambe. Da quel momento, Hill non sarà mai più lo stesso. Ciononostante, non demorde e prosegue la sua carriera in Formula 1 anche all’inizio degli anni ’70 da quarantenne, seppur senza risultati di rilievo.

Nel 1972 c’è spazio per un nuovo tentativo a Le Mans, dove il londinese gareggia a bordo di una Matra in coppia con Henri Pescarolo. Quella 24 ore è condizionata dalla pioggia, da svariati problemi meccanici tra le vetture di vertice e dal tremendo incidente Jo Bonnier perde la vita. Alfine, emerge in maniera rocambolesca proprio la regolarità della coppia Pescarolo/Hill, che a differenza di tutti gli altri non ha inconvenienti e trionfa. Hill ha finalmente vinto anche a Le Mans, ma non c’è gioia in questo successo. La scomparsa di Bonnier, di cui era grande amico, infatti lo colpisce profondamente.

Con questo triste trionfo, il londinese diventa a 43 anni il primo pilota della storia a realizzare la Triple Crown del mondo dei motori, ovvero vincere nell’arco della propria carriera il Gran Premio di Montecarlo di Formula 1, la 24 ore di Le Mans e la 500 miglia di Indianapolis. Ancora oggi, nessuno è stato capace di eguagliare quest’impresa unica.

Nonostante questa consacrazione e l’età avanzata, Graham prosegue la sua attività in Formula 1 e arriva addirittura a fondare un proprio team, utilizzando telai prima della Shadow e poi della Lola. Gareggia sino al 1975, quando ha 46 anni, arrivando a disputare l’allora cifra record di 176 Gran Premi spalmati in 18 stagioni. Solo a questo punto decide di appendere il casco al chiodo e di dedicarsi esclusivamente al ruolo di team manager, convinto di aver trovato il pilota che potrà permettere alla sua squadra di emergere, ovvero il giovanissimo Tony Brise.

Il destino vorrà diversamente. La sera del 29 novembre 1975 Hill, Brise e svariati membri di spicco del team, tutti di ritorno in Inghilterra dopo un test al Paul Ricard, restano uccisi in un incidente aereo. Graham lascia un grande vuoto nel mondo delle corse e, soprattutto, una famiglia. La moglie Bette resta da sola a crescere due figlie e un figlio. Quel Damon Hill che seguirà le orme paterne e si laureerà a sua volta Campione del Mondo nel 1996.

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paone_francesco[at]yahoo.it

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Foto: Lothar Spurzem, Wikipedia

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